venerdì 5 luglio 2013

A tutti coloro che...non vedono un futuro. E invece c'è.

Mi dispiace ma non riesco proprio. Non riesco a non nutrire un senso di fiducia nei confronti del futuro. A volte noi giovani (parlo soprattutto di chi sta uscendo o è già uscito dall’università) leggiamo giornali, vediamo telegiornali e consultiamo un web pieno, zeppo di speranze da stracciare.
E anche io mi sono trovata, (e con me molti) a dover fare i conti sulla mancanza di una certezza futura: non c’è lavoro, per nessuno. E meno che mai per una laureata in Lettere che avrebbe come massima aspirazione quella di mettere su famiglia, una famiglia sana. E meno che mai per chi cerca lavoro onestamente senza scendere a compromessi. E meno che mai per una misantropa come me tendente a non frequentare ambienti particolarmente propensi al fascino della singola personalità. Eppure potrei, eppure riuscirei benissimo. Ma no. Ho scelto questa strada, la più difficile, la più controversa e quella che mi farà penare ma quella che ho scelto per partire. La speranza spesso viene meno: come potrò cominciare se non ho una base economica, se non ho un lavoro, se non riesco a risparmiare nulla come vorrei perché i rincari sono all’ordine del giorno? Come? Non ho mai fatto una manicure in tutta la mia vita (solo una pedicure, una volta per necessità: vi risparmio i particolari orridi), non sono mai andata in una SPA o che so io (e non ne sento né la necessità né la voglia), vado una volta all’anno dal parrucchiere perché alla fine devo (ma non ne sento veramente il bisogno). Gli unici generi di lusso su cui non risparmio sono i libri, i miei libri di studio, qualche cinema. Oltre che qualche vestito, perché si sa, noi donne alla fine siamo un po’ narcise.
Detto ciò, il risparmio non basta perché l’entrata fissa non c’è. Quindi come fare?

Mio padre e mia madre, spesso ripercorrono la storia del loro amore, come un atto di coraggio e fiducia. I tempi erano diversi, ma ogni periodo ha la sua pena, credo. Mia madre, laureata in Lettere, di buona famiglia borghese decise di intraprendere questa strada un po’ per vocazione, un po’ per emulazione…di mia nonna. Ultima di sette fratelli, mia nonna fu l’unica in famiglia che decise di dedicarsi all’università, in un mondo pugliese in cui la donna ancora non  godeva dell’emancipazione a cui invece oggi siamo abituate. E così prese la bicicletta e si recò ogni giorno nella città più vicina per fare le prime supplenze e guadagnare qualche soldo: riuscì a trasferirsi con il gruzzolo a Roma e laurearsi in Lettere con il massimo dei voti e lode dopo aver sostenuto esami con Paratore e Sapegno presso l'università de La Sapienza. Completamente da sola. Altrettanto mia madre, con una indubbia maggiore facilità sociale ma non altrettanto familiare, a causa di lutti forti.
Mio padre, laureato in Lettere anche lui. Condizione totalmente opposta: decise di intraprendere la carriera universitaria contro tutto e tutti: mio nonno, bracciante assai rinomato nella zona, possessore di cavalli e grande contadino, chiamato nel paese di Vetralla (mio borgo d’origine, in cui tutt’ora torno spesso e volentieri) con il soprannome, ormai tramandato fino a noi nipoti de “il poeta”: noi siamo le nipoti de “il poeta” Angelo Di Carlo, l’unico del paese che sapesse le ottave ariostesche, l’unico che sapesse terzine dantesche a memoria, l’unico che componesse storie rimate sulla guerra e suoi orrori, rendendole avvincenti e struggenti. Ma Angelo non voleva per mio padre la carriera universitaria: da famiglia contadina, si doveva fare vita contadina, vivere di agricoltura e autosussitenza. Mio padre, testa dura,  prese baracche e burattini e studiò. Non frequentante, rimanendo a Vetralla e aiutando i miei nonni con la campagna arrivò alla laurea presso La Sapienza con 110 e lode. Dopo la laurea, vista la penuria di lavoro andò in fabbrica, a modellare l’ottone, a Brescia. Vi rimase finché non cominciò a fare vari concorsi e diventare alla fine Docente Universitario di Geografia. C’è da aggiungere, inoltre, che lo scontro tra mio padre e mio nonno avvenne anche in campo ideologico: “il poeta” viveva nel mito del fascismo che gli aveva dato di che vivere, mio padre totalmente all’opposto, si dedicò al comunismo militante, fermando treni e contestando a suo modo il sistema. L’aneddoto più avvincente riguarda proprio una delle sue apparizioni universitarie quale docente: con pantaloncini corti si rifiutava di dare la mano perché gesto troppo borghese e strutturato.


Bene, mio padre si innamorò perdutamente di mia madre prima che entrambi potessero avere un lavoro (e quindi una base solida e certa da cui partire), appena usciti dall’università. In realtà mio padre era innamorato già da molto tempo di mia madre, ma lei lo aveva fatto ben penare sebbene pensasse intensamente a lui: nelle sere estive infatti, quando la campagna cominciava a sussultare di sollievo grazie all’arietta fresca di ponente e si tingeva dei colori arancio su rifrazione delle case tufacee, mia madre ascoltava da dietro la finestra, il fischiettio di mio padre provenire dall’orto proprio mentre lui, intento alla campagna, raccoglieva la più variegata e variopinta frutta, succosa come solo le cosce delle monache sanno essere.  Si innamorarono e non avevano nulla, se non la speranza di stare insieme. E si sposarono, senza un lavoro fisso mio padre, facendo qualche supplenza mia madre. Affittarono una casetta malmessa e malriposta, risparmiarono su acqua, luce, gas. Non andavano al cinema o a cena fuori, non bevevano vino pregiato o facevano chissà quali cure del corpo (tant’è che mia madre si tagliava i capelli da sola), non mangiavano spessissimo la carne, non indossavano capi d’abbigliamento particolarmente in (anche se cercavano in maniera del TUTTO insoddisfacente), rinacciavano ancora i calzini, ma non si fecero mancare nulla dalla vita: le loro passeggiate, le loro letture condivise, il loro amore maturato nel sacrificio ma anche nella voglia di stare insieme, diede loro la speranza ma soprattutto la felicità. E così siamo nate noi tre sorelle Di Carlo, e possiamo dire con tutta certezza che i nostri genitori non ci hanno fatto mai mancare nulla. Abbiamo sempre condiviso tutto, indossando vestiti di cugine o predecessori, spegnendo subito l’acqua o la luce o usando il riscaldamento con parsimonia, guidando una Fiat Tipo fino a pochi mesi fa ma con tanto tanto amore e voglia di vivere. Insieme e avendo fiducia nell’umanità. Sappiamo che se si semina con la luna crescente, la pianta viene male e l’insalata “spiga”, sappiamo che nelle notti di giugno si accendono le lucciole, sappiamo come si ammazza e cucina un coniglio ( e anche come si scuoia), sappiamo che significa non sentire la stanchezza del sacrificio condiviso.
Miriam Di Carlo


Ps. Ora abbiamo una casa bellissima. Ma la casa vera si forma quando stiamo tutti insieme. 

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