martedì 1 ottobre 2013

No finirò questo articolo nella disperazione. Tutt'altro.

Obiettivamente non è possibile spendere ulteriori parole circa la situazione presente. E’ la situazione peggiore in cui l’Italia abbia versato da quando si è avuta l’unificazione. Un’istituzione politica ormai spappolata, senza più risorse, credibilità interna ed estera; un potere avviluppato nella burocrazia, intempestivo, farraginoso per ruggine incancrenita negli anni, nelle legislature senza mai aver attuato un minimo di pulizia; un linguaggio non linguaggio, fin troppo poco persuasivo di tutti i politici; un paese, l’Italia, piegato in due davanti all’economia mondiale ed europea in cui perde per mancanza di metodo, di strategie convincenti e soprattutto di coerenza economica, che è quella che rende stabile l’investimento estero sui nostri mercati; appunto, mercati quasi assorbiti completamente dalle tasse, tasse sui capannoni industriali, tasse sui prodotti e un paese che non gira ma è cristallizzato da un gelo interno; una generazione, la nostra, di ragazzi che vedono i propri padri pieni di sicurezze, che percepiscono qualcosa (uno stipendio, una pensione, qualcosa insomma), e se stessi completamente incapaci di poter almeno un giorno, gustare un minimo di quelle certezze. Un paese che si fonda sul lavoro dei sessantenni e che imbriglia i giovani. Infrastrutture mandate alla deriva come nel Medioevo e ammortizzatori sociali che si stanno estinguendo. Noi giovani vediamo il nostro futuro essere mangiato e consumato dalle generazioni avanti a noi, spesso egoiste e chiuse. In tutto questo scenario terribilmente apocalittico (non romanzato ma reale), c’è un uomo che continua a immobilizzare il paese perché non vuole accettare che è stato la rovina dell’Italia. Rovina in tutti i sensi: morali, politici, etici e soprattutto con effetti sul futuro…che adesso è il nostro presente.
L’organizzazione e il metodo sono sempre stati i nostri talloni d’Achille.
L’interesse del proprio è sempre stato motivo di rotture interne.
La verità per cui l’ideologia del partito si è sempre configurata con il portavoce dell’interesse personale (Berlusconi) si è palesata nel momento del “serrate i ranghi” e dimettetevi. Ma il filo del rasoio sta proprio qui: chi è disposto ora come ora a puntare di nuovo su Berlusconi? Chi è disposto ad abbandonare la sua comoda poltrona in Parlamento per un uomo che non può più promettere nulla se non attecchire sui quei quattro deficienti e anziani che lo votano? Qui è in gioco il loro potere personale e non il potere che derivava un tempo dal sommo Silvio. No, ora c’è un margine d’indipendenza che può garantire la salvezza del proprio tornaconto, altrimenti dall’altra parte si adombra l’autodistruzione. Ma c’è ancora chi cita Einstein, chi manda torte e chi scrive libri per il proprio mentore di vita…e queste persone hanno visto la propria esistenza risollevarsi solo quando hanno leccato un po’ il sedere a quell’uomo.
La verità è che con queste istituzioni non andiamo da nessuna parte. E’ tutto troppo lento, troppo inceppato, troppo imbastito, non c’è più tempo per giocare ai tatticismi, agli occhiolini.
“Sembra che tu stia prendendo i toni di Grillo.” Qualcuno mi potrebbe obiettare.
No, non ci penso lontanamente, anche perché lui, con la sua riluttanza a concedersi, sempre per l’inebriamento della vittoria si è lasciato sfuggire l’opportunità di fare qualcosa e contribuire, conformandosi, già dal primo passo a quel sistema che tanto voleva abbattere. Risultato? Il nulla e il caos.

Non voglio prendere i toni di Grillo perché alla fine di un suo post potresti suicidarti, e invece non si deve mai e poi mai darla vinta alla rassegnazione che produce odio e soprattutto alla tristezza che deriva dalla mancanza di speranza. Cari miei la vita va avanti. Se tutto questo inferno istituzionale dovesse crollare, se l’Italia dovesse fallire la vita va avanti. Le persone continueranno ad innamorarsi, a fare figli. Si ripartirebbe dalla base, senza tanti salamelecchi, e via quei vestiti accumulati nell’armadio, meglio impastare le mani nella terra e produrre da soli senza aspettare che al supermercato arrivi la frutta con due euro in più e la carne inafferrabile. Meglio capire i bisogni della terra, imparare ad amarla, a rivalorizzarla. A fondare famiglie in cui la speranza non è quello che ci hanno fatto credere fino ad ora: denaro, denaro e uno stato sociale comodo. No, la speranza è nell’amore. E non si veda in questa affermazione un eccesso di miele o di romanticismo. No. Perché l’uomo è un essere nato per amare ed essere amato. Solo che ha sbagliato il modo di sentirsi amato: dalle cose, cose, cose capitalizzando qualsiasi cosa. Ma mai l’amore fraterno. Si può ricominciare, si può guardare in alto, si può. E l’unico che parla in maniera convincente, a attua in maniera altrettanto convincente è papa Francesco. Ce lo dimostra lui: semplicità nella Curia e nella vita. Se si ritorna a mungere le vacche tanto di guadagnato per voi e per i vostri figli. 
Miriam Di Carlo

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