giovedì 21 novembre 2013

Perché non sono d’accordo con Domenico Naso de “Il fatto quotidiano” a proposito di #Gazebo.


Leggo con interesse la critica che il giornalista televisivo de “Il Fatto” ha pubblicato circa il format “Gazebo” in onda il martedì, mercoledì e giovedì in seconda serata su Rai3. Premetto onestamente, che seguivo Zoro solamente in “Parla con lei”, rimanendo rapita dai video sulle diverse anime del Pd. Quindi salvo il Blog di Diego Bianchi e questi passati esperimenti televisivi, non posso fare un confronto a 360°: ma proprio per questo la mia testimonianza potrebbe essere maggiormente valida.

Il titolo di Domenico Naso già esordisce con un paragone che forse, tranne la fascia oraria, non regge: Gazebo come Porta a Porta ma di sinistra. Porta a porta è tutt’altra cosa: nello studio di Vespa sono invitati esponenti politici e il vero fulcro è il talk show politico, che ospitò un tempo anche Berlusconi e Prodi. In Gazebo non c’è alcun talk show: non si assiste all’accavallarsi di voci, di discorsi, di scontri verbali e non. Il format di Bianchi, Salerno, Sofi, D’Ambrosio (in arte Makkox), non nasce dal gusto per il diverbio improvvisato ma nasce come un giornale televisivo, per chi non l’avesse capito. E’ una testata giornalistica, con tanto di vignetta satirica (al posto di Altan): c’è spazio per il reportage, per l’indagine che potrebbe sembrare distorta e grottesca ma che rivela quanto sia paradossalmente reale (Mirko Matteucci: e posso testimoniare che la fauna che tocca tangenzialmente i vari taxi rappresenta un campionario variopinto e quanto mai ideale del paese, sia con una visione interna proveniente dalle varie Italie, sia con una visione esterna proveniente dall’Estero), c’è posto per un commento pacato, irriverente ma non troppo, veritiero ma mai pregno di quell’autocommiserazione rasente il suicidio di cui il M5S tanto taccia il PD: una trasmissione garbata, la definirei. Forse lontana dall’ANTI-garbo e intemperanza cui siamo stati abituati dalle ultime elezioni. Certo, i simbolismi, le ironie e i significati lasciati all’intelligenza dello spettatore non possono essere capiti da tutti ma ecco, io vengo da Viterbo, in realtà da un paesino della provincia di Viterbo e posso dire che mi piacciono, mi coinvolgono perché riescono a dissacrare senza inveire o mandare a cagare per forza.

Altra punta di diamante oltre Makkox e i reportage, sono le social top ten di cui, proprio gli accaniti sostenitori della democrazia liquida, dovrebbero riconoscerne l’importanza e presente e futura. Non solo per la potenza mediatica ma soprattutto per la contropartita e il lato oscuro del tweet: l’incapacità comunicativa, il lapsus, la coerenza si manifesta in maniera patente nel cinguettio lanciato. A volte più che un cinguettio un vero e proprio latrato cacofonico.


Infine proprio la seconda serata assicura al programma quel tanto di protezione necessaria: se fosse stata una prima serata sarebbe stata azzardata, ma la seconda serata fa sì che gli aficionados, gli ironici e sagaci possano lottare con la loro narcolessia pur di assistere alla politica in&out dei Palazzi. Questo programma è nato così, come interazione di media, come osmosi della comunicazione ed è potenzialmente una bomba mediatica: sta ai produttori mantenere questo tenore sempre alto e non disattendere quei fedelissimi che stanno sempre diventando più numerosi, precettati dalle battute salaci di Zoro non solo a Roma ma pian piano anche nelle altre Italie. E se si contesta il personaggio di Diego Bianchi bisogna anche vedere che il programma è basato su di lui, sulle sue idee ma anche su altre anime che rendono la trasmissione una testata giornalistica polifonica con tanto di intrattenimento culturale dato dalla musica di Angelini. Il reportage è Zoro, la cornice ha essenzialità solo nel momento in cui si hanno i cammei delle varie anime che spuntano nella trasmissione straniandone i punti di vista, accolti come arricchimento e non come diversità estranea. 
Miriam Di Carlo

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