mercoledì 18 gennaio 2012

Marketing: il vero killer del rock.


Chi non ha mai letto in una classifica dei migliori artisti rock di sempre anche dei Queen, Chicago, Guns ‘n’ Roses, Michael Jackson, Prince, Bowie, Johnny Cash?  Artisti che hanno venduto milioni di copie, osannati dalla critica, definiti fenomeni rock di grande impatto. Eppure il giudizio positivo dei critici su questi mediocri, orientato dalla pubblicità, dal marketing e dai giornali di gossip, pesa come un macigno. Rischia di svilire l’essenza del rock.
Genere musicale nato attorno gli anni 50 , derivazione del blues, come musica da ballo, il rock diventa un’arte raffinata a metà degli anni Sessanta. Ideato da Chuck Berry, Bo Diddley e altri bluesmen di grande calibro, affinato da Rolling Stones, Animals, Kinks, Beatles, Yardbirds, Velvet Underground e tanti altri. E’ un’arte che ha un sostrato popolare ed è basato sulla ripetizione ossessiva di un accordo di fondo, il riff. Si differenzia dal pop perché le sue canzoni hanno non solo arrangiamenti diversi, ma spesso stile vocale diverso. Gli artisti rock vanno spesso oltre la canzonetta, non rispettano la struttura strofa-ritornello e dalla metà degli anni Sessanta allungano a dismisura i loro pezzi. Goin’ Home dei Rolling Stones, European Son dei Velvet Underground,Interstellar Overdrive dei Pink Floyd ne sono esempi. Importanti anche gli acidi Greteful Dead, gli hippies Jefferson Airplane e Jimi Hendrix scrivevano pezzi molto lunghi, sincopati, psichedelici. I Deep Purple e i King Crimson scrivono vere e proprie partiture per orchestra. Frank Zappa miscela classica, jazz, avant-garde e rock in maniera davvero originale. Freak Out è un ottimo album, ma We’re Only in It for Money e gli album successivi dimostreranno la sua pulsione post-moderna, volta ad inglobare un universo di suoni in cui non esiste barriera tra musica colta e popular music.
Il rock è molto simile al jazz, con jam sessions caratterizzate da lunghe improvvisazioni. Come le leggendarie esecuzioni dei Led Zeppelin. La loro versione dal vivo di Dazed and Confused, 35 minuti di litanie, lamenti e urla ossessive, rimane nella storia della musica contemporanea. Il virtuosismo barocco dei musicisti degli anni Sessanta potrebbe ricordare benissimo Vivaldi. Ma Captain Beefheart, al secolo Don Van Vliet, si spinge oltre, distrugge l’armonia classica in Trout Mask Replica, uno dei migliori album della storia del rock, tanto bello quanto oscuro, misterioso, dal senso sfuggente. La sua musica è di grande spessore, non può essere classificata popular music. Neanche Sister Ray, esecuzione baccanale, ossessiva e schizoide dei Velvet Underground, non ha nulla a che fare con musica leggera. E’ più importante di tanti pezzi di musica colta contemporanea.
Lo stesso gruppo in questione, l’anno prima, nel 1967, pubblica uno dei migliori album rock di sempre, The Velvet Underground & Nico. In esso confluiscono musica da camera, mantra orientali, il Merseybeat giocoso e, allo stesso tempo, irriverente dei Beatles, rock classico, proto-punk, rock psichedelico, progressivo e sperimentale. Un pastiche unico, immagine della melma dell’alienazione urbana, inno alla gioventù bruciata della New York degli Anni Sessanta. L’album demolisce le utopie di una società malata e tutti i segni di una frenesia universale ed onnicomprensiva. Un ambiente di fantasmi posticci, automi volti alla distruzione dell’ambiente e circostante e poi alla distruzione di se stessi.
Il rock è sofferenza, lamento, ma anche ottimismo, leggerezza e simbolo nella speranza in un futuro migliore e ameno, come nella musica di Beatles, Byrds e Jefferson Airplane. E’ anche musica impegnate nel sociale, critica all’ipocrita perbenismo della middle class, con Kinks e gli Who.
Il rock vero, quello di qualità, non è canzonetta.  Le sue origini popolari non escludono che molti musicisti le abbiano conferito dignità di arte maggiore, come per il jazz. Il rock puro, lontano dagli ibridismi, è accademico, potrebbe essere studiato nelle università, è un fenomeno di grande rilievo culturale. Ma purtroppo non esistono ancora studi e testi in grado di rendere il giusto valore a questo genere. Piero Scaruffi ci ha provato, con grande successo, scrivendo una monumentale storia del rock. Rimane ancora difficile valutare i meriti artistici di molti autori in una storia spesso viziata.
Molti critici sono condizionati nella valutazione degli artisti rock dal numero di dischi da loro venduti. La pubblicità ingannevole tende a convincere molti critici dell’effettiva superiorità di artisti mediocri a scapito di altri, meno conosciuti ma di grandissimo spessore. I Velvet Underground, al loro esordio, hanno venduto solo qualche centinaio di copie. Beefheart non ha neanche recuperato i soldi investiti nella produzione di Trout Mask Replica. IPink Floyd hanno fatto opere di maggiore spessore all’inizio della carriera, ma non sarebbero oggi così famosi se non avessero semplificato il loro stile negli anni Settanta, tale da avvicinarlo ai canoni della musica pop orecchiabile e melodica. Purtroppo il rock, in quanto arte d’élite, ha dovuto spesso scendere a compromessi, perdere la purezza originaria e tentare la via commerciale per poter ottenere visibilità come fenomeno. Molti artisti da cabaret e da piano-bar hanno anche finto di fare questo tipo di musica per ottenere profitti, soldi ottenuti in un’operazione di pubblicità ingannevole. Il marketing ha ucciso il rock, ne ha mostrato il cadavere putrido in piazza. Ma riconosciamo in quel cadavere le sue vere sembianze. La musica di Chuck Berry è arte maggiore.
Marco Di Caprio

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