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sabato 5 ottobre 2013

La tragedia ai tempi del Social Network


La tragedia ai tempi del social network assume una piega inaspettata, riesce a dipingere in maniera incredibilmente puntuale uno spaccato di società, che è quella degli utilizzatori delle nuove tecnologie. Giovani in particolar modo, ma non solo, riuscendo a dare in qualche modo l'idea di quello che veramente pensa la gente comune. Trecento e più poveri disperati ingoiati dal mare riescono a mettere a nudo l'emotività delle persone, la compassione e la cattiveria, mettendo un accento sulla cosa peggiore, che è l'indifferenza. Se guardi con attenzione quello che scrivono i tuoi "amici" (virgolettato perché poi ne saluterai si e no 50 su 600 o 700) in una giornata drammatica come quella di ieri ti accorgi di molte, forse troppe, cose. C'è la tanta tristezza e compassione, che per fortuna identifica ancora in modo forte gli italiani tutti (dicano quel che vogliono i cinici ma è così, non ci piove), che la fa da padrona. Chi aderisce al lutto non dicendo nulla ma mettendo una foto o un articolo, chi scrive frasi sue, chi scrive frasi spacciate per sue ma che non lo sono, ma fa lo stesso. C'è chi intavola discussioni su come evitare (magari fosse così semplice) il ripetersi di una simile ecatombe, chi addita questo o quell'altro responsabile, tutto legittimo, nello specifico il target più gettonato è l'assassina Boss-Fini. Poi ci sono loro... e non sarebbe da aggiungere altro ma qualcosa voglio aggiungere: loro sono quelli che pensano che ci siano morti divisibili per provenienza, razza, idea, colore e livello sociale. Sono quelli che traggono gran parte del loro sapere dalla millantata rete, il cui grado risultante di acculturamento che ne deriva è direttamente proporzionale all'idiozia dei post che pubblicano. Ci sono quelli che elencano altre tragedie di cui ci dovremmo per vari motivi vergognare, dicendo amabilmente che quelle si che meritano il lutto, non quei poveracci saliti su una catapecchia galleggiante per venire a rubarci il lavoro (per inciso è pressoché inutile stare a parlare del fatto che molti di loro hanno parenti nel nord Europa che vorrebbero raggiungere, questa discussione richiederebbe un po’ di comprendonio in più). Ci sono ragazzini che da poco hanno preso la patente, magari facendo i quiz su una App di un costoso I-pad, che pretendono di sindacare sulla vita e le speranze di altri ragazzi che alla loro età sono già sfuggiti alla guerra, hanno attraversato a piedi il Sudan e parte della Libia, sono finiti prima nei centri di riconoscimento, poi in galera per qualche mese vedendo le proprie amiche stuprate e i propri amici pestati un giorno si e l'altro pure, poi sono stati presi e, dopo aver speso fino all'ultimo centesimo dei loro miseri averi, sono stati messi su una bara galleggiante per una settimana finché hanno trovato la morte in fondo al Mediterraneo... su questo pretendono di sindacare. Poi ci sono quelli a cui un non precisato ricongiungimento astrale (unito ad un bel po’ di consensi a dire il vero) ha dato una carica istituzionale che invece di rispettare ed onorare ricoprono di escrementi scrivendo frasi che non meritano di essere riportate, facendo analisi folli e senza alcun senso, allo scopo di provocare probabilmente, ma finendo in maniera diretta ed inequivocabile nel girone dell'inumanità. Poi capita anche che in questa categoria di soggetti ci siano anche insegnati e presunti educatori, gente che dovrebbe insegnare ai bambini il rispetto e la compassione per chi soffre e che invece, nel corso della propria misera esistenza, questi principi non è riuscito neanche a metterli dentro se stesso... E infine c'è quello che fa jogging sulla spiaggia di Ragusa, passando ad un metro dai morti coperti dal lenzuolo bianco... tira dritto impassibile, neanche si volta a guardare, forse l'immagine peggiore di queste tremende giornate di inizio ottobre...
Mauro Presciutti


mercoledì 17 luglio 2013

Il ruolo del politico e la provincia italiana

Fabrizio Barca va in giro per l'Italia tra le periferie e le grandi città, Nichi Vendola fa altrettanto, tacitamente. Arriva a Vetralla, paese di 13000 abitanti nella TusciaViterbese. Appare un gesto strano agli occhi di molti: c'è chi ci crede, c'è chi fa spallucce e pensa sia una bufala. Quando la notizia si fa certezza, ci sono anche gli scettici: e sono molti. Perché visitare un paesino di 13000 abitanti, molto chiuso sotto certi punti di vista ideologici? 

Purtroppo in una società dominata dal marketing politico e dal consenso a basso costo, ottenuto tramite populismi plateali non viene più concepito un gesto del genere. Un gesto del genere che dovrebbe essere l'atteggiamento tipico del politico. Il politico, se vuole fare questo mestiere nella vita deve TOCCARE il popolo italiano in tutta la sua eterogeneità, in tutte le sue idiosincrasie, in tutte le sue contraddizioni, in tutte le sue manifestazioni, non arroccarsi su un proprio personale piedistallo che aliena dalla realtà vera, che indora la pillola della crisi e chiude verso quell'egoismo becero che ha caratterizzato la nostra classe politica uscente. Abbiamo bisogno di politici che abbiano voglia di sporcarsi le mani con noi, che abbiano voglia di capire i disagi sperimentando i disagi con noi, persone che vadano a visitare tutte le identità multiformi di cui si compone l'Italia al fine di farsi un quadro completo della situazione e trarre le conseguenze più opportune per il bene di tutti. Non c'è chissà quale dietrologia dietro questo: il politico nascerebbe con questa vocazione, poi persa nella notte dei tempi. Quindi rispondiamo a tutti coloro che sono stati diffidenti, quelli che vedono solo commercio di anime e di cose nella loro vita: no, possiamo ripartire dalla base, da politici competenti che mettano le mani nel tessuto pastoso, argilloso, a volte vischioso dell'Italia. Ma si sa, dalla materia repellente dell'argilla, possono nascere vasi ed anfore dalla bellezza singolare. 
Riportiamo di seguito quindi l'articolo di un cittadino vetrallese, iscritto a SEL che ha preso parte all'evento e che ci dà la sua testimonianza. 

"Nichi è qui a Vetralla" di Mauro Presciutti.

Tutto ciò che mediaticamente ci raggiunge è incentrato su un modello di società che spesso non riflette la reale composizione del tessuto sociale italiano, soprattutto dal punto di vista della distribuzione geografica. Nel corso degli anni Tv, radio, giornali ed ora internet hanno dipinto l'Italia come un paese dove la vita è totalmente indirizzata alle grandi città e dove, al di fuori di queste, non esiste nulla o poco più. Allora ecco pubblicità di qualunque cosa (dall'automobile, alla crema viso, passando per i cereali) che ritraggono scene di presunta vita reale ambientate in metropoli che, a onor del vero, non sembrano più nemmeno europee. E la provincia italiana (l'importantissima e ricchissima provincia italiana)?  Ridotta ad essere nulla più che uno scenario da week end o da Spa dove poi il lunedì mattina si smantella tutto e ci si rivede il venerdì. E la politica non s'è sottratta da questo processo, intervenendo per incentivare la nascita di immensi agglomerati, dimenticandosi di milioni e milioni di cittadini sotto ogni punto di vista, da quello dei trasporti fino a quello occupazionale. Ecco che allora la presenza di Nichi Vendola in un paese di 13000 abitanti circa, ha un valore elevato, molto elevato. Parla di massacro della cementificazione, di dramma della spopolazione dei territori e parla di una italianità sempre più lontana da quella originale, sostituita passo passo da modelli non reali e non applicabili, che finiscono per ledere diritti e ambiente in un colpo solo (il passaggio su Marchionne è chiaro ed inequivocabile). Si guarda intorno, guarda le mura e le case colorate della piazza, guarda la gente che annuisce ad ogni sua parola e spesso lo interrompe per applaudirlo. Ha un carisma che hanno in pochi, una capacità di coinvolgere che è una rarità, ma il suo lato migliore è quello che mostra quando scende dal palco (e anche prima di salirci in realtà). Risponde a tutto ciò che gli chiedono in maniera precisa e senza giri di parole, risponde a chi lo saluta e gli fa i complimenti ma rimane anche a parlare con chi solleva problematiche politiche e ambientali. Va verso i bambini o le persone più anziane, riserva una parola per tutti, nessuno escluso, mette a dura prova la pazienza di quelli che devono scortarlo e che preferirebbero entrasse subito in auto. Nichi dice chiaramente che la politica è uno strumento e una ricchezza a disposizione di tutti e non un'entità inarrivabile, ci dice di concentrarci su questo concetto, di rispettare e di batterci per il nostro territorio perché tutto ciò lo renderà migliore. Prima di partire sfoglia i libri su Vetralla che gli ho regalato e fa: "bravissimi, continuate sempre così mi raccomando, davvero..." Quattro parole che saranno per sempre un monito per lavorare duramente e migliorarlo davvero questo territorio.
Mauro Presciutti

Infine da vetrallese, nata e cresciuta nella Tuscia, ma da sei anni ormai nella capitale laziale, posso con certezza dire che le province (ora come si chiameranno?) laziali sono state deprivate di molto, proprio a causa di una Roma che tutto ingloba e assorbe. Lavoro, soldi, tempo. Abbiamo dei meravigliosi patrimoni territoriali e culturali, una storia invidiabile all'estero (un nostro paese in Inghilterra sarebbe  messo sotto vetro e fatto visitare da milioni di turisti), eppure non si ha modo di far ripopolare la Tuscia, con i suoi tesori etruschi disseminati nei boschi, con i suoi paesi medievali di raminga memoria, con i suoi fascinosi eremi nascosti agli occhi dei pellegrini, con tanti beni ancora da scoprire e documentare. 
Date un aiuto concreto alla casa editrice Ghaleb Editore, al fine di finanziare un rapporto con il patrimonio territoriale, agricolo, archeologico e storico del territorio della periferia italiana. http://www.ghaleb.it/home.htm
Miriam Di Carlo
Vetralla




Piramide Etrusca, Bomarzo.

mercoledì 26 giugno 2013

F35, questi sconosciuti...

Mettiamo in chiaro una cosa: gli F35 sono strumenti di guerra, punto. Al contrario di quello che asserisce quel genio incompreso di Boccia non vanno bene per spegnere incendi, per salvare vite umane, non sono elicotteri e non verranno usati per la parata del 2 giugno, il loro utilizzo è strettamente collegato ad attività militari in territorio straniero (speriamo). E al parlamentare PD, scopertosi esperto di tecnologia militare, oggi tenta di venire in soccorso il Tg1, con un servizio... beh da Tg1. Un servizio dove si enunciano le innumerevoli innovazioni tecnologiche di questi velivoli, dove si dice chiaramente che non hanno alcun problema strutturale e di portanza, dove si intervistano addirittura sedicenti piloti americani impegnati a tesserne le lodi.. piloti che per quanto mi riguarda potevano essere anche comparse assoldate per questa pagliacciata, tanto è grottesca la cosa in un periodo di crisi così nero, tanto è inutile e fuori luogo (proprio nei giorni in cui si vota la mozione SEL-M5S a riguardo) il servizio del suddetto TG. Ovviamente si fà riferimento anche agli ambiti occupazionali che l'acquisto dei caccia porterebbe, paventando cifre da capogiro e un paio di lustri di manutenzione programmata. Ora, a meno che i vertici della RAI non considerino gli italiani una massa di idioti, è chiaro anche che tutta la manutenzione di cui gli aerei abbisognano avrà dei costi astronomici che vanno ad aggiungersi a quelli altrettanto cosmici per acquistarli. Parliamo in soldoni di decine di miliardi di euro che da qui a vent'anni potrebbero essere investiti per cambiarlo davvero il paese. Ma il punto è proprio l'occupazione e il presunto danno che la rinuncia agli F35 arrecherebbe al sistema economico italiano, peraltro già molto malandato anche a causa dell'impatto devastante (in termini di costi ed inutilità) delle missioni all'estero. La questione è a monte, almeno mezzo paese vuole che i giovani e i non giovani lavorino in ambiti che rispecchino l'essere del paese, dell'eccellenza tecnologica e scientifica, del Made in Italy (che oggi investitori molto lungimiranti vanno a produrre in Cina), dell'agricoltura, della salvaguardia del patrimonio naturale, archeologico e culturale, della sostenibilità ambientale e, soprattutto, del rispetto della costituzione. Eh sì, perché all'articolo 11 c'è sempre scritta quella cosetta riguardo la guerra e le controversie internazionali. Con questo principio, quello del lavoro a tutti i costi\facile da tramutare in consenso elettorale, ci siamo beccati, noi e soprattutto le generazioni che verranno, i vari Eternit, Porto Marghera, Petrolchimici vari (Gela in primis), Sarroch, ILVA, centrali nucleari che per un migliaio di anni c'hanno messo sul "groppone" scorie da gestire e via dicendo. Tutte cose delle quali è meglio non leggere per non rovinarsi giornate e\o settimane intere, tutte cose ormai diventate mostri mangia-vite umane (sia che si parli di salute che di lavoro tanto il risultato spesso è analogo), realtà e situazioni ingestibili delle quali nessuno riuscirà a venire a capo, questioni che hanno mietuto intere classi dirigenti senza lasciar intravedere luce alcuna. Quindi, prima di sbandierare l'utilità di cose che una utilità non ce l'hanno nemmeno a cercarla col lanternino, sarebbe bene che il caro Boccia e tutti quelli a lui allineati (e di questi tempi la lista è lunga e dolorosa) rivolgessero lo sguardo all'Italia, ai patrimoni da salvare e ai giovani laureati con le carte in regola per salvarli che oggi invece stanno nei Call-center, ai territori in dissesto idrogeologico e alle migliaia di ingegneri costretti ad emigrare per trovare una occupazione degna, agli ospedali diroccati da trasformare in centri sanitari e di ricerca all'avanguardia e ai tanti giovani ricercatori in fuga (o "cervelli", come più vi piace)... Forse allora una destinazioni più consona a tutti questi miliardi la si troverebbe...
Mauro Presciutti

martedì 18 giugno 2013

Viaggio della speranza...senza alcuna speranza di Mauro Presciutti.


Da molto tempo ormai parlare d'Europa si riduce a indici, punti percentuali, aste di titoli pluriennali, dati quasi mai corrispondenti alla qualità della vita reale. Si pensa anche all'unione, giustamente, come a quel mostro che impone il rigore e l'austerity e che ha ridotto praticamente in mutande svariati popoli, compreso il nostro. Ci si è dimenticati, evidentemente anche a Bruxelles, che l'Europa ha dei confini, alcuni dei quali talmente critici che si preferisce far finta che non esistano, lasciando la palla a chi geograficamente si trova da quelle parti. Il "confine" in questione è quello sud, il tema sono le salme dei disperati che giacciono in fondo al mare. E non sono sette, dieci, cento, sono migliaia quelli che ogni anno perdono la vita nel viaggio più assurdo del mondo, quello che va dall'inferno del mondo, Somalia in primis, fino a quel continente che per rispettare indici e rating ha ridotto i suoi popoli in mutande, per l'estrema gioia degli speculatori. E' difficile capire cosa possa indurre un essere umano ad attraversare il deserto a piedi o con mezzi di fortuna, ad arrivare ai presidi italo-libici (alias campi di concentramento) fortemente voluti da alcuni nostri lungimiranti ministri del passato, dove le donne vengono stuprate, i bambini venduti, gli uomini pestati e lasciati a morire sotto al sole. Passano il livello solo quelli che si trovano in tasca quei quattro o cinquemila dollari necessari per corrompere l'ufficiale di turno. Da qui si accede alla prova finale, come in un improbabile edizione di "Giochi senza frontiere" degli orrori, la traversata. Fatta su imbarcazioni di fortuna e gommoni che accolgono decine di volte il numero massimo di persone che possono trasportare, è spesso il punto di non ritorno per chi fugge dalla disperazione. Donne incinte, bambini, anziani, ragazzi, ragazze, sfuggiti ai gulag del deserto e destinati ad essere inghiottiti dal mare, salvo alcuni casi fortunati. Eh si, perché nessuno sa quanta gente muoia in quel canale maledetto, gente che sfugge alla guerra, alla fame, alle persecuzioni e alle torture, gente che cerca un futuro migliore e che invece trova la morte al culmine di un percorso infernale, dopo essere sfuggita ai fantasmi creati dalla Cooperazione italo-libica, dalla Bossi-Fini ed altre atrocità per le quali, speriamo, un giorno qualcuno pagherà. Chi si salva è per il gran cuore degli italiani e di pochi altri, gente che chiacchiera, dice male, si lamenta, ma che alla comparsa di un barcone di disperati non si fa guardare dietro da nessuno, sale sul peschereccio, sulla motovedetta o quello che è e va a salvarli da morte sicura. Nessuno escluso, finanzieri, pescatori, uomini delle capitanerie di porto, nessuno. L'umanità infinita del popolo italiano è stata gradualmente oscurata da personaggi intolleranti che hanno potuto dare libero sfogo della loro ottusità in questi venti e più anni terribili ma, come già detto, è infinita e le immagini dei telegiornali di questi giorni, dei poveretti soccorsi in mare, della bambina nata sul barcone lo dimostrano, senza se e senza ma. E' assurdo e inspiegabile che praticamente solo l'Italia si occupi delle tragedie del mare, facendo quel che può ma rimanendo spesso impotente di fronte a catastrofi umanitarie delle quali nessun altro si occupa. Non ci sarà Europa fino a che l'Europa stessa non si prenderà cura degli ultimi...
Mauro Presciutti

venerdì 17 maggio 2013

Il caso Kabobo.



In questi giorni la vicenda del "picconatore ghanese" che ha massacrato e ucciso tre persone è ovviamente al centro dell'attenzione mediatica. E' al centro anche di un argomento, quello della violenza e della follia, composto da persone e gesti di tutte le età, colori e nazionalità. E' evidente però che un irregolare che, per motivi che credo nessuno mai comprenderà, uccide così, senza alcun senso, tre ignari cittadini, diventa un caso che alimenta un'ampio ventaglio di emozioni e reazioni. Prima su tutte quella dell'odio e dell'intolleranza, con post e dichiarazioni inneggianti al patriottismo, alla xenofobia e quant'altro. Ora, tolto il fatto che tutti i giorni (compreso stamani) qualcuno perde la brocca e massacra qualcun altro, è altresì evidente che Kabobo è il prodotto di una serie di elementi tuttora tristemente all'avanguardia in Italia. Primo su tutti la marginalità sociale di alcuni soggetti. Esistono persone, tante persone, che vivono ogni giorno nel limbo della dignità, dell'illegalità e della visibilità. Fantasmi spesso costretti a nascondere le proprie vite perché l'ineguaglianza sociale li ha relegati in uno spicchio di società dove tutto è permesso purché nessuno ti veda. E ci sono donne, bambini, adulti, laureati, vecchi, gente che lavora nei campi e che viene assistita da Emergency o da Medici Senza Frontiere, analogamente a quanto avviene in quello che noi usiamo chiamare "terzo mondo". In loro si nascondono tanti Kabobo, gente con problemi mentali o di legalità, di cui apprendiamo l'esistenza solo dopo tragedie come questa. Un fantasma il suo che s'è materializzato nel peggiore dei modi, ma che poteva essere benissimo uno dei tanti fantasmi che si materializzano in una ragazza stuprata ed uccisa, in un feto ritrovato in un cassonetto, in tante storie di schiavitù di persone attratte da una vita migliore e invece proiettate nel girone dantesco dell'invisibilità sociale. La prima cosa che mi sono chiesto dopo la tragedia di Milano è perché mai una persona conosciuta per la sua instabilità mentale, per precedenti di aggressioni e rapina, già colpita da diversi provvedimenti di espulsione, sia libera di aggirarsi per una città qualsiasi ed uccidere persone qualsiasi. Me lo sono chiesto perché nel corso degli anni ho sentito tanti sermoni, spesso al limite dell'intolleranza, che parlano di controlli, telecamere e tolleranza zero. Tutte cose inutili e dannose se non si inizia a pronunciare la parola INTEGRAZIONE. Tutte cose che continuano ad essere soltanto legalità di facciata dietro la quale si nascondono le storie di cui sopra. Tutte cose che dipingono in maniera perfetta la grande ipocrisia della società italiana, dove si preferisce nascondere storie come Kabobo, cercando di far finta che non esistono, sperando che siano bombe che non esplodono. Si continua a preferire tutto ciò invece rimboccarsi le maniche, prendersi qualche responsabilità ed accorgersi che la società del 2013 non è più quella di 30 o 40 fa e che accomunare il reato al colore della pelle o alla nazionalità ci porterà in un baratro dal quale non usciremo più.
Mauro Presciutti