lunedì 29 ottobre 2012

LA SFIDA DELL'ANTIPOLITICA.

Il Caimano è tornato. Proprio come nella scena finale del film di Nanni Moretti. E’ stato appena condannato, ma promette di trascinare con sé il paese nel caos. Silvio Berlusconi torna a parlare in conferenza stampa. Gli argomenti da lui scelti sono gli unici che possano portargli voti, che possano dargli un minimo di seguito politico. Il Berlusconi moderato, seguace del premier, non arriverebbe neanche ad un 10% di consensi. Attacchi a Merkel, a Monti, e ad una nostra politica economica recessiva dettata dalla potenza egemone della Germania. Troppe tasse deprimono le famiglie italiane. Il nostro è uno Stato di polizia tributaria. Queste parole Berlusconi spende in difesa dei valori italiani, del Paese che amo. E poi invettive contro i giudici che rendono la nostra una Repubblica magistratocratica ed usurpano la sovranità popolare.

Il discorso di Berlusconi è ovviamente populista, da piazzista. Non ha senso proprio perché la causa della profonda recessione, oltre alla crisi del 2008, è stata la mancanza di una politica economica coerente da parte sua. Berlusconi è rimasto in carica 7 anni su dieci, nello scorso decennio, un periodo in cui il PIL italiano è rimasto pressoché a crescita zero. Nel 2009, in seguito alla crisi mondiale, il debito pubblico italiano è raddoppiato di dieci punti, un aumento vertiginoso, dovuto all’irresponsabilità della sua politica economica. Il problema non è quindi Monti, che ha cercato di risanare l’economia. Berlusconi, ovviamente, è un uomo solo, non inveisce sperando di esorcizzare la sua solitudine.

Ilvo Diamanti su Repubblica:
La solitudine. Sta qui l’origine degli interventi di Silvio Berlusconi, negli ultimi giorni. Estremisti, nei toni. L’uomo-solo-al-comando, all’improvviso, si sente solamente solo. E ha paura del silenzio intorno a sé. Reagisce con estrema violenza - verbale.

Ovvio che Berlusconi cerca di riemergere, dopo la condanna in primo grado nel processo Mediaset, e lo fa nell’unico modo possibile. I contenuti dei suoi interventi sono simili a quelli di Beppe Grillo. Ma il comico ha una marcia in più. Ha un blog che ottiene grande successo in rete. Ha saputo utilizzare i nuovi media, ed internet in primis. Berlusconi rappresenta il vecchio, il potere dei vecchi media, la tv. Grillo il nuovo, il potere di internet. Ma entrambi fanno leva sui sentimenti anti-europei latenti nel nostro Paese e sull’esasperazione della working class.

L’ex-premier, tuttavia, cavalca l’onda dell’anti-europeismo con grande ipocrisia: ha paura di uscire di scena, vuole rivestire nella prossima legislatura un ruolo politico di rilievo per non soccombere nei suoi procedimenti giudiziari. Sa che la politica può influenzare la magistratura. Le sue leggi ad personam ne sono state la prova. Dei suoi 23 procedimenti giudiziari a carico, solo tre sono finiti con assoluzione, di cui una per una depenalizzazione del faso in bilancio da lui approvata (processo All Iberian 2). Altri sono finiti per prescrizione, altri due (Mediaset e Ruby ancora in corso).

Berlusconi è ancora in politica, e per se stesso. Ed era ovvio che non poteva rassegnarsi dopo l’ampia sfiducia accordatagli dai mercati nel novembre del 2011. La sua nuova discesa in campo ha creato scompiglio in un Pdl diviso tra montiani e berlusconiani, falchi e colombe. Difficile fare previsioni. Non così probabile sarebbe la scissioni tra il Cavaliere e il suo vecchio partito, che però verrebbe a perdere la sua unica identità, quella di partito personale dell’ex-premier. Alfano, che punta all’alleanza con l’Udc e con i moderati, non ha la forza politica per compiere scelte in autonomia.

Berlusconi, con la sua nuova politica estremistica, parla, secondo i suoi sostenitori più accaniti, alla pancia del Paese. E’ vero. I delusi sono tanti, la disoccupazione giovanile italiana è tra le più alte d’Europa, il precariato è a livelli spaventosi. La nostra economia non è ancora in ripresa. Ed ora questo Berlusconi, che promette castelli di fumo, torna a piacere alla Lega, ritorna ad avere consenso tra gli ex-Pdl passati al Movimento 5 Stelle.

L’antipolitica è sicuramente il primo partito d’Italia. Difficile che gli italiani possano premiare il Cavaliere come alfiere di una nuova stagione politica, proprio lui che è il più vecchio dei politici della Seconda Repubblica. Ma questa nuova strategia di Arcore è pericolosa. Perché si allinea sui temi al grillismo, che riscuote tanto successo. Grillo ha maggiore credibilità, ma non ha ancora quel potere mediatico di Berlusconi, da sempre in conflitto di interessi per il possesso di network e giornali. La nuova lotta politica è una sfida tra vecchi e nuovi media, piuttosto che una sfida sui programmi elettorali.

Il Pd, che è partito di maggioranza relativa, ha il dovere di fare fronte comune con i moderati (Udc e Fli), al di là delle differenze, se vuole aprire una migliore stagione politica. Deve mostrare che l’utopia dei populismi non può avere spazio. In un mondo globale, l’unico obiettivo rimane l’Europa unita. Seppure con riserve, Monti ha operato con responsabilità. Solo ultimamente, al centro della bufera, c’è stato il decreto anti-corruzione, troppo blando. Urgono misure più foti contro la corruzione, per riportare investitori stranieri in Italia. Ma comunque i dibattiti aperti dall’attuale governo sono più ragionevoli rispetto a quelli aperti dalle leggi di depenalizzazione di falsi in bilanci dell’era berlusconiana.

Alle prossime elezioni il mio appello è per il buonsenso. E’ importante che tutti i partiti isolino i populismi utopici di Berlusconi, Grillo e Lega Nord. Fare fronte comune contro chi inveisce solo e promette ciò che non potrà fare. Basta con i populismi che parlano di meno tasse e più posti di lavoro. I populismi di chi non spiega come, quando e perché metterà in atto i propri progetti, qualora dovesse governare. E’ importante che il dibattito politico cambi.

Oggigiorno i politici sono abituati all’attacco frontale e a denigrare l’avversario. La seconda Repubblica è stata caratterizzata da invettive, e nient’altro. Berlusconi, dopo la sua discesa in campo del 1994, è stato il nmaggiore responsabile della corruzione del dibattito politico. I partiti tornino a spiegare i loro obiettivi, ad argomentare a favore delle loro tesi, a spiegare ai cittadini perché la loro identità è diversa da quella di altri. La politica si è davvero imbarbarita da quando si è abbassato notevolmente il livello culturale dei politici, che non dovrebbero essere come o peggio di noi, ma dotati di competenze e capacità che non sono di tutti. Il governo Monti ha dimostrato di andare controcorrente. Ha argomentato le sue scelte, che, seppure fossero sbagliate, sono state fatte con onestà intellettuale.

Se i cosiddetti moderati (Pd, Fli, Udc) saranno in grado di riportare un dibattito civile, ispirato dai soli provvedimenti fatti in materia politica, l'antipolitica sarà neutralizzata e sconfitta. Su queste basi si spera che nascerà la Terza Repubblica. Se così non sarà, se prevarranno Grillo e Berlusconi, si salvi chi può.

Marco Di Caprio.

venerdì 12 ottobre 2012

LO SCEMPIO DELLA PARTITOCRAZIA APOLITICA.

Roberto Formigoni azzera la giunta. Un po' come aveva tentato di fare la Polverini. O meglio lei voleva dimettersi sin dall'inizio dello scandalo. Silvio Berlusconi aveva provato a frenarla. "Se il Lazio crolla, crolliamo anche noi" aveva affermato l'ex-premier. In effetti è andata male, Polverini poi ha lasciato giustamente. Già erano apparsi manifesti ovunque per la città di Roma: resto e faccio pulizia, aveva annunciato Polverini. Ora Formigoni resiste, continua a mantenere la poltrona grazie alla Lega. Berlusconi, per la prima volta, toglie l'appoggio ad un esponente del suo partito e lo invita a presentare le dimissioni.


Il presidente del Pdl ha capito che è finita un'epoca, ma questo certamente non lo aiuterà a rafforzare la sua posizione e il suo partito sgretolato, ormai inesistente. La politica del centro-destra, travolta dagli scandali di Polverini e Formigoni, rappresenta i residui della disonestà diffusa tra i politici e rafforzata dagli anni del governo Berlusconi: ancora oggi il Pdl impone vergognosamente veti alla legge anti-corruzione. Il Cavaliere sa che non potrà mai vincere le elezioni e cerca di riunire i moderati favorevoli ad un secondo mandato dell'attuale premier. D'altro lato, i critici di Monti come Lega e Idv, hanno avuto altri scandali di pari entità - vedi le vicende di Belsito e Maruccio, ex-tesoriere del partito di Di Pietro, oggi indagato per riciclaggio. La Lega appoggia Formigoni, lo stesso partito che all'alba di Tangentopoli portava cappi in Parlamento per i politici disonesti. 


Il Pd, in testa nei sondaggi, è comunque debole, in preda ad una faida interna al partito. Oggi quindi prevale giustamente l'antipolitica. Si ricordi però che questa situazione negativa è stata ereditata dal governo Berlusconi, responsabile dell'incremento esponenziale del debito pubblico e di norme che hanno depenalizzato corruzioni e falsi in bilancio, che hanno aiutato il ladrocinio di politici ed imprenditori. La politica è pessima, perché si è conformata al peggiore dei suoi esponenti, il Cavaliere. Neanche Grillo e Vendola possono offrire una valida alternativa al sistema attuale: sognatori, utopisti e populisti,  non spiegano con quali proposte affrontare la crisi dei partiti. 


L'unico che esce rafforzato dalla crisi della politica è Mario Monti, estraneo ai partiti. Il premier, nel bene o nel male, ha fatto riforme strutturali ed ha approvato una finanziaria che potrebbe garantire il pareggio di bilancio nel 2014. Dopo le elezioni di primavera, lo scenario più probabile delinea un suo ritorno. Ma i partiti dovranno approvare una legge elettorale, su cui ancora tutti i parlamentari dibattono. 


Facile criticare il Porcellum voluto da Berlusconi, ma nessuno dei parlamentari vuole cambiare il sistema delle liste bloccate. L'astensione potrebbe toccare il 50 %. In America, per le elezioni presidenziali, vota meno del 40%; ma lì la democrazia e il sistema politico sono consolidati. Da noi un'elevata astensione potrebbe aprire scenari di crisi ben peggiori. I partiti si rinchiuderebbero nel Palazzo, portando disagi e tensioni sociali che l'Italia, già vessata dalla crisi, non potrebbe sopportare nei prossimi anni. La legge elettorale è la priorità assoluta per la crescita del paese.


Marco Di Caprio.

giovedì 11 ottobre 2012

CAOS DEMOCRATICO.

Pierluigi Bersani e Matteo Renzi saranno sfidanti alle primarie. Il segretario del Pd ha anche fatto modificare l'articolo 18 dello statuto che prevede la candidatura del segretario come futuro premier. C'è però un problema di natura logica: che senso hanno le primarie, se non è ancora noto con quale legge elettorale si voterà? 

Le primarie sono uno strumento utilissimo di democrazia interna e ricalcano quelle che i due maggiori partiti americani svolgono per il candidato alla presidenza. Ma siamo sicuri che possano essere applicate anche nel sistema politico italiano? Direi che non è proprio così per diversi motivi. Innanzitutto, con l'elezione del candidato premier tramite primarie, non ha senso la figura del segretario del partito, che è sempre stato il leader di riferimento della propria parte politica in qualunque tipo di elezione. I segretari dei partiti della Dc sono sempre stati indicati come Presidenti del Consiglio dal dopoguerra in poi. Quando non lo sono stati sempre, a partire dal 1981, i segretari di altri partiti, uomini più influenti come Spadolini o Craxi, sono stati indicati come capi del governo.

In America non esiste la figura del segretario, ma solo quella di presidente di partito, che gestisce il dibattito interno alla parte politica, ma non è mai candidato. Anche il Pd ha come presidente Bindi, che si occupa dell'amministrazione. I Democratici e i Repubblicani non hanno però il segretario, le cui funzioni sono rivestite temporaneamente, e solo in vista delle elezioni presidenziali, da chi vince le primarie. Se non dovesse vincere le primarie Bersani, il Pd avrebbe un altro segretario, de facto, che svolgerebbe la sua stessa mansione di capo politico di riferimento nel partito. 

Teniamo ben presente che, se dovesse cambiare la legge elettorale, cosa di cui si augurano molti italiani, il vincitore delle primarie potrebbe non più essere candidato come nome di riferimento per la presidenza del Consiglio. In teoria, quindi, dopo le elezioni potrebbe anche essere investito qualcun altro del Partito democratico per formare una coalizione di governo. 

Le primarie del Pd in realtà sono uno strumento per stabilire in un partito poco coeso chi è il più forte. Ma chiunque dovesse vincere non avrà potere di compattare il partito. I Democratici sono in testa ai sondaggi non per loro demerito, ma per demerito degli avversari politci, e questo rischia di portare una stagione di nuovo caos nella politica italiana anche dopo il 2013.

Marco Di Caprio.