giovedì 30 maggio 2013

Web o non Web? Rodotà e Settis parlano di internet...e non solo.


I miei giornalai di fiducia sono tutti molto simili: hanno pochi capelli e bianchi ma soprattutto indossano adorabili occhialetti da presbiti calati sul naso. Saluto Vittorio il meccanico e poi Natale il suo aiutante, Tonino il parrucchiere e il barista senza-nome, la cinesina che ha appena partorito una meravigliosa bambina e infine arrivo al giornalaio. Oggi davanti all’edicola c’è un signore che interviene subito dopo la mia richiesta “La Repubblica” e mi dice “La Prima, la Seconda o addirittura la Terza?”.

Eh già perché effettivamente per gli storici futuri questo periodo politico apparirà come un nuovo capitolo della Storia Italiana contemporanea ed una delle molteplici cause se non la preponderante risulta essere a mio avviso l’evoluzione tecnologica. L’umanità ho progredito e non è indifferente che la crisi si faccia sentire in tutti i consumi, persino quelli di prima necessità ma che non riesca ad intaccare la tecnologia e in particolare la nanotecnologia.

Ha affrontato l’interrogativo che pone il web, Stefano Rodotà su un articolo de “La Repubblica” di oggi dal titolo “La democrazia del web è vera democrazia?” che consiglio vivamente di leggere perché apre a nuovi spunti di analisi su un processo sfaccettato e multiforme. L’imbarazzo davanti a questo potere comunicativo e la paura se non la diffidenza nella gestione della rete già venne palesata da Benedetto XIV: mentre in alcuni movimenti della Chiesa si diceva che il web fosse strumento perverso ed alienante se non demoniaco, intanto Benedetto XVI apriva il suo account twitter per comunicare. Come tutte le cose va trovata la giusta modalità di applicazione e la possibilità di trarne frutti.
A livello sociale e comunicativo è indubbio che il web mescoli una buona dose di alienazione data da rapporti virtuali e quindi mai immediati e concreti (dando spesso l’illusione di non essere soli) a grandi scambi e dibattiti su tematiche e concetti che alimentano lo scambio più mentale che fisico. All’interno del web però vige una qualche gerarchia e sebbene vi sia una falsa o illusoria possibilità di interagire direttamente con gli alti vertici, esso diventa veramente scambio e interazione nel momento in cui si crea una situazione intimistica e non di massa come invece può essere un blog molto frequentato o twitter: infatti le mille e mille voci, proprio per la grandissima copiosità, si disperdono e alla fine vigono solo le forti personalità riconosciute tramite la loro indiscussa notorietà. Ma il web porta veramente con sé una grande rivoluzione data proprio dal fatto che non è un mezzo passivo, che viene subìto come una tv o un giornale ma dà maggiore possibilità di scelta, di selezione e di interazione che a volte può risultare efficace, magari grazie a una buona dose di fortuna ma anche di talento.
Comunque sia, Rodotà affronta l’argomento dal punto di vista politico e non strettamente comunicativo dimostrando ancora una volta grande lucidità, adattamento ai tempi e spirito critico.
Così come un’altra grandissima personalità che consiglio a tutti di approfondire perché merita: Salvatore Settis. Questo signore ha un Curriculum da urlo ma sono sicura che, come tutti i grandi colti potrebbe tranquillamente dire “So di non sapere”. Ha stilato ben 15 tesi e oggi presenterà al Teatro Piccolo Eliseo un evento con Civati e Barca. Riporto le sue tesi che danno una descrizione efficace e quanto mai valida sulla situazione che stiamo vivendo:


SETTIS - LA CULTURA SCENDE IN CAMPO. Quindici tesi sull’Italia 
di Salvatore Settis
LEFT, 25 MAGGIO 2013

1. La crisi della democrazia rappresentativa, presente ovunque, è particolarmente grave in Italia, a causa di due peculiarità del suo sistema politico: la legittimazione di un leader (Berlusconi) che non avrebbe titolo ad esser tale sia per i conflitti di interesse che per i reati comuni di cui è accusato, e una legge elettorale (il Porcellum) iniqua e anticostituzionale.

2. Un governo di “larghe intese”, che capovolge il responso delle urne, aggrava ulteriormente questa crisi, inseguendo l’impossibile modello di una democrazia senza popolo.

3. La natura estrema di questa crisi non colloca l’Italia fuori dal contesto mondiale. Al contrario, ne fa un caso-limite (per ciò stesso esemplare) di crisi della democrazia. Quello che accadrà in Italia (la vittoria della casta politica contro l’elettorato, o la riscossa dei cittadini) è perciò di grande rilevanza nel quadro globale. Grande è la nostra responsabilità.

4. Ingranaggio-chiave della crisi della democrazia è la dominanza dei mercati, cioè di persone, gruppi di interesse, lobbies bancarie e finanziarie che determinano il corso dell’economia. Queste oligarchie, in quanto sfuggono ad ogni controllo democratico, sono la vera e sola “antipolitica”. L'Europa si è ridotta ad essere il territorio di caccia di queste oligarchie e tecnocrazie, e le scelte politiche italiane viaggiano con questo «pilota automatico», secondo la frase di Mario Draghi. Su questa tendenza si sono appiattite in Italia tanto la destra quanto la “sinistra”, che ha con ciò rinunciato alla propria missione storica di difensore dei diritti dei cittadini, nascondendosi dietro un passivo “ce lo chiede l’Europa”.

5. La dominanza dei mercati, con la complicità della politica, genera (in Italia come altrove) un’ “austerità” che non crea ricchezza, ma la concentra nelle mani di pochi; pone il lavoro e la dignità della persona al servizio del mercato; mortifica libertà e uguaglianza comprimendo la spesa e i servizi sociali; innesca disoccupazione, disagio sociale, emarginazione, povertà.

6. L’anestesia che ci viene proposta come “pacificazione” o “responsabilità” consiste non solo nell’annientare le differenze fra “destra” e “sinistra”, ma anche nel chiudere gli occhi davanti ai problemi dei cittadini in ossequio alla dittatura dei mercati. Questa è stata la base e del “governo tecnico”, fase di rodaggio delle “larghe intese” oggi all’opera. Ma gli inviti all’amnesia vanno respinti perché sono contro gli interessi dei cittadini e contro la legalità costituzionale.

7. Il progetto di “democrazia senza popolo” sussiste perché l’antica funzione dei partiti come luogo di riflessione e di progettazione è morta. Quel che resta degli apparati di partito si è trasformato in un macchinario del consenso, fondato sulla perpetuazione dei meccanismi e delle caste del potere.

8. Una parte larghissima del Paese esprime una radicale opposizione a questo corso delle cose. Lo fa secondo modalità diverse, anzi divergenti: (a) la sfiducia nello Stato e il rifugio nell’astensionismo; (b) gesti individuali di protesta (fino al suicidio); (c) vasti movimenti che si trasformano in partito, come il M5S; (d) piccole associazioni di scopo, dichiaratamente non-partitiche, per l’ambiente, la salute, la giustizia, la democrazia. Queste ultime sono ormai alcune decine di migliaia, e coinvolgono non meno di 5-8 milion di cittadini. E’ a partire dall’autocoscienza collettiva generata da questo associazionismo diffuso (ma anche nei sindacati) che si può avviare la necessaria opera di restauro della democrazia.

9. Queste forme di opposizione “vedono” quel che sembra sfuggire a chi ci governa: il crescente baratro che si è aperto fra l’orizzonte delle nostre aspirazioni e dei nostri diritti e le pratiche di governo. Tuttavia, le associazioni e i movimenti, pur generando anticorpi spontanei alle pratiche antidemocratiche, stentano a trovare un denominatore comune, un manifesto che possa tradursi in azione politica.

10. Questo manifesto esiste già. E’ la Costituzione della Repubblica. Essa va studiata e rilanciata come la Carta dei diritti della persona e della collettività, che corrisponde in grandissima parte all’orizzonte delle aspirazioni e agli anticorpi spontanei della protesta.

11. Costituzione alla mano, l’universo dei movimenti e delle associazioni si può rivelare a un tempo stesso come il sintomo di un malessere e la cura della democrazia italiana. Sintomo, perché mette allo scoperto il carattere anti-democratico della politica “ufficiale”. Cura, perché i movimenti sono un serbatoio di idee, di elaborazioni, di progetti, di riflessioni, nell’esercizio del diritto di resistenza (che, secondo la Costituzione della Repubblica Partenopea del 1799, è «il baluardo di tutti i diritti»).

12. Questa forma di resistenza civile in nome del bene comune (che la Costituzione definisce “interesse della collettività” o “utilità sociale”) va intesa come adversary democracy : e cioè come l’esercizio pieno della cittadinanza, che non si esaurisce nel voto, ma si estende a una continua vigilanza critica e capacità propositiva. Essa non sostituisce la rappresentanza politica, ma si affianca ad essa, la controlla e la stimola. Non è contro la democrazia: al contrario, intende salvare la democrazia mediante la partecipazione dei cittadini, secondo il disegno della Costituzione.

13. La Costituzione non va intesa come una litania di articoli staccati, ma come una salda architettura di principi, coerente e inscindibile. L’adversary democracy va esercitata partendo simultaneamente dalla consapevolezza dei propri diritti e dalla difesa della legalità costituzionale. In nome della Costituzione vanno rimesse in onore le vittime sacrificali della presente dittatura dei mercati: le regole della politica e i pilastri del progresso sociale (politiche del lavoro, welfare state, diritto alla cultura e alla salute).

14. Nel crepuscolo della democrazia, è possibile, desiderabile, necessario ripartire dai movimenti per riformare i partiti e i sindacati, per ricreare la cultura politica che muove le regole.

15. Salvaguardare la Costituzione negando legittimità a qualsivoglia “Costituente” autonominatasi è precondizione necessaria del ritorno a una piena democrazia costituzionale. E’ urgente, piuttosto, l’alfabetizzazione costituzionale dei cittadini, simile a quella promossa dal Ministero per la Costituente (governi Parri e De Gasperi, 1945-46). Perché «ogni legislatore dev’esser guidato, sorretto, confortato dalla coscienza del suo popolo» (A.C. Jemolo).

P.S. Se il M5S avesse sfruttato anche altri mezzi di comunicazione che non fosse il semplice e solo web, come la tribuna televisiva avrebbe avuto maggiore visibilità la propria intrinseca innovazione  (nonché le proposte avanzate) e non sarebbe stato bollato come il Movimento dello scontrino. 
Miriam Di Carlo. 

mercoledì 29 maggio 2013

Nuovo post di Grillo: rassicurare. Vinceremo!


Cominciamo con un’autonarrazione delle propria gesta: passato remoto ormai in disuso nella lingua semplice comunicativa di tutti i giorni. “Casaleggio disse”. E al pari di Cesare minimizzare le proprie gesta che non passeranno inosservate nei libri scolastici, rende questa finta modestia un grande monumento politico per i semplici di cuore.
Ora dopo la denuncia, si mitigano i toni, e attraverso una cortesia linguistica e concettuale di bassa portata si cerca la riparazione e la rassicurazione. Ci sentiamo accarezzati dalle parole di Grillo: andrà tutto bene, vedrete.
Ma come si può stare zitti davanti a questa frase “Dopo le elezioni politiche la stampa e le televisioni si sono scatenate contro il M5S come se fosse l'anticristo con una rabbia, un odio, un disprezzo che non ha riscontro nella Storia d'Italia.”: da quale pulpito viene fuori quest’asserzione completamente rigirabile verso colui che la profferisce? L’odio, il disprezzo e la rabbia sono la marca del Movimento, la caratteristica portante per cui nell’immaginario collettivo Grillo occupa foto in cui ha sempre la bocca spalancata e piena di bava, pronto a sputare su tutto e tutti.
E ancora “Si dice che Bottino Craxi, prima di involarsi, suggerì al suo sodale Berlusconi "Hai dei cannoni a tua disposizione, le reti televisive, usali"  possiamo così riparlarne: “Si dice che Gianroberto Casaleggio, prima di involarsi (nell’etere), suggerì al suo sodale Grillo “Hai dei cannoni a tua disposizione, il web, usalo”. e aggiungici anche una rete televisiva unica vagliata dal sottoscritto, e togli pure i finanziamenti ai giornali. Ora, anni e anni di civiltà per arrivare alla pluralità di idee, per garantire che anche questo Grillo* abbia delle sue idee malsane per poi fare tutto un groviglio stretto e consegnarlo nella mani del “tappo” di turno.
“Forse la destra ti prende un po' meno per il culo.”: questo è un punto veramente dolente perché è indubbio e sotto gli occhi di tutti che dal risultato di febbraio la destra sia passata meno sotto il torchio rispetto al Pd, e non perché questa sia collaterale governativamente parlando (anzi ha proprio in mano la bilancia, nemmeno l’ago), ma perché è un modo per rinsaldare un eventuale crollo del sistema attraverso una figura che serve per mettere a repentaglio il tutto e secondo lo stilema tanto caro al grillino medio “far saltare il banco”. Viviamo in un sistema istituzionale ormai spappolato in cui bisogna mantenere la struttura portante cominciando a cambiare i materiali: e ci vorrebbe un bravissimo muratore, concreto e veloce.
Infine “Il M5S cresce ogni giorno” messo addirittura in grassetto sembra quasi beffardo: come a dire abbiamo perso ma non ci credete mica. La stessa strategia della destra (a differenza del vittimismo della sinistra): far credere che si è forti anche quando non lo si è. Come un uomo di 50 kg e senza un muscolo in un’ armatura costruita per un wrestler dica “Sono fortissimo”: ci si crede finché non comincia a camminare e lo si vede barcollare e poi cadere inesorabilmente. 
Miriam Di Carlo

* Per correttezza dirò subito che all'inizio avevo messo "Idiota" e non era nel senso dostoevskijano. Fedor era più buono di me.
P.S. La lettura biblica consigliata dalla chiesa ieri riportava questa frase che ripropongo per i valori filosofici che implica conseguentemente (si Legga il Leviatano di Hobbes in cui tale mostro sembra nato per volontà di Dio per liberare ma poi opprime al pari di un Demòne. Come tutte le metafore può essere applicata a diversi soggetti ma profeticamente è capitata proprio ieri, toh.): "Ecco, quella notte sia sterile e non entri giubilo in essa. La maledicano quelli che imprecano al giorno, gli esperti a evocare Leviatan." (Lamentationes, Iob.).
 

martedì 28 maggio 2013

Pd: ha vinto l'astensionismo + Il fatto di Travaglio + Blog Grillo.


Ha vinto l’astensionismo.
Grandissimo risultato del Pd: è riuscito nuovamente a far vincere un'altra entità. A volte concreta a volte astratta ma vince sempre qualcos’altro.
D’altra parte stamattina ho comprato il Fatto Quotidiano giusto per sapere cosa dice la stampa “indipendente”. L’editoriale di Travaglio “Il grillo Marino” mi sembra a dir poco agghiacciante. Denuncia ma liscia: ma lo sappiamo bene, la peculiarità di Travaglio è questa oltre al fatto di trovarsi sempre un nemico da abbattere tramite cui sussistere nutrendosi della sua vigoria[1]. Ma il nemico non diventa mai Grillo: questa volta Travaglio finge di essere super partes. Finge perché magistralmente termina la sua bella colonnetta con i due pregi del Movimento. E si sa, la parte finale di un articolo è la parte più forte e che rimane impressa. Però si è tirato fuori, indenne da un eventuale capitombolo del M5S.
Poco fa invece arriva la risposta di papà-Grillo che di certo anche questa volta non dimostra di essere una papà Gambalunga, sia fisicamente che moralmente. E’ come se avesse ripreso la scritta che campeggia in alto sul Colosseo Quadrato dell’Eur la quale cita:
Un popolo di poeti di artisti di eroi
  di santi di pensatori di scienziati
 di navigatori di trasmigratori” aggiungendo alla fine “e di coglioni”.
Infatti la grande analisi di Grillo parte da un'altra assiologia tassonomica ma dicotomica quindi a dir poco banale per descrivere il tessuto sociale variegato e molteplice italiano: ma che ci importa? La sua campagna elettorale è stata condotta sulla base di banalizzazioni e riduzioni a minimi termini fin troppo minimi. Quindi secondo Grillo l’Italia è composta da due classi. Quelli interessati allo status quo e quelli che soccombono ogni giorno. Un’analisi degna del più grande statista. E lui dove si colloca? Sicuramente se anche lui, conformemente alle esortazioni rivolte ai parlamentari da lui tutelati e da lui osteggiati, avesse buttato dalla finestra tutti i suoi beni al pari del Santo d’Assisi[2], avrebbe raggiunto maggiore credibilità agli occhi dell’elettorato, avrebbe dato un esempio di coerenza e concretezza senza che questa fosse demandata ai suoi figli. In maniera del tutto palinodica (ovvero attraverso finta ritrattazione), non incolpa della sconfitta tutto ciò che ha additato fin d’ora: non è colpa dei giornali, non è colpa delle reti televisive. Ma in fin dei conti sì. Perché vi hanno distorto talmente tanto la mente da non capire, mentre io sì. Questo è un ulteriore sbaglio di Grillo: dare una visione totale e onnisciente del reale (cosa che il vero politico non dovrebbe fare), compreso a livello visionario soltanto da lui: in questa maniera chi dissente da lui e si sente un po’ insicuro, si reputa un imbecille e segue chi pensa possa capirne un po’ di più.
La più grande “rosicata” poi è stata maturata questa nottata, seguendo i risultati di Siena: vero cavallo di battaglia del Movimento che ha sempre cercato di convincere anche la gattara de Tor Pignattara che il Monte dei Paschi di Siena è il motivo più valido per non avvicinarsi al Pd.  Veramente leggendo la storia del Movimento, Grillo mi ricorda in tutto e per tutto questo pezzo di Aldo, Giovanni e Giacomo in Tre uomini e una Gamba: non va bene niente, niente di niente, poi trovato il modo di urlare ecco come ci si ritrova, perdendo il timone. http://www.youtube.com/watch?v=MX9wJV9XKqE
In fin dei conti dopo queste elezioni l’Italia mi sembra la grande eroina delusa e abbandonata di Ovidio[3] che rimpiange il suo amato (una politica sana) affinché la conduca: spera che torna vigoroso e forte ma in fin dei conti è rimasta delusa dalla sua troppa assenza e tale delusione la induce a non fidarsi più. Per questo si chiude e rimane muta, aspettando.
Ma nella strada, tra la gente, la vita va avanti e sebbene il ruolo del politico sia quello di stare sopra tutti, non farsi intenerire da piccole affettività locali per garantire un benessere collettivo e complessivo in cui ogni entità abbia la sua buona dose di libertà e diritto nonché dignità, la gente continua ad intenerirsi, a sperare, a mettere le mani in pasta anche nelle piccole cose giornaliere, che si sa, sono il sale dell’esistenza.

P.S. Aggiungo una piccola postilla sul caro Alemanno. E' stato veramente carino e tenero stamattina quando ha dato la colpa al derby "ha distolto l'attenzione" (anche la destra al pari del M5S non è vittimistica sulle sconfitte ma addita gli elettori come deficienti i quali, secondo la mentalità dell'uomo-medio-italiano che non concepisce di passare da coglione perché metterebbe in crisi la sua virilità, rispondono con un intelligente "eh no, eh, Adesso vi voto così non passo per deficiente!") e poi ha farfugliato altre scuse da III elementare. Sono sicura che Alemanno veniva picchiato da suoi compagni da piccolo. 

Miriam Di Carlo






[1] Inoltre aggiungo che la Gabanelli non viene citata con il suo proprio cognome ma inserita all’interno di una parentesi che riporto testualmente: “(tipo i delirii della cronista di Report sulla pubblicità del blog)”. Oltre l’errore di ortografia che confido nell’identità di refuso si nota una certa bruciatura ancora dolens. Prossimo passo: studiare l’infanzia frustrata di Travaglio.
[2] Al quale si appella sempre, rimarcando le analogie tra il Movimento e il Santo.
[3] Le Heroides di Ovidio rappresentano un’opera innovativa e originale: consistono in 21 lettere che Ovidio immagina essere state inviate da un’eroina antica ad un suo amato che l’ha abbandonata o che è partito per un lungo viaggio. Quindi per esempio vicino a Didone possiamo trovare anche Penelope e addirittura Saffo a testimonianza che nell’antichità si era più scevri dai pregiudizi. 

lunedì 27 maggio 2013

"Ma eravate veramente così idioti?".


Eppure Arfio è un bell’uomo. Pensavo che almeno l’elettorato medio femminile si sarebbe schierato a favore dell’avvenente velista: sarebbe stato bello vederlo solcare il biondo Tevere accarezzando francescanamente pantegane e nutrie. Valorizzando la fauna tipica romana fatta de gattacci de borgata e sobrie cartomanti trasteverine: ma no. Questa volta il centrosinistra del marchio Pd sembra aver conquistato la maggior parte dei comuni italiani. A parte il fatto che per Roma si andrà al ballottaggio all’ombra dell’inquietante Alemanno che oltre all’abolizione dell'IMU ha promesso non solo un flash-mob hip hop ogni mese al Colosseo, gratta checca nella metro, ma soprattutto foto aggratise con il gladiatore molestatore dei Fori. Tutti siamo allettati da questo “panem et circensem” di bassa lega distribuito così copiosamente dall’amministrazione uscente e siamo fiduciosi del fatto che anche questa volta il centrosinistra riuscirà a NON-vincere, ovvero a intascare l’ulteriore non-vittoria. Come? Ogni volta in maniera diversa: aspettiamo l’innovazione estate 2013.
Ma indipendentemente da centrodestra o centrosinistra la lente d’ingrandimento va puntata su quel grande urlo provocatorio emesso in occasione delle passate elezioni. Che fine hanno fatto le cinque stelle? Vedendo i risultati (sebbene provvisori) nei vari comuni italiani si evince un netto calo del consenso su tutta la superficie italiana. Sebbene il sistema del Movimento, a mio avviso, sia abbastanza efficace a livello locale (infatti la regione Sicilia ha dimostrato questa grande forza) dato da una maggiore rappresentatività tramite la piattaforma informatica che rende visibili e udibili (quindi evidenti) problemi di varia entità e che quindi possono essere ben affrontati appellandosi ad un’amministrazione comunale, provinciale e regionale, il Movimento ha messo la coda tra le gambe e se ne va a testa bassa. E Grillo piange, e Casaleggio rimette nel cassetto il grande sogno di creare il grande Facebook collettivo in cui se sei on line significa che ti sei alzato dal letto, se sei busy stai a lavoro e sei offline o sei morto o stai semplicemente dormendo: il Casa ancora sta perfezionando il sistema e questo problema si è palesato solo con la morte di Andreotti che ha creato non poche inquietudini. Ora, il vecchio ago della bilancia, il nuovo centro anti-centro si è spento come un grande fuoco di paglia: forse per la poca credibilità, per la poca competenza, per la sciatteria delle proposte ma soprattutto per la poca concretezza. L’Italia ha subito indubbiamente un grande schiaffo ma di certo se avesse avuto il sostegno del Movimento ora la velocità non sarebbe di un treno regionale ad alta frequentazione ma magari di un bel FrecciaRossa. E’ anche vero che non si può neanche dire: se la vecchia non moriva ancora campava. Ormai la situazione è questa e il Movimento ha creato il grande sottovuoto istituzionale annientando i batteri anaerobici ma rinvigorendo quelli aerobici come la Santachè che al pari del grande Highlander tempesta ancora le tribune politiche con la sua bocca, marchio di fabbricazione del PdL. Ancora in balia del Dio-Priapo*. Ci saranno delle belle ma vorrei solo togliermi lo sfizio di leggere il libro di storia di mio nipote e vedere come affronta questo benedetto periodo storico. Più che altro ho paura che mio nipote mi dica: “Ma eravate veramente così idioti?”. 
Miriam Di Carlo

* Per chi non lo sapesse, il Dio Priapo, particolarmenete presente all'interno del Satyricon di Petronio è il dio della fecondità maschile, ovvero del fallo. Il dio viene associato, proprio in relazione a questa virtù all'asino. Lascio a voi analogie. 

domenica 26 maggio 2013

UNA MEDICINA CHE NON CI GUARIRA'.

Oggi leggendo l'articolo di Scalfari su Repubblica  (Una medicina amara che forse ci guarirà) ho pensato che il fondatore del quotidiano romano sia troppo ottimista. L'ottimismo è una grande qualità, che invidio nelle persone. Pur sapendo che il mio giudizio potrà essere parziale e sbagliato - cosa che francamente mi auguro, per il mio bene e per quello del Paese - non posso evitare di esprimere i miei dubbi. 

Scalfari ha scritto che:
 [...] il governo, come tutti i governi, è un'istituzione e, come tutte le istituzioni, ha una sua autonomia e non è uno strumento delegato dei partiti. Certo la sua esistenza dipende dalla fiducia del Parlamento [...]
Ha scritto bene Scalfari con la frase ha la sua autonomia. Avere una propria autonomia non significa però avere un'autonomia assoluta. L'autonomia dell'esecutivo è ristretta alla fiducia, come scrive il fondatore di Repubblica, che i partiti concedono in Parlamento. Ma non solo. In realtà, se è vero che la Costituzione de iure recita ciò che ha scritto Scalfari, de facto sappiamo che la situazione è leggermente diversa. 

I membri dell'esecutivo sono politici - e la maggior parte parlamentari - di due schieramenti eterogenei, ben vincolati ai loro partiti di appartenenza. Soprattutto gli uomini del Pdl, Alfano in primis, non possono agire in libertà senza chiamare in causa il Cavaliere, che non solo è fondatore e presidente ma anche padrone assoluto del Pdl. I membri pidiellini dell'esecutivo non eseguono qualunque tipo di operazione, se prima non si sono consultati con Quello-lì, il quale controlla direttamente per metà il Governo Letta.

Scalfari è stato abbastanza equilibrato, poiché ha espresso una speranza, non un giudizio, che il governo possa operare con decisione sui problemi più gravi del Paese: pagamento dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese, rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, nuovi posti di lavoro per i giovani, sgravi fiscali alle imprese, riforma dell'Imu, rilancio della crescita in Europa, abolizione delle Province, abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e, dulcis in fundo, legge elettorale. 

Tra queste proposte ancora nessuna è stata attuata, se non la sospensione dell'Imu, proprio voluta da Quello-lì. Non a caso, infatti, il primo provvedimento effettuato è stato il cavallo di battaglia del Pdl in campagna elettorale. Il pagamento dei debiti della p.a. verso le imprese, invece, è stato uno degli ultimi provvedimenti del Governo Monti, ma ancora dovrà essere completato. 

Letta, nei suoi colloqui con i leader europei, ha anche rilanciato la politica della crescita, anche se non sarà lui a decidere un'inversione di tendenza sulla politica dell'austerità, bensì le elezioni politiche che si terranno a settembre in Germania. Una vergogna, invece, l'ideazione di una nuova legge elettorale, basata su piccole modifiche al Porcellum, altra idea di centro-destra. 

Letta, durante il discorso di insediamento, non ha annunciato politiche in grado di creare nuovi posti di lavoro; inoltre il Presidente del Consiglio ha affermato di voler approntare una nuova politica industriale con sgravi alle imprese, ma deve ancora comunicare quali saranno le risorse che metterà in campo a favore di questo provvedimento. Pare proprio che siano gli uomini di Quello-lì a guidare il governo, come volevasi dimostrare. 

Una nota positiva, e penso l'unica: il Governo Letta si farà promotore dell'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Spero si approverà al più presto questo provvedimento, il quale sarebbe un segnale per i cittadini che hanno perso fiducia nella politica. E' passato solo un mese da quando Letta si è insediato a Palazzo Chigi: è troppo presto per tirare le somme. Ma questo mese di governo non potrà e non dovrà rispecchiare l'intera legislatura. 

Ha detto bene Grillo: il Governo Letta ha la pistola di Quello-lì puntata alla tempia. Scalfari scrive a proposito: 
se uno dei partiti che lo appoggia [il Governo] decide di sfiduciarlo, deve proporre la sua sopraggiunta sfiducia al Parlamento assumendosene la responsabilità.
Scalfari ritiene che Quello-lì si assumerà la responsabilità di un'eventuale sfiducia di Letta davanti ai suoi elettori? Gli elettori lo sfiduceranno per questo? E perché non ha perso le elezioni, anzi è tornato al Governo, se ha fatto cadere lui l'esecutivo montiano? Se premerà il grilletto, paradossalmente sarà colpevole il morto e non l'assassino: Quello-lì accuserà il defunto governo di essere colpevole della difficile situazione italiana. E molti gli crederanno, ancora una volta. 

Marco Di Caprio.
 

sabato 25 maggio 2013

Meditazione su una crisi e una Speranza di Miriam Di Carlo.


Ho parlato con un uomo sconosciuto un giorno. A lungo. E la cosa mi capita spesso. Una volta sono riuscita persino a parlare del braccio di una leva (in gergo fisico-matematico) a proposito della migliore presa per non cadere in metro. Non chiedetemi il perché. Io parlo con tutti quanti abbiano predisposizione al parlare. Perché ogni incontro è un arricchimento: banalità ma vera. E’ una risorsa grandissima, una scoperta continua. Basta solo osservare attentamente, ascoltare aguzzando l’orecchio: il fascino di scoprire storie che camminano. Ognuno con il proprio bagaglio di credenze maturate durante la propria esistenza, e bagaglio di eventi passati che si tramutano in esperienza, e bagaglio di fatti futuri che sono speranze o preoccupazioni, e bagaglio di praticità fattuale. Ma ogni uomo è un evento in potenza, che non sa della grande forza che ha nel divenire atto, ogni singolo momento di vita.

  •           Un autista che mi disse che stiamo vivendo una terza guerra mondiale sotterranea ed economica.
  •           Un vecchio sindaco del PCI cha andava dai suoi parenti all’estero dopo essersi ritirato per le troppe delusioni politiche. Aveva da poco fatto l’impianto ai denti e non riusciva a sorridere per bene.
  •           Una ragazza innamorata che prendeva l’aereo per la prima volta dopo aver conseguito due lauree in tempi record.
  •           Una signora preoccupata per la cena della sera: sarebbero arrivati ospiti da Milano e voleva fare qualcosa di tipico ma non elaborato.
  •           Due ragazzi seminaristi terribilmente giovani ma bellissimi negli occhi, nelle parole, nei sorrisi.
  •           Una coppia di padovani ad aspettare la loro figlia entrata nell’Accademia Militare. Conservo ancora il biglietto della donna, confeziona confetture. Anche mia madre.
  •           Una signora che ho accompagnato fino al luogo d’incontro con il gruppo turistico per visitare i Musei Vaticani. Ho fatto ritardo all’università, ma ne è valsa la pena. Francese.
  •           Una ragazza di rientro dall’erasmus, con tanto pianto nel cuore e tanta paura di vivere.


Ma la visione più concreta di questa crisi necessaria e sufficiente per noi giovani è venuta dalle tre età della vita che incontrai una volta sulla metro B quale apparizione epifanica: tre uomini. Un ragazzino con il cellulare assuefatto dal videogioco o internet; un uomo di 40 anni ricurvo sulla sua valigetta, la fronte corrucciata ricurva anch’essa fino alle sopracciglia cadute pesantemente sugli occhi vacui; un signore anziano dalle mille pieghe e rientranze della pelle. Lo sguardo più lungo e intenso l’ho avuto con quell’uomo assai vecchio e bellissimo nella sua vecchiaia. Ho parlato a lungo con lui in quell’incrocio di sguardo, talmente tanto a lungo che mi sono sentita dentro il monito più dirompente della mia vita: non smettere di sperare nell’umanità. Sebbene tutto, abbandonando giudizi e pregiudizi perché io sono te, con tutti gli errori, con tutte le debolezze, le idiosincrasie, passeggeri su una vita dai dialoghi muti.

Miriam Di Carlo


P.S. Ho pensato sia doveroso segnalare alcune persone di prestigio che possono contribuire ad una visione  non pretenziosa della vita. Essi sono Luigi Ghirri e Gianni Celati. Riguardo il fotografo Luigi Ghirri è appena stata allestita fino a Ottobre una sua mostra fotografica: non credete che siano chissà quali foto introspettive o innovative. No, sono semplici brani di vita, senza ritocchi, senza nulla che possa far pensare ad una fotografia ma solo ad una frazione ottica che vediamo tutti i giorni. Mentre di Gianni Celati propongo questo magnifico filmato di "Mondonuovo", film-reportage uscito nel 2003. A forza di vedere film di Gianni Celati si finisce di vivere la vita con la sua voce accogliente nelle orecchie come se lui fosse un narratore dentro di te. http://193.204.255.75/elephant_castle/web/interviste/inimmaginabile-parte-1/21 

giovedì 23 maggio 2013

L'ITALIA, PARCO GIOCHI DEL JOKER.

Quello lì sì o Quello-lì no? Non è ancora finita l'epoca di un Paese spaccato in due sulla figura del Joker di hARdCORE. Il Mov 5Stelle vuole proporre nella giunta per le elezioni in Senato un ddl che lo renda ineleggibile. Ma già Epifani chiude la partita: per me non è ineleggibile. 

Eppure non ci voleva così a tanto a capire la posizione del Pd sulla figura di Quello lì, se i democratici hanno accettato di formare un governo con lui. Il sistema politico italiano è talmente corrotto che i pochi anti-berlusconiani sono messi quasi ai margini della vita politica. 

Mentre in Austria e in Belgio, sono stati formati governi di grande coalizione per ostacolare partiti di estrema destra, in questo Paese il governo di coalizione si contrappone agli anti-berlusconiani. 

Io sono ben favorevole all'ineleggibilità di Quello-lì, ma tuttavia capisco anche le ragioni di chi vuole evitare un provvedimento di questa sorta contro di lui. L'ex premier, fin quando avrà a disposizione potere mediatico, potrà sfruttarlo a suo vantaggio. Nel caso fosse dichiarato ineleggibile, potrà facilmente convincere molti italiani in merito alla teoria del complotto contro di lui. 

Il ventennio berlusconiano è stato negativo non solo perché abbiamo visto l'indagato fare leggi per evitare i processi a suo carico. Ma anche perché nella politica è nato un reazionismo nei suoi confronti, che non è riuscita a farlo fuori. Questa fazione giustizialista, prima capeggiata da Di Pietro e ora dai 5Stelle, ha giustamente tentato di farlo fuori, spiegando alla popolazione che il Cavaliere merita di essere condannato per le sue malefatte, così come avviene in qualunque altro Paese. Niente di più giusto. 

Ma in un Paese come l'Italia, in cui buona parte della popolazione non è interessata al tema della corruzione e dell'evasione fiscale, come fare a battere Quello lì? Semplice. Di Pietro prima e ora il Movimento 5 Stelle sono stati protagonisti di un errore strategico: hanno orientato la lotta contro di lui come una lotta contro un individuo solitario. 

Non hanno spiegato nella maniera adeguata i disastri di natura economica che ha portato il decennio di Governo del Cavaliere, dal 2001 al 2011 (da cui è da espungere solo il biennio del centro-sinistra di Prodi tra 2006 e 2007). Molti di questi giustizialisti non hanno capito che l'unico modo per far fuori Quello-lì è sottolineare la sua incompetenza come presidente del Consiglio e i suoi fallimenti politici. 

Quello lì ora rischia una condanna in Cassazione, che potrebbe metterlo  in disparte. Eppure non sarà neanche un'eventuale sentenza a fermare il suo operato in politica: i suoi oppositori politici dovranno insistere sulla sua incompetenza di leader e fare di tutto, per quanto è possibile, anche tramite internet, per aprire e allargare il dibattito intorno ai disastri di natura economica che lui ha portato al nostro Paese. 

Per il resto, non credo che il Pd potrà fare nulla contro il Cavaliere, dal momento che governa con lui, o meglio fa governare lui. E' colpa di Quello-lì se il Governo Letta non darà una legge elettorale adeguata a questo paese e manterrà il Porcellum, seppur lievemente modificato.  

Il Pd si è lamentato dell'intenzione del Presidente del  Consiglio di ascoltare il Pdl in merito alla riforma elettorale. D'altronde Letta (Enrico) sembra più interessato ad ascoltare le opinioni di suo zio Gianni che non la base del suo partito. Per quanto riguarda la ritrovata compattezza del Pd contro la scelta dell'esecutivo in merito alla riforma elettorale, non ho molte parole da spendere. Il Pd si è meritato tutto questo. Quanto mai opportuno un detto popolare: chi è causa del suo mal pianga se stesso.

Marco Di Caprio.

Metafore del potere e sull'etimologia di Mafia, Camorra e 'ndrangheta. Miriam Di Carlo




Le metafore e le metonimie sono processi retorici che investono il significato della parola per questo vengono dette figure di significato. Esse vengono usate durante le due Legislature per indicare i nomi del potere come nei seguenti casi: 
-         Cupola. Il vocabolario Treccani, sotto cupola indica come primo significato quello riferito all’architettura ovvero: “tipo di volta a pianta circolare la cui forma geometrica può essere quella della semisfera […]”. Dal significato architettonico si ottiene, attraverso un processo a metà tra metafora e metonimia, quello giornalistico di “termine con cui (per traslato) viene indicato il massimo organo dirigente della mafia, del quale farebbero parte i capi designati dalle più potenti famiglie di una determinata area geografica, per il controllo delle molteplici attività illegali svolte dall’organizzazione e per le decisioni ultime in merito alle questioni più delicate (rapporti con altre organizzazioni criminali e con il mondo politico, apertura di nuovi mercati per lo smercio della droga, eliminazione di persone indesiderate, ecc.)”. In questo caso il processo metaforico riguarda l’analogia con la cupola per antonomasia, ovvero quella di San Pietro, che è simbolo del potere monarchico assoluto della Chiesa. Per metonimia poi dalla cupola si passa a designare il potere esercitato al suo interno[1]. Ad avvalorare l’ipotesi di questa ricostruzione semantica concorre il soprannome dato al maggiore vertice della Cupola, ovvero Michele Greco, detto il Papa per le sue grandi capacità di mediatore tra le diverse famiglie mafiose. All’interno del corpus dei discorsi vi è anche un plurale, cupole, con cui si allude ai diversi organi mafiosi che compongono l’organismo della criminalità organizzata, e il composto controcupola, che sembra un occasionalismo semantico[2].
-         Piovra. Anche piovra ha subito un processo metaforico e dal significato primario desunto dai dizionari[3] (“particolare classe di molluschi cefalopodi”) è passato per traslato a indicare prima una “persona avida e priva di scrupoli, che vive sfruttando egoisticamente e spietatamente un’altra o altre persone, fino a distruggerne le risorse e le energie, e a provocarne talvolta la rovina” (come ad esempio un usuraio), fino al significato con cui viene impiegato nel corpus dei discorsi: “organizzazione criminale, con ramificazioni molto estese, il cui potere e la cui influenza si estendono, in forme anche spietate, in disparati settori della realtà politica, sociale ed economica; l’espressione, fa allusione non solo ai lunghi e forti tentacoli del mollusco ma anche alla sua vita abissale[4]” (Treccani).

-         Toghe. Con toga si suole indicare, nei discorsi il potere della magistratura. Il processo alla base di tale significato è quello della metonimia[5], secondo cui si ha il passaggio dal significato materiale del termine “in età moderna, mantello nero aperto sul davanti, con maniche molto ampie, indossato dai magistrati e dagli avvocati in tribunale, nelle udienze (e anche dai professori universitari in alcune cerimonie ufficiali)” a quello animato di “simbolo dell’autorità e del potere civile (contrapposti a quelli militari e in partic. all’uso delle armi): cedano le armi alla t., frase che traduce il lat. di Cicerone cedant arma togae; e come simbolo dell’esercizio della giustizia e dell’attività forense di magistrati e avvocati” (Treccani). Stesso procedimento che investe anche la frase “la camicia nera Tassi” detta da Sgarbi a proposito del fascista Tassi.


[1] Questa sarebbe addirittura una sineddoche come dice Dardano all’interno del suo Manualetto. La sineddoche è una figura retorica simile alla metonimia, che consiste nel trasferimento di significato da una parola ad un’altra che abbia con la prima un rapporto di quantità. Ci sono due tipi di sineddoche: nel primo si adotta il concetto più ampio per indicare quello più ristretto (s. generalizzante: ad es. il mondo per gli uomini) nel secondo l’inverso (s. particolarizzante: es. la prora per la nave). L’etimologia: dal greco συνεδοχή (dal tema di δέχομαι, “accolgo”). LAVEZZI G., Breve dizionario di retorica e stilistica, Carocci editore, Roma, 2008, ad vocem.
[2] Infatti nelle varie attestazioni del ‘700 e ‘800 esso è usato in senso architettonico, ed è entrato a far parte del lessico specialistico dell’architettura.
[3] Piòvra dal francese pieuvre, propriamente voce normanna, che risale al latino poly̆pus “polipo”, introdotta nell’uso dai Travailleurs de la mer di V. Hugo, 1866. Con piovra si allude al “nome con cui vengono indicati alcuni molluschi cefalopodi (per es. Architeuthis dux) viventi nelle grandi profondità marine, comunemente ritenuti di forme gigantesche, che possono raggiungere i 20 m di lunghezza e il peso di 2 o 3 quintali” (Treccani).  
[4] Il testo del dizionario Treccani così prosegue: “[…] e che forse è ispirata da un uso analogo assunto in inglese da octopus, è oggi una metafora corrente con cui è indicata soprattutto la mafia, per influenza del titolo («La piovra») di un ciclo di film televisivi in più puntate, iniziato con quello del regista D. Damiani, mandato in onda nel marzo 1984” .
[5] La metonimia è la sostituzione di un termine con un altro che stia al primo come la causa sta all’effetto, il produttore per il prodotto, il santo per la chiesa che gli è dedicata, la divinità mitologica per il suo ambito o che abbia con esso un legame di dipendenza reciproca: ad esempio si indica il contenente per il contenuto, la materia per l’oggetto, lo strumento per chi lo usa, una parte del corpo per l’elemento morale di cui è simbolo, l’astratto per il concreto, il luogo per gli abitanti, il luogo di produzione per il prodotto. Lavezzi propone una serie di esempi calzanti tra cui spiccano (proprio perché  presenti all’interno del corpus): “la divisa (connotata dal colore) può indicare chi la porta (le camicie rosse = i garibaldini; le camicie nere = i fascisti); i partiti sono spesso indicati con il loro simbolo (falce e martello per il PCI), le istituzioni con le loro sedi Montecitorio sta per la Camera dei Deputati, Palazzo Madama per la Camera dei senatori”. Effettivamente questi esempi sono tutti presenti nel corpus: “la camicia nera Tassi” così come Montecitorio, Palazzo Madama e Quirinale per indicare la Camera dei deputati, del Senato e la Presidenza della Repubblica. LAVEZZI G., Breve dizionario di retorica e stilistica, Carocci editore, Roma, 2008, ad vocem.


Inoltre vengono considerati dialettismi, ovvero forestierismi ottenuti dai dialetti le parole che indicano le varie associazioni a delinquere come i seguenti casi:

-         Mafia. Il termine deriva dalla voce siciliana mafia “baldanza, braveria”, forse dall’arabo maàhÕŠaàs “millanteria” presente già a partire dal 1863. Con questo lemma si indica la vasta organizzazione clandestina di natura criminosa, sorta nella Sicilia occidentale nel sec. XIX e sviluppatasi a livello nazionale e internazionale, la cui attività consiste tradizionalmente nel procurarsi illeciti guadagni mediante ricatti e soprusi di ogni genere e specialmente nell'imporre il pagamento di contributi forzosi alle aziende agricole, commerciali e imprenditoriali. Per estensione si è arrivati ad indicare “gruppo di persone strettamente solidali fra loro allo scopo di conseguire, lecitamente o illecitamente, determinati vantaggi e difendere con ogni mezzo gli interessi della propria categoria” fino a giungere a “prepotenza, insolenza” (GRADIT)[1].
-         Camorra. Per quanto riguarda camorra invece, essa deriva dalla voce napoletana camorra (1861 nel vocabolario italiano) la cui etimologia incerta viene così sintetizzata dal GRADIT: forse da morra “folla, banda”. Con camorra quindi si indica l’organizzazione criminale di stampo mafioso, costituitasi con leggi e codici propri già durante il '600, e che attualmente esercita il controllo su attività illecite specialmente nell'area napoletana. Per estensione, al pari di mafia designa una “associazione di stampo mafioso” e anche “associazione di persone prive di scrupoli che per vie illecite si procurano favori, guadagni e simili”. Essa significa anche “imbroglio” e “chiasso” (GRADIT)[2].
-         Ndrangheta. Parola che al pari di mafia, camorra deriva da voci dialettali poi entrate nel vocabolario italiano. Essa deriva nello specifico dal calabrese ’ndrànghitu “uomo valente”, che risale al greco *andrágathos, derivato di andragathía “valore individuale”; secondo altre interpretazioni, deriverebbe dal calabrese ’ndranghitiari “atteggiarsi a uomo valente”, dal greco andragathéü “agire da uomo valente, coraggioso”. Il termine quindi indica la “organizzazione criminale calabrese di stampo mafioso” (Treccani). Il GRADIT data il termine al 1968[3].


[1] Il GRADIT riporta una serie di esempi del tipo: m. agraria, delitto o vendetta di m. Poi aggiunge la locuzione lotta o guerra di m. con cui si indica “gruppi mafiosi rivali”. Con mafia poi si è arrivati a designare anche potenti organizzazioni criminali come la m. cinese e quella russa. Tra i derivati il GRADIT riporta: antimafia (presente nel corpus dei discorsi), mafiare, mafiese, mafioso. Tra i composti invece archeomafia, capomafia, ecomafia, mfiologia, mafiologo, narcomafia, zoo mafia. Si registra anche una variante ovvero maffia. Come espressione idiomatica invece fare la mafia significa “ostentare un'eleganza vistosa e volgare”. Interessante è anche il contributo di Sgroi circa l’origine della parola stessa che sarebbe retroformazione dall’aggettivo mafiusu, a sua volta ircocervo rifatto su marfusu “malfusso”, mrfiuni “marpione”, smurfiusu “smorfioso”. Mentre Natella propone nel suo saggio dal titolo La parola “mafia”, di ricondurre l’origine della radice finosimbolica maf- (“gonfio, grasso, grosso, pesante”), ad una matrice africana: Maffia, nome di un’isola della riviera tanzaniana. Il sema poi sarebbe penetrato in Europa attraverso rotte commerciali arabe (ar. Maifa’a “eminenza” “luogo di qualche spessore” che sostiene anche il senso di “personaggio di qualche spessore”). Se così fosse mafia avrebbe affinità filogenetiche con gli innumerevoli vocaboli delle lingue europee (romanze e non) variamente caratterizzate da questo tratto semantico, persino con la Marfisa dell’Ariosto. Sotto il profilo semantico, Luigi Capuana attesta che mafioso stava in origine per “qualcosa di grazioso e gentile, qualcosa di bizzarro, di spocchioso, di squisito; mafiosa veniva chiamata una bella ragazza, mafioso qualunque oggetto che i Francesi direbbero chic”. NATELLA P., La parola "Mafia", Leo S. Olschki Ed., Firenze,2002 e SGROI S. C., Bada come parli, SEI, Torino, 1995.
[2] Tra i derivati riportati dal GRADIT abbiamo: anticamorra, camorria, camorrismo, camorrista, camorristico, camorristeggiare, camorristeggiato, camorristicamente. Interessante è soprattutto camorria “intrigo, soperchieria rumorosa e fastidiosa” con variante camurria. Tra le espressioni si ha: fare camorra ovvero “accordarsi per attuare propositi disonesti a danno d'altri” (GRADIT). Si può approfondire l’argomento attraverso lo studio di Montuori, il quale incrocia una serie di studi al fine di ricostruire l’etimologia della parola camorra. Egli cita: 1) Ottavio Lurati secondo cui camorra ‘organizzazione di delinquenti’ ha origine da camorra ‘veste; coperta’, attraverso l’espressione fare la camorra ‘pretendere la tangente sulla coperta’, che sarebbe nata anticamente nelle carceri, dove i nuovi arrivati erano oggetto delle angherie dei camorristi organizzati (lo studioso avvalora la tesi riportando dei testi in cui si desume questo significato); 2) Lurati raccoglie tutte le conoscenze linguistiche ed extralinguistiche per ipotizzare l’esistenza di un pagare la camorra ‘pagare la tassa per la coperta che veniva messa a disposizione del novello carcerato’ e ipotizza l’anteriorità di tale espressione a quella gergaleggiante di fare la camorra. Di qui la locuzione far camorra ‘obbligare uno a pagare una taglia’ e poi ‘darsi all’estorsione’, da cui sarebbe nato il significato malavitoso di camorra, prima come ‘tangente’, poi come ‘associazione di malavitosi”. L’ipotesi etimologica di Lurati ha il pregio di identificare il significato originale di camorra, che deve intendersi innanzitutto come ‘tangente’ e poi solo in seguito ‘associazione di malavitosi’; 3) Secondo Zamboni invece, camorra deriva da *camorraro ‘biscazziere’, alla cui base c’è il lat. camerarius ‘addetto al servizio della camera’. Quindi alla base di camorra ci sarebbe un non attestato *cammorraro, *camorraro ‘controllore della bisca e taglieggiatore dei giocatori’, di cui camorra ‘associazione dei taglieggiatori’ sarebbe una retroformazione, cioè un derivato a suffisso zero. Questa congettura sembrerebbe trovare la base etimologica più ragionevole, ma suppone che all’origine camorra sia la denominazione di un gruppo. Invece ‘sètta (di delinquenti)’ è un significato non antico ma tardo-ottocentesco del termine: e questo è il motivo per cui è inficiata alla radice un’altra celebre ipotesi etimologica, proposta nel 1934 da Prati, che vedeva in camorra una formazione derivante da ca(ta)-, prefisso rafforzativo, e morra ‘gruppo’. MONTUORI F., Lessico e camorra. Storia della parola, proposte etimologiche e termini del gergo ottocentesco, Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli,2008.
[3] Tra i derivati, attestati abbastanza di recente su testate giornalistiche vi sono: 'ndranghetista, 'ndranghetoso e nel 1991 il diminutivo ‘ndrina “cosca della ‘ndrangheta” (GRADIT). Il linguista Paolo Martino sostiene che ‘ndrangheta deriverebbe dal greco classico, quello parlato nella zona di Bova, in provincia di Reggio Calabria, e precisamente da andragathos che significa “uomo coraggioso, valente”. In molte zone del reggino il verbo andragatizomai, significa “assumere atteggiamenti mafiosi, spavaldi, valorosi”. Già nel periodo della Magna Grecia, individui valenti e coraggiosi avevano dato vita alle cosiddette hetairiai, associazioni di cittadini, in parte segrete, che non di rado conseguivano i loro obiettivi con l’intimidazione e l’eliminazione fisica degli avversari. In un documento cartografico risalente al 1595 si è scoperto che una vasta area del Regno di Napoli, comprendente parti delle attuali regioni della Campania e della Basilicata, era nota come Andragathia region, terra abitata da uomini valorosi. Inoltre la famiglia, detta anche ‘ndrina o cosca, è la cellula primaria della ‘ndrangheta. MARTINO P., Storia della parola ‘ ndrangheta, in AA.VV, Le ragioni della mafia, Jaca Book, Milano , 1983. p.124. 

martedì 21 maggio 2013

SOCIALISMO MALATO.

Capitalismo vs. Socialismo, Destra vs. Sinistra, Liberali vs. Democratici. La società umana, nonostante la sua immensa complessità, è ridotta a un inscindibile binomio di opposti. Ma è vero che nel capitalismo c'è un socalismo, come nel socialismo c'è capitalismo, nella destra c'è sinistra e nella sinistra c'è destra: la reductio a duo diventa riduzione a quattro, poi a otto, sedici, trentadue, etc. Non esistono partiti e movimenti che possano dare una definitiva e stabile posizione che duri in eterno; è anche vero che ultimamente si è creata una frattura in Italia insanabile tra una parte del paese che vuole il cambiamento e una di destra che è intenzionata a mantenere lo status quo. 

Personalmente non credo che i progressisti riusciranno ad avere grande spazio; se anche dovessero vincere le elezioni sarebbero tenuti ai margini dell'azione governativa, così come il partito comunista è stato sempre all'opposizione. La classe politica italiana è intenzionata a mantenere lo status quo, con modesti e minimi cambiamenti che possano dare una parvenza di rinnovamento politico, perché tutto cambi affinché nulla cambi. In questo Paese difficile prospettare uno schieramento progressista che possa combattere effettivamente la corruzione e il malfunzionamento dell'apparato burocratico. 

Di solito gli economisti americani  vedono il socialismo come male di un'Europa che ha aumentato i costi dello Stato e sottratto quel capitale che possibili consumatori rimetterebbero in circolo. Ancora tanti sostengono che il sistema capitalistico-moderato europeo sia peggiore di quello americano, perché prevede troppe imposte,che servono per produrre servizi, il cosiddetto welfare state che accresce una macchina burocratica sempre più ingestibile. Io penso che questo non valga per l'Italia: se è noto che il nostro Paese, a partire dagli anni Sessanta, ha accresciuto il proprio welfare state fino a renderlo parassitismo, è anche vero che il nostro Paese è arretrato per il potere smisurato di una classe politica che ha inglobato tutti i peggiori elementi della vita pubblica. 

Per quanto riguarda il resto d'Europa, il sistema socialista funziona benissimo nel Nord Europa, dove i servizi sopperiscono a tutte le più immediate esigenze dei cittadini: la corruzione lì non è un problema, per cui tutti i soldi effettivamente pagati dai cittadini non sono sperperati o intascati per altri motivi da quelli originari. Il problema della disoccupazione non è dovuto all'aumento del debito e alla difficoltà di ricevere credito, ma piuttosto alla mancanza di politiche che favoriscano la creazione di nuovi posti di lavoro: la Germania dovrà, come spesso si è ribattuto, cambiare la sua politica d'austerità, se non vuole indebolirsi notevolmente rispetto al resto del mondo, trascinandosi con sé tutta l'Europa. 

Gli americani invece hanno un problema opposto agli europei: nonostante la loro ricchezza, non hanno sanità e scuole pubbliche efficienti, non hanno politiche di ammortizzatori sociali; è vero che il loro snello apparato burocratico non grava sul bilancio delle famiglie, ma è anche vero che, senza politiche in aiuto del sociale, rischieranno, qualora la situazione economica diventasse difficile, gravi disordini per la tenuta della propria società. In definitiva, io direi che non sono socialismo o capitalismo il problema, il problema è che cosa si intende per queste etichette.    

Marco Di Caprio.

domenica 19 maggio 2013

Stato-Mafia: l'analisi del discorso alla Camera dei Deputati del 20 luglio 1992.


Si apre di nuovo il sipario su una politica così frastagliata e ricca di insenature da divenire rovo spinoso difficile da penetrare. Lessi e analizzai il discorso tenuto alla Camera dei Deputati il 20 luglio 1992, il giorno dopo l’uccisione di Paolo Borsellino. Presidente della Camera di allora: Giorgio Napolitano. Intervengono a proposito della tragedia consumatasi poche ore prima i seguenti deputati: BIONDI ALFREDO (gruppo liberale), DI DONATO GIUUO (gruppo PSI), FINI GIANFRANCO (gruppo MSI-destra nazionale), FORLANI ARNALDO (gruppo DC), GARAVINI ANDREA SERGIO (gruppo rifondazione comunista), LA MALFA GIORGIO (gruppo repubblicano), MANCINO NICOLA, Ministro dell'interno OCCHETTO ACHILLE (gruppo PDS), PALERMO CARLO (gruppo movimento per la democrazia: la Rete) PANNELLA MARCO (gruppo federalista europeo) ROCCHETTA FRANCO (gruppo lega nord) RUTELLI FRANCESCO (gruppo dei verdi) VIZZINI CARLO (gruppo PSDI). Ovviamente il frontespizio che ho riportato segue non l’ordine di apparizione ma l’ordine alfabetico. Cosa ci interessa dal punto di vista linguistico? Sapere quale fosse la relazione sottesa tra Stato e Mafia ma soprattutto se Borsellino, in quell’agenda rossa tenesse nascosto qualche segreto a tal proposito.

Giorgio Napolitano dice a proposito della descrizione dell’evento e dei minuti subito successivi alla strage “ […]per il giudice Borsellino e per gli uomini della scorta non è stato possibile alcun aiuto, se non quello di ricomporre pietosamente i corpi straziati e quasi del tutto inceneriti. Sono giunte pure, immediatamente, le squadre investigative di polizia scientifica ed i magistrati della procura di Palermo che hanno diretto e coordinato i primi accertamenti.” Discrezione, lucidità oggettività caratterizzano una freddezza da cronista esterno ai fatti. Nulla da eccepire se non quell’avverbio “immediatamente” che potrebbe avere due valori: o quello di rimarcare l’efficienza di uno Stato presente e attento, o quello di togliere un sospetto su un’eventuale intervento in un frammento di tempo da coprire. Fatto sta che, come molti avverbi, non era necessario, specialmente in un contesto distaccato come quello di una semplice cronaca.

Marco Pannella interrompe il Ministro degli Interni e dice “Chi vi autorizza a parlare in nome del realismo e della responsabilità, con i risultati che avete avuto?” ma il sapore della sua incursione ha più il tono di un rimprovero di sciatteria istituzionale piuttosto che di corruzione e collusione.

La risposta migliore viene da ANDREA SERGIO GARAVINI di cui riporto quasi integralmente il discorso. Infatti è forte che in ambito parlamentare (La Camera dei Deputati) vengano fatte tali accuse esplicite.  La lettura è necessaria considerando che fu fatta mentre si stava vivendo la tragedia (quindi la contemporaneità di fatti e parole incide sull’analisi) , in un luogo conversazionalmente diseguale in cui vigono gerarchie linguistiche che riflettono quelle istituzionali e che è in ballo un pericolo forte (quello mafioso) per cui le parole dovrebbero essere calibrate a meno che non si è sicuri delle affermazioni che si profferiscono. “C'è una domanda che tutti noi ci stiamo certamente ponendo: quali sono le ragioni per cui la mafia possa colpire così impunemente prima Falcone, poi Borsellino, con stragi che hanno la stessa caratteristica, quella dell'essere non soltanto orrende e sanguinose, ma anche spettacolari. E se vi è questa impunità, ci deve essere una ragione profonda. La ragione è precisa ed è ben presente a tutta la nostra consapevolezza: sta nella compromissione che si è stabilita tra la mafia e gli ambienti di Governo; questo è il punto. Ed è un punto che risalta da fatti oggettivi. La democrazia cristiana ha da più di quarant'anni riservato ai suoi uomini il Ministero dell'interno e la direzione dei servizi segreti. Il risultato è di fronte a noi: gli attacchi alla democrazia con i delitti di strage non sono stati in alcun modo perseguiti, i colpevoli non si conoscono, si sa soltanto che c'era la mano dei servizi segreti. I delitti di mafia si susseguono e non vengono né individuati né puniti i responsabili; non si riesce nemmeno a proteggere i magistrati che guidano la lotta contro la mafia. Noi abbiamo adesso un ministro della giustizia che si caratterizza soprattutto per i suoi attacchi alla magistratura, nel momento in cui la magistratura stessa è impegnata, da un lato, a scoprire le malefatte del sistema politico e, dall'altro, a combattere una disperata battaglia contro la mafia. In questi dati vi è un elemento sul quale esiste l'obbligo di intervenire, perché è ben chiaro che da queste autorità di Governo la mafia non ha niente da temere. La mafia teme i magistrati e teme i poliziotti, che sono il livello di intervento dello Stato che cerca di aggredire appunto la mafia, ma non voi: la mafia non vi teme assolutamente! È questo il dato vero della situazione. E quando invocate responsabilità, colleghi  del Governo, quando chiedete interventi, quando la vostra maggioranza chiede addirittura all'esercito di intervenire, come potete farlo senza un minimo segno di critica per quanto riguarda le vostre responsabilità, di oggi e di ieri? Ma chi c'era a dirigere la polizia, chi era responsabile dell'ordine pubblico, chi era responsabile della giustizia nei mesi passati, in questi anni, in questi decenni? Chi, da questo punto di vista, è responsabile del sangue che viene versato? E come è possibile che adesso ci troviamo di fronte a un ministro dell'interno, tale solo perché democristiano, che oltre tutto viene qui a darci un esempio di incompetenza così palmare come quello rappresentato dalla relazione che qui è stata presentata? Come è possibile che non ci sia una reazione di fronte a questi fatti? Ma non lo capite che se volete colpire la mafia vi dovete dimettere? Dovete liberare le responsabilità dell'interno, dell'ordine pubblico e della giustizia dall'usbergo della democrazia cristiana e del partito socialista, responsabilità che avete accumulato nella storia di questa Repubblica. Questo è l'atto che deve essere compiuto, se vogliamo fare paura alla mafia, e se vogliamo mettere in moto davvero quelle energie che ci sono nella magistratura e nelle forze dell'ordine per aggredire la mafia e per colpirla. Ecco l'appello che noi lanciamo. Se si parla di responsabilità, è chi governa che ha il dovere di assumersi le proprie, non altrimenti. Non facciamo discorsi di efficienza tecnica, che non raggiungerete mai nella situazione che si è determinata se non cambiano le cose al vertice, nelle competenze di Governo, se responsabili dell'ordine pubblico e della giustizia continueranno ad essere gli esponenti di quei partiti che hanno la
responsabilità oggettiva della situazione. […] La mafia si sconfigge se si batte la compromissione tra la mafia stessa e gli ambienti di Governo.”. Si nota comunque che da una prima accusa esplicita, una secondareiterata attraverso martellanti interrogative dirette, il deputato poi posiziona meglio la mira, mitiga i toni: ha compreso cosa stava dicendo e a chi stava parlando in una sorta di straniamento improvviso. Poi capisce che già ha detto ciò che di più delicato potesse dire e quindi rincara la dose con la frase a mio avviso essenziale: “Non facciamo discorsi di efficienza tecnica” in cui il deputato, usando un “noi” collettivo si prende la responsabilità di un pensiero condiviso da molte menti parlamentari ma soprattutto fornisce la chiave di lettura circa la modalità di analisi delle sue parole e dichiarazioni: non si denuncia il lassismo dello Stato né una taciuta corresponsabilità quanto una vera e propria unione tra i due poteri interrelati e uniti tanto da essere fusi. Così risuona ancora più forte l’ultima frase “La mafia si sconfigge se si batte la compromissione tra la mafia stessa e gli ambienti di Governo”.

Anche GINAFRANCO FINI adopera una certa forza illocutoria dell’atto linguistico affrontando i contenuti i quali sono esplicitati in tutta la loro dirompenza di accusa. Inoltre riporta un’intervista di Borsellino, la riporta in ambiente istituzionale usando le stesse parole del giudice per attestare una supposizione che sta diventando certezza palese agli occhi di tutti i deputati. Ormai c’è una certa verità sottesa. “Vergogna, signor ministro dell'interno, per l'incapacità che questo sistema politico ha dimostrato in questi quarant'anni di lotta — a parole — alla mafia che uccide quando vuole, dove vuole, chi vuole e come vuole! Vergogna per le compiacenze, per le collusioni, per le contiguità, per le complicità che il sistema politico italiano ha avuto e ha nei confronti del sistema mafioso! Signor ministro, voglio leggere anch'io una frase tratta da una intervista del giudice Borsellino, una frase certamente molto meno gratificante per lei e per gli uomini come lei di quella che ha letto poc'anzi: «Non c'è mai stata da parte della classe politica la volontà di reagire alla mafia. La mafia è infiltrata nelle istituzioni, che vengono corrose dall'interno, ma ciò è possibile in quanto questa tecnica si è incontrata con il sistema dei partiti che hanno interpretato il rapporto con lo Stato come rapporto di occupazione, che rende lo Stato, e in particolare gli enti locali, permeabili a logiche diverse da quelle del pubblico interesse». Paolo Borsellino pronunciò queste parole a Siracusa il 30 settembre 1990.”

Inoltre come non provare una certa condivisione del pensiero che circola nel popolo italiano del 2013: dopo Tangentopoli quel decreto colpo di spugna, quel decreto Conso, riabilitò gran parte della classe politica e non fece tabula rasa di tutte le collusioni e corruzioni che avevano caratterizzato la Prima Repubblica. Per quanto responsabile, Craxi fu comunque stigmatizzato, capro espiatorio per coprire e tacitare le tante voci che risuonavano all’interno della Camera dei Deputati.

Miriam Di Carlo

P.S . Purtroppo  in questo caso mi è venuta in mente questa canzone http://www.youtube.com/watch?v=u5CVsCnxyXg 

sabato 18 maggio 2013

HARAKIRI CONTROCORRENTE.

Stamattina su Repubblica Massimo Giannini ha criticato il merito che il Cavaliere si è attribuito dello slittamento dell'Imu. Il merito è tutto dell'esecutivo, ma è anche vero che è stato il Joker di Arcore a chiedere come primo intervento la sospensione dell'odiata imposta sulla casa. Il governo Letta avrebbe dovuto mettere all'ordine del giorno la diminuzione delle tasse sul lavoro, sgravi fiscali e crediti alle imprese, se avesse voluto attribuirsi i meriti della propria indipendente azione di governo. 

Quello lì ha ricattato il centro-sinistra minacciando una caduta dell'esecutivo, nel caso non fosse stato fatto nulla per ritoccare l'Imu. Detto e fatto. Questo episodio dimostra quanto sia indipendente l'azione di Enrico Letta da quella di Silvio B. Indipendente come lo è la Terra dal Sole. 

Mi sembra giusto insistere su quanto sia stato masochista da parte dei parlamentari Pd l'alleanza con il Pdl. Il partito del Cavaliere, qualunque cosa farà di positivo l'esecutivo, si attribuirà i meriti. Qualunque aspetto sarà negativo del Governo Letta, sarà da attribuire alla sinistra "comunista e faziosa". I sondaggi danno il Pdl in netto vantaggio sul Pd, che ormai ha perso buona parte della sua base elettorale: in poco tempo i democratici hanno perso 7 o 8 punti rispetto al giorno delle elezioni, e continueranno a perdere consensi. Ha ragione Grillo quando dice che alle prossime elezioni la sfida sarà tra lui e lo "psiconano". Come dargli torto? 

Solo il Movimento 5 Stelle sta facendo opposizione a questo governo, di cui è a volte difficile condividere le scelte. Non perché sia ingiusta la sospensione dell'Imu, che è un'ottima soluzione per chi ha difficoltà ad arrivare a fine mese. Ma perché nello spirito e nelle opere è animata dallo spettro del Cavaliere. 

Ιl Pd, come il Pdl, ha promesso revisione dell'Imu, ha promesso l'esenzione alle fasce sociali più basse e ha consentito che i proprietari delle case di lusso continuassero a pagare. Quello messo in atto dal governo Letta è stato un provvedimento ideato dal Pd. Ma il centro-sinistra non potrà impiegare questo provvedimento come una sua vitoria. Questo perché ha ricalcato la sua azione su quella del Pdl, non ha fatto nulla che si discostasse dai progetti del Caimano ed è stato promotore di un patto di governo che la propria base elettorale non vuole. 

Il Pd farà la Convenzione contro il volere dei propri elettori. Non ha rivisto e forse non rivedrà le politiche del rigore, non ha spiegato come provvederà alla disoccupazione giovanile, non ha comunicato come varerà nuova politica per il lavoro. Continua, al contrario, a dialogare, o meglio, a fare inciuci con il Caimano e ricalca i propri disegni di legge le intenzioni politiche di Quello lì. Unica nota positiva è il provvedimento a favore della Cassa integrazione. 

Il Pd dovrà lavorare ad evitare il proprio harakiri: sta purtroppo remando contro i propri elettori come una barca rema controcorrente. La barca, se rema contro la direzione del vento, affonderà. E nessun nuovo segretario, neanche Barca, potrà portare una scialuppa di salvataggio.

Marco Di Caprio.

venerdì 17 maggio 2013

Sull'omofobia: il caso di Aracne per riflettere.


Mi ha sempre affascinato la storia di Aracne. E’ una delle metamorfosi ovidiane che più preferisco perché riguarda una sfida: al pari di Marsia con Apollo, anche Aracne sfida una divinità, Atena in questo caso. Mi piace tantissimo perché Aracne sceglie poi tra tutte, la sfida più difficile: la dea dell’intelligenza e della forza. Aracne era una grande tessitrice e sosteneva di saper tessere meglio della dea Atena, deputata a tale compito nell’Olimpo. Atena la mise alla prova, ed ella acconsentì pur sapendo che davanti a sé aveva non solo una divinità immortale (che quindi già aveva vinto sul grande tabù della vita: la morte), ma anche una dea speciale, che con l’intelligenza e la sua forza androgina poteva dominare il mondo: non a caso uscì dal cervello di Zeus. Ovviamente Aracne perse e fu tramutata in ragno. 

Se si legge questa storia in profondità, dalla delicatezza di Aracne che tesse la sua tela alla sua finale trasformazione in ragno, l’aracnofobia e la nostra avversione se non ripugnanza per i ragni assume tutt’altra luce e ci appare come una grande stupidità, frutto della nostra ottusità ma soprattutto ignoranza. Stesso principio che regola l’omofobia.
Miriam Di Carlo

Il caso Kabobo.



In questi giorni la vicenda del "picconatore ghanese" che ha massacrato e ucciso tre persone è ovviamente al centro dell'attenzione mediatica. E' al centro anche di un argomento, quello della violenza e della follia, composto da persone e gesti di tutte le età, colori e nazionalità. E' evidente però che un irregolare che, per motivi che credo nessuno mai comprenderà, uccide così, senza alcun senso, tre ignari cittadini, diventa un caso che alimenta un'ampio ventaglio di emozioni e reazioni. Prima su tutte quella dell'odio e dell'intolleranza, con post e dichiarazioni inneggianti al patriottismo, alla xenofobia e quant'altro. Ora, tolto il fatto che tutti i giorni (compreso stamani) qualcuno perde la brocca e massacra qualcun altro, è altresì evidente che Kabobo è il prodotto di una serie di elementi tuttora tristemente all'avanguardia in Italia. Primo su tutti la marginalità sociale di alcuni soggetti. Esistono persone, tante persone, che vivono ogni giorno nel limbo della dignità, dell'illegalità e della visibilità. Fantasmi spesso costretti a nascondere le proprie vite perché l'ineguaglianza sociale li ha relegati in uno spicchio di società dove tutto è permesso purché nessuno ti veda. E ci sono donne, bambini, adulti, laureati, vecchi, gente che lavora nei campi e che viene assistita da Emergency o da Medici Senza Frontiere, analogamente a quanto avviene in quello che noi usiamo chiamare "terzo mondo". In loro si nascondono tanti Kabobo, gente con problemi mentali o di legalità, di cui apprendiamo l'esistenza solo dopo tragedie come questa. Un fantasma il suo che s'è materializzato nel peggiore dei modi, ma che poteva essere benissimo uno dei tanti fantasmi che si materializzano in una ragazza stuprata ed uccisa, in un feto ritrovato in un cassonetto, in tante storie di schiavitù di persone attratte da una vita migliore e invece proiettate nel girone dantesco dell'invisibilità sociale. La prima cosa che mi sono chiesto dopo la tragedia di Milano è perché mai una persona conosciuta per la sua instabilità mentale, per precedenti di aggressioni e rapina, già colpita da diversi provvedimenti di espulsione, sia libera di aggirarsi per una città qualsiasi ed uccidere persone qualsiasi. Me lo sono chiesto perché nel corso degli anni ho sentito tanti sermoni, spesso al limite dell'intolleranza, che parlano di controlli, telecamere e tolleranza zero. Tutte cose inutili e dannose se non si inizia a pronunciare la parola INTEGRAZIONE. Tutte cose che continuano ad essere soltanto legalità di facciata dietro la quale si nascondono le storie di cui sopra. Tutte cose che dipingono in maniera perfetta la grande ipocrisia della società italiana, dove si preferisce nascondere storie come Kabobo, cercando di far finta che non esistono, sperando che siano bombe che non esplodono. Si continua a preferire tutto ciò invece rimboccarsi le maniche, prendersi qualche responsabilità ed accorgersi che la società del 2013 non è più quella di 30 o 40 fa e che accomunare il reato al colore della pelle o alla nazionalità ci porterà in un baratro dal quale non usciremo più.
Mauro Presciutti