Le metafore e le metonimie sono processi retorici che investono il significato della parola per questo vengono dette figure di significato. Esse vengono usate durante le due Legislature per indicare i nomi del potere come nei seguenti casi:
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Cupola.
Il vocabolario Treccani, sotto cupola indica come primo significato
quello riferito all’architettura ovvero: “tipo di volta a pianta circolare la
cui forma geometrica può essere quella della semisfera […]”. Dal significato
architettonico si ottiene, attraverso un processo a metà tra metafora e
metonimia, quello giornalistico di “termine con cui (per traslato) viene
indicato il massimo organo dirigente della mafia, del quale farebbero parte i
capi designati dalle più potenti famiglie di una determinata area geografica,
per il controllo delle molteplici attività illegali svolte dall’organizzazione
e per le decisioni ultime in merito alle questioni più delicate (rapporti con altre
organizzazioni criminali e con il mondo politico, apertura di nuovi mercati per
lo smercio della droga, eliminazione di persone indesiderate, ecc.)”. In questo
caso il processo metaforico riguarda l’analogia con la cupola per
antonomasia, ovvero quella di San Pietro, che è simbolo del potere monarchico
assoluto della Chiesa. Per metonimia poi dalla cupola si passa a
designare il potere esercitato al suo interno[1].
Ad avvalorare l’ipotesi di questa ricostruzione semantica concorre il
soprannome dato al maggiore vertice della Cupola, ovvero Michele Greco,
detto il Papa per le sue grandi capacità di mediatore tra le diverse
famiglie mafiose. All’interno del corpus dei discorsi vi è anche un
plurale, cupole, con cui si allude ai diversi organi mafiosi che compongono
l’organismo della criminalità organizzata, e il composto controcupola,
che sembra un occasionalismo semantico[2].
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Piovra.
Anche piovra ha subito un processo metaforico e dal significato primario
desunto dai dizionari[3]
(“particolare classe di molluschi cefalopodi”) è passato per traslato a
indicare prima una “persona avida e priva di scrupoli, che vive sfruttando
egoisticamente e spietatamente un’altra o altre persone, fino a distruggerne le
risorse e le energie, e a provocarne talvolta la rovina” (come ad esempio un
usuraio), fino al significato con cui viene impiegato nel corpus dei
discorsi: “organizzazione criminale, con ramificazioni molto estese, il cui
potere e la cui influenza si estendono, in forme anche spietate, in disparati
settori della realtà politica, sociale ed economica; l’espressione, fa
allusione non solo ai lunghi e forti tentacoli del mollusco ma anche alla sua
vita abissale[4]”
(Treccani).
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Toghe.
Con toga si suole indicare, nei discorsi il potere della magistratura.
Il processo alla base di tale significato è quello della metonimia[5], secondo
cui si ha il passaggio dal significato materiale del termine “in età moderna,
mantello nero aperto sul davanti, con maniche molto ampie, indossato dai
magistrati e dagli avvocati in tribunale, nelle udienze (e anche dai professori
universitari in alcune cerimonie ufficiali)” a quello animato di “simbolo
dell’autorità e del potere civile (contrapposti a quelli militari e in partic.
all’uso delle armi): cedano le armi alla t., frase che traduce il lat.
di Cicerone cedant arma togae; e come simbolo dell’esercizio della
giustizia e dell’attività forense di magistrati e avvocati” (Treccani). Stesso
procedimento che investe anche la frase “la camicia nera Tassi” detta da
Sgarbi a proposito del fascista Tassi.
[1] Questa sarebbe addirittura una
sineddoche come dice Dardano all’interno del suo Manualetto. La
sineddoche è una figura retorica simile alla metonimia, che consiste nel
trasferimento di significato da una parola ad un’altra che abbia con la prima
un rapporto di quantità. Ci sono due tipi di sineddoche: nel primo si adotta il
concetto più ampio per indicare quello più ristretto (s. generalizzante:
ad es. il mondo per gli uomini) nel secondo l’inverso (s.
particolarizzante: es. la prora per la nave). L’etimologia:
dal greco συνεδοχή (dal tema di δέχομαι, “accolgo”). LAVEZZI G., Breve
dizionario di retorica e stilistica, Carocci editore, Roma, 2008, ad vocem.
[2] Infatti nelle varie attestazioni
del ‘700 e ‘800 esso è usato in senso architettonico, ed è entrato a far parte
del lessico specialistico dell’architettura.
[3] Piòvra dal francese pieuvre,
propriamente voce normanna, che risale al latino poly̆pus “polipo”, introdotta nell’uso
dai Travailleurs de la mer di V. Hugo, 1866. Con piovra si allude
al “nome con cui vengono indicati alcuni molluschi cefalopodi (per es. Architeuthis
dux) viventi nelle grandi profondità marine, comunemente ritenuti di forme
gigantesche, che possono raggiungere i 20 m di lunghezza e il peso di 2 o 3
quintali” (Treccani).
[4] Il testo del dizionario Treccani
così prosegue: “[…] e che forse è ispirata da un uso analogo assunto in inglese
da octopus, è oggi una metafora corrente con cui è indicata soprattutto
la mafia, per influenza del titolo («La piovra») di un ciclo di film
televisivi in più puntate, iniziato con quello del regista D. Damiani, mandato
in onda nel marzo 1984” .
[5] La metonimia è la sostituzione
di un termine con un altro che stia al primo come la causa sta all’effetto, il
produttore per il prodotto, il santo per la chiesa che gli è dedicata, la
divinità mitologica per il suo ambito o che abbia con esso un legame di
dipendenza reciproca: ad esempio si indica il contenente per il contenuto, la
materia per l’oggetto, lo strumento per chi lo usa, una parte del corpo per
l’elemento morale di cui è simbolo, l’astratto per il concreto, il luogo per
gli abitanti, il luogo di produzione per il prodotto. Lavezzi propone una serie
di esempi calzanti tra cui spiccano (proprio perché presenti all’interno del corpus): “la
divisa (connotata dal colore) può indicare chi la porta (le camicie rosse
= i garibaldini; le camicie nere = i fascisti); i partiti
sono spesso indicati con il loro simbolo (falce e martello per il PCI),
le istituzioni con le loro sedi Montecitorio sta per la Camera dei
Deputati, Palazzo Madama per la Camera dei senatori”. Effettivamente
questi esempi sono tutti presenti nel corpus: “la camicia nera Tassi”
così come Montecitorio, Palazzo Madama e Quirinale per indicare
la Camera dei deputati, del Senato e la Presidenza della Repubblica. LAVEZZI
G., Breve dizionario di retorica e stilistica, Carocci editore, Roma,
2008, ad vocem.
Inoltre vengono considerati dialettismi, ovvero forestierismi ottenuti dai dialetti le parole che indicano le varie associazioni a delinquere come i seguenti casi:
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Mafia.
Il
termine deriva dalla voce siciliana mafia “baldanza, braveria”, forse
dall’arabo maàhÕŠaàs “millanteria” presente già a partire dal 1863. Con
questo lemma si indica la vasta organizzazione clandestina di natura criminosa,
sorta nella Sicilia occidentale nel sec. XIX e sviluppatasi a livello nazionale
e internazionale, la cui attività consiste tradizionalmente nel procurarsi illeciti
guadagni mediante ricatti e soprusi di ogni genere e specialmente nell'imporre
il pagamento di contributi forzosi alle aziende agricole, commerciali e
imprenditoriali. Per estensione si è arrivati ad indicare “gruppo di persone
strettamente solidali fra loro allo scopo di conseguire, lecitamente o illecitamente,
determinati vantaggi e difendere con ogni mezzo gli interessi della propria
categoria” fino a giungere a “prepotenza, insolenza” (GRADIT)[1].
-
Camorra.
Per quanto riguarda camorra invece, essa deriva dalla voce napoletana camorra
(1861 nel vocabolario italiano) la cui etimologia incerta viene così
sintetizzata dal GRADIT: forse da morra “folla, banda”. Con camorra
quindi si indica l’organizzazione criminale di stampo mafioso, costituitasi con
leggi e codici propri già durante il '600, e che attualmente esercita il
controllo su attività illecite specialmente nell'area napoletana. Per
estensione, al pari di mafia designa una “associazione di stampo
mafioso” e anche “associazione di persone prive di scrupoli che per vie
illecite si procurano favori, guadagni e simili”. Essa significa anche
“imbroglio” e “chiasso” (GRADIT)[2].
-
Ndrangheta.
Parola che al pari di mafia, camorra deriva da voci dialettali poi
entrate nel vocabolario italiano. Essa deriva nello specifico dal calabrese ’ndrànghitu
“uomo valente”, che risale al greco *andrágathos, derivato di andragathía
“valore individuale”; secondo altre interpretazioni, deriverebbe dal calabrese ’ndranghitiari
“atteggiarsi a uomo valente”, dal greco andragathéü “agire da uomo
valente, coraggioso”. Il termine quindi indica la “organizzazione criminale
calabrese di stampo mafioso” (Treccani). Il GRADIT data il termine al 1968[3].
[1] Il GRADIT riporta una serie di
esempi del tipo: m. agraria, delitto o vendetta di m. Poi
aggiunge la locuzione lotta o guerra di m. con cui si indica
“gruppi mafiosi rivali”. Con mafia poi si è arrivati a designare anche
potenti organizzazioni criminali come la m. cinese e quella russa.
Tra i derivati il GRADIT riporta: antimafia (presente nel corpus
dei discorsi), mafiare, mafiese, mafioso. Tra i composti invece archeomafia,
capomafia, ecomafia, mfiologia, mafiologo, narcomafia, zoo mafia. Si
registra anche una variante ovvero maffia. Come espressione idiomatica
invece fare la mafia significa “ostentare un'eleganza vistosa e
volgare”. Interessante è anche il contributo di Sgroi circa l’origine della
parola stessa che sarebbe retroformazione dall’aggettivo mafiusu, a sua
volta ircocervo rifatto su marfusu “malfusso”, mrfiuni
“marpione”, smurfiusu “smorfioso”. Mentre Natella propone nel suo saggio
dal titolo La parola “mafia”, di ricondurre l’origine della radice
finosimbolica maf- (“gonfio, grasso, grosso, pesante”), ad una matrice
africana: Maffia, nome di un’isola della riviera tanzaniana. Il sema poi
sarebbe penetrato in Europa attraverso rotte commerciali arabe (ar. Maifa’a
“eminenza” “luogo di qualche spessore” che sostiene anche il senso di
“personaggio di qualche spessore”). Se così fosse mafia avrebbe affinità
filogenetiche con gli innumerevoli vocaboli delle lingue europee (romanze e
non) variamente caratterizzate da questo tratto semantico, persino con la Marfisa
dell’Ariosto. Sotto il profilo semantico, Luigi Capuana attesta che mafioso
stava in origine per “qualcosa di grazioso e gentile, qualcosa di bizzarro,
di spocchioso, di squisito; mafiosa veniva chiamata una bella ragazza,
mafioso qualunque oggetto che i Francesi direbbero chic”. NATELLA P., La parola
"Mafia", Leo S. Olschki Ed., Firenze,2002 e SGROI S. C., Bada come
parli, SEI, Torino, 1995.
[2] Tra i derivati riportati dal
GRADIT abbiamo: anticamorra, camorria, camorrismo, camorrista, camorristico,
camorristeggiare, camorristeggiato, camorristicamente. Interessante è
soprattutto camorria “intrigo, soperchieria rumorosa e fastidiosa” con
variante camurria. Tra le espressioni si ha: fare camorra ovvero
“accordarsi per attuare propositi disonesti a danno d'altri” (GRADIT). Si può
approfondire l’argomento attraverso lo studio di Montuori, il quale incrocia
una serie di studi al fine di ricostruire l’etimologia della parola camorra.
Egli cita: 1) Ottavio Lurati secondo cui camorra ‘organizzazione di
delinquenti’ ha origine da camorra ‘veste; coperta’, attraverso
l’espressione fare la camorra ‘pretendere la tangente sulla coperta’, che
sarebbe nata anticamente nelle carceri, dove i nuovi arrivati erano oggetto
delle angherie dei camorristi organizzati (lo studioso avvalora la tesi
riportando dei testi in cui si desume questo significato); 2) Lurati raccoglie tutte le
conoscenze linguistiche ed extralinguistiche per ipotizzare l’esistenza di un pagare
la camorra ‘pagare la tassa per la coperta che veniva messa a disposizione
del novello carcerato’ e ipotizza l’anteriorità di tale espressione a quella
gergaleggiante di fare la camorra. Di qui la locuzione far camorra
‘obbligare uno a pagare una taglia’ e poi ‘darsi all’estorsione’, da cui
sarebbe nato il significato malavitoso di camorra, prima come
‘tangente’, poi come ‘associazione di malavitosi”. L’ipotesi etimologica di
Lurati ha il pregio di identificare il significato originale di camorra,
che deve intendersi innanzitutto come ‘tangente’ e poi solo in seguito
‘associazione di malavitosi’; 3) Secondo
Zamboni invece, camorra deriva da *camorraro ‘biscazziere’, alla
cui base c’è il lat. camerarius ‘addetto al servizio della camera’.
Quindi alla base di camorra ci sarebbe un non attestato *cammorraro,
*camorraro ‘controllore della bisca e taglieggiatore dei giocatori’, di cui
camorra ‘associazione dei taglieggiatori’ sarebbe una retroformazione,
cioè un derivato a suffisso zero. Questa congettura sembrerebbe trovare la base
etimologica più ragionevole, ma suppone che all’origine camorra sia la
denominazione di un gruppo. Invece ‘sètta (di delinquenti)’ è un significato
non antico ma tardo-ottocentesco del termine: e questo è il motivo per cui è
inficiata alla radice un’altra celebre ipotesi etimologica, proposta nel 1934
da Prati, che vedeva in camorra una formazione derivante da ca(ta)-, prefisso
rafforzativo, e morra ‘gruppo’. MONTUORI F., Lessico e camorra.
Storia della parola, proposte etimologiche e termini del gergo ottocentesco,
Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli,2008.
[3] Tra i derivati, attestati
abbastanza di recente su testate giornalistiche vi sono: 'ndranghetista,
'ndranghetoso e nel 1991 il diminutivo ‘ndrina “cosca della
‘ndrangheta” (GRADIT). Il
linguista Paolo Martino sostiene che ‘ndrangheta deriverebbe dal greco
classico, quello parlato nella zona di Bova, in provincia di Reggio Calabria, e
precisamente da andragathos che significa “uomo coraggioso, valente”. In
molte zone del reggino il verbo andragatizomai, significa “assumere
atteggiamenti mafiosi, spavaldi, valorosi”. Già nel periodo della Magna Grecia,
individui valenti e coraggiosi avevano dato vita alle cosiddette hetairiai,
associazioni di cittadini, in parte segrete, che non di rado conseguivano i
loro obiettivi con l’intimidazione e l’eliminazione fisica degli avversari. In
un documento cartografico risalente al 1595 si è scoperto che una vasta area
del Regno di Napoli, comprendente parti delle attuali regioni della Campania e
della Basilicata, era nota come Andragathia region, terra abitata da
uomini valorosi. Inoltre la famiglia, detta anche ‘ndrina o cosca,
è la cellula primaria della ‘ndrangheta. MARTINO P., Storia della
parola ‘ ndrangheta, in AA.VV, Le ragioni della mafia, Jaca Book,
Milano , 1983. p.124.
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