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martedì 25 giugno 2013

Un’analisi linguistica semplice. About Berlusconi Silvio.


Il fatto è questo. Che la realtà si rispecchia nella comunicazione.
Un esempio: non esisteva il frigorifero. E’ stato inventato. E’ nata la parola “frigorifero” che poi la frequenza con cui si usa, la fretta della situazione quotidiana ha abbreviato più comodamente in “frigo”.

Ora anche per quanto riguarda dei sentimenti e condizioni astratte nuove, neonate nella società, nascono neologismi per indicare tale tendenza o sentimento. E’ il caso di stereotipi nuovi come radical chic, hipster, emo, writers e chi più ne ha più ne metta.

Ora vorrei analizzare, servendomi del dizionario dei linguisti G. Adamo e V. Della Valle (“2006 parole nuove, un dizionario di neologismi dai giornali”), il Novelli-Urbani (“Dizionario della II Repubblica”) e un saggio molto approfondito di Caffarelli in “Lessicografia e onomastica” dal titolo “Googlizzare i cognomi nella lingua di internet”, la proliferazione di neologismi a partire dal cognome di personaggi importanti: questa tipologia di neologismo si chiama deonomastico ed è di formazione molto semplice. Basti pensare ad gramsciano, andreottiano, craxiano. Come si vede sono tutte personalità che hanno segnato la storia della Repubblica Italiana, personalità di spicco.
La personalità più importanti e incisive quindi, hanno avuto l’onore di vantare un neologismo, deonomastico che riprendesse il proprio cognome: di solito si tratta di un aggettivo come i casi precedenti. Ma a proposito di Silvio Berlusconi non ci si può limitare al semplice aggettivo con suffisso –ano/a ma constatare una proliferazione enorme di composti e di derivati. Talmente tanto enorme che reca imbarazzo se non a volte ribrezzo.
Cominciamo con il Novelli-Urbani che si riferisce al periodo antecedente al 1997 essendo il dizionario stato pubblicato prima di suddetto anno. Abbiamo:
  • -          Berluschino
  • -          Berlusclonare
  • -          Berlusconata
  • -          Berluscones
  • -          Berlusconia
  • -          Berlusconi boys
  • -          Berlusconide
  • -          Berlusconi pensiero
  • -          Berlusconismo
  • -          Berlusconista
  • -          Berlusconizzarsi
  • -          Berlusconizzato
  • -          Berlusconizzazione.

Di tutti questi neologismi, nati per la maggior parte dalla mano di giornalisti si può ben vedere che molti sono occasionalismi destinati poi all’estinzione, ma anche molte parole che sono rimaste nostro patrimonio e poi introdotte nel lessico quotidiano: il caso più eclatante riguarda berlusconismo.



Adamo-Della Valle anche riporta una serie di neologismi molto interessanti. Il dizionario prende in esame un periodo più recente, fino al 2006, anno in cui vinse il centrosinistra di Prodi contro il centrodestra di Berlusconi. Era il periodo della lotta individuale tra Prodi e Berlusconi, delle tribune politiche trasmesse 24 ore su 24 in tv e della mitizzazione dei due nemici giurati. Quindi abbiamo:
  • -          Berluschese (lingua usata da Silvio)
  • -          Berluschista
  • -          Berlusconardo
  • -          Berlusconeide
  • -          Berlusconi Boy
  • -          Berlusconite
  • -          Berlusconizzante
  • -          Berlusconizzare
  • -          Berlusconizzarsi
  • -          Berlusconizzato
  • -          Berlusconizzazione
  • -          Imberlusconirsi
  • -          Postberlusconiano
  • -          Neoberlusconiano
  • -          Contrberlusconizzare
  • -          Deberlusconizzato


E che dire invece dei deonomastici derivati da Prodi? Abbiamo il debole “prodismo” che non sappiamo nemmeno più cosa designi realmente, “prodizzazione” “sprodizzare”: il significato sta proprio in questa differenza. Il centrosinistra vinse le elezioni per un pugno di voti in più ma vinse e vinse grazie alla figura di Romano Prodi: quindi avremmo dovuto inneggiare a tale personaggio, formare una sequela di còni e neoformazioni che attestassero la sua forza in campo… colui che aveva vinto le elezioni. No, la debolezza del centrosinistra si vede anche a livello linguistico: nessuna personalità fu mai tanto forte e potente, non è riuscita mai a sollevare le sorti della sinistra e ad imporla tanto da creare un alone di intangibilità aulica intorno a sé. E dico menomale perché ben si sa che ogni forma di democrazia, per il prevalere di una sola identità carismatica e che catalizza su di sé potere, fascino e onnipotenza, prevede la degenerazione naturale in tirannide. O in santità e martirio.
Arriviamo a Caffarelli e il suo saggio sul “Googlizzare i nomi in intenet”. Lo studioso afferma a proposito di Berlusconi “l’esposizione mediatica e gli aspetti politici, sociali, etici ed economici connessi con la figura dell’imprenditore (…), e alle sue molteplici attività, (…), ad apprezzamenti di diversa qualità e natura” hanno prodotto una grandissima quantità di neologismi basati sul cognome del politico. Caffarelli ne rileva una quantità enorme, data anche dall’ampiezza di trasmissione e facilità di scrittura peculiare di internet. Ne faccio solo alcuni esempi: si va da aggettivi come berluscabile e berluscaioli o imberlusconito, a sostantivi come berluscaggine e berluscanesimo, verbi come berluschizzare, deberlusconizzare e sberlusconare, avverbi come berluscamente e berlusconiamente, prefissati come preberlusconisno, suffissati come silvioberlusconismo, confissati berlusconifobia, berlusconopoli, composti come berlusconipensiero, nazionalberlusconiano, parole macedonia come berluscandalo, berlusconsumista, Berluscraxi, calembour come bar Lusconi, Belluscone, Berlusc One, Paperon de’ Berlusconi, giustapposizioni come ciclo Berlusconi, virus Berlusconi.

Conclusione:
Giustizia si spera venga fatta, ma non si pensi minimamente che un personaggio del genere se ne vada dalla mente degli italiani solo grazie alla Giustizia. Una personalità sfuma nella storia fino a lasciare un ricordo vago solo a patto di una sconfitta politica: i casi sono molti che si perdono nella notte dei tempi. Ma un’identità politica del genere ormai è talmente tanto radicata nella nostra mentalità, nella nostra società da essere divenuta un background generale: si è infiltrata come acqua mefitica nel nostro terreno troppo argilloso e mai lo abbandonerà finché l’acqua non evaporerà totalmente ovvero fino a che tutte le particelle di H2O saranno scomparse totalmente ed evaporate con lui(quella più ostinata sarà la particella-Santanchè ma anche la Micky Biancofiore). E anche lì avrei i miei dubbi, perché il monumento alla persona ormai è stato effettuato e mai abbandonerà i nostalgici che tanto hanno sperato in lui, che tanto lo hanno amato e che tanto faranno ancora uso di una retorica becera di serie Z.
Ma che dire invece dell’ ”antiberlusconismo”? Anche dall’altra parte non si è pensato di fondare una politica su un sentimento nuovo che si svincolasse da Silvio. No, si è prelevato pari pari il suo cognome e si è fatta bandiera, rafforzando il suo mito e stigmatizzazione. Perché ben si sa, tanti nemici, tanto onore e “beati i perseguitati per causa di Silvio” perché di essi è il regno di Arcore e delle Olgettine. Allora rassegnamoci, dopo questo godimento iniziale dato dalle notizie ultime, che la nostra Italia vedrà tra le icone da bancarella il Colosseo, il papa, il nasone di Dante ma anche Mussolini e ovviamente lui, Silvio che fa le corna e sbeffeggia tutti quanti noi: c’è modo e modo per rimanere immortali.

Miriam Di Carlo

giovedì 13 giugno 2013

Mentana VS Ferrara ed efficacia della parolaccia.

Lo psicanalista di Mentana è andato dallo psicanalista. Lo aveva iniettato di fiducia, di adrenalina per il nuovo format “Bersaglio Mobile” su la7 e invece il Bersaglio è rimasto sempre e solo lui: @ementana. Insulti su insulti e quella sua vocina nasale e sgraziata,  viene ripetutamente interrotta dal vocione di Giulianone Ferrararone:
“E’ l’ultima volta che metto piede in questo cesso, dove si fanno queste notizie del cazzo, chiaro?”
“Puoi andare anche adesso”
“No non vado non vado, sto qua a rompere i coglioni”
“Lei, poco prima ricordava…” rivolto a Bisignani
“Ipocrita”
“Ipocrita sarai tu”
“Ma dai, su parlaci di Montezemolo invece di parlare di Bisignani, forza di tutta la tua carriera con Berlusconi…[…]”

Ma Ferrara non ricorda che anche lui ha avuto tutta una carriera con Berlusconi, militando anche in Forza Italia. Secondo poi, prima Ferrara dà del giornalista “laureato” a Enrico (o con patentino, come qualcuno sottolinea, perché @ementana non ha la laurea), poi alla fine asserisce in chiusura “tu e Gomez siete giornalisti, ovvero carogne”.
Beh, è chiaro che nel mondo di oggi, sia in politica, sia nel giornalismo, vince chi attacca per primo, chi sbugiarda le pecche dell’altro occultando così le proprie, ovvero cambiando di focus. Lo ha fatto Sgarbi, quando ancora pivellino entrò in Parlamento, lo perpetuò sempre il medesimo arrivando in televisione e unendo insieme a Pannella, la politica e show televisivo, lo riprese Berlusconi e tutta la sua equipe-fotocopia, infine arriva a Grillo e a tutta la sua diplomazia nel dire le cose: siete merde e andate a cagare.

Ma quanto è efficace la parolaccia? Tantissimo: infatti già Plauto capì il solletico godurioso che procura il turpiloquio tanto che chi legge le sue opere in lingua, si rende conto di quante parolacce esistessero già agli albori del latino. E perché Catullo è tanto amato? Non solo per quell’epigrammatico Odi et amo, ma per tutte le allusioni disfemiche nonché parolacce vivaci ben inserite nella metrica latina e nella politica del tempo:

Ve lo darò nel culo e nella bocca,
Aurelio checca passiva e Furio frocio,
voi che mi giudicaste effeminato
per i miei versetti alquanto licenziosi […]
Ve lo darò nel culo e nella bocca[1].

Così come Petronio, e poi nella letteratura italiana Er Belli (Quanto l’avrei voluto su twitter) che fa un elogio linguistico senza pari:
La madre de le sante
Chi vò chiede la monna a Caterina,
Pe ffasse intenne da la gente dotta
Je toccherebbe a dì: vurva, vaccina,
E dà giù co la cunna e co la potta.

Ma noantri fijacci de miggnotta
Dimo cella, patacca, passerina,
Fessa, spacco, fissura, bucia, grotta,
Fregna, fica, ciavatta, chitarrina.

Sorca, vaschetta, fodero, frittella,
Cicia, sporta, perucca, varpelosa,
Chiavica, gattarola, finestrella.

Fischiarola, quer-fatto, quela-cosa,
Urinale, fracoscio, ciumachella,
La-gabbia-der-pipino, e la-brodosa.

E si vòi la cimosa,
Chi la chiama vergogna, e chi natura,
Chi ciufeca, tajola e sepportura.”

Ma anche nella vita di tutti i giorni, in contesti formali come può essere un’aula scolastica o in chiesa, se il professore o il sacerdote usa una parola come “merda”, tutti drizzano le orecchie e dopo il brusio “ma ha detto merda?aò, o ha detto merda o l’ho sentito solo io?” si comincia ad ascoltare per bene tutto il sermone perché magari vien detta pure un’altra volta. Quindi la parolaccia in fin dei conti, è strategia linguistica per destare l’attenzione, perché fa parte del registro basso, e crea uno straniamento in contesti istituzionali: al pari del dialetto, dei toni alti, dei diverbi non è situazione “normale” ma come si dice in linguistica “marcata”.

Ora, l’uso del turpiloquio però è anche perseguibile dalla legge: motivo per cui Sgarbi, avendone abusato decise di optare per un magnifico “capra ignorante”, non incappando quindi in querele. Proporrei anche “Gnu ‘gnurante” che è assonanza. Mentre in politica vediamo come ha avuto efficacia Grillo con il suo vaffa e i suoi spergiuri rabbiosi che hanno reso possibile questo brano televisivo di Bersaglio Mobile. Efficacissimo a livello televisivo per due motivi:
-          È tribuna politica. Ringraziavo idDio che il mercoledì sera NON c’è tribuna politica. Lunedì Piazza Pulita, Martedì Ballarò, Mercoledì FERIE, Giovedì Servizio Pubblico, Venerdì Crozza (satira politica ma vabbè). Quindi il Mercoledì il fegato respirava, la giugulare tornava alle sue dimensioni normali, le coronarie si distendevano e si chiudeva la serata con quel bel faccione della Gruber su collo ipnotico che ricorda quei clown-sorpresa che escono dalle scatole. No “Bersaglio Mobile” si installa prepotentemente il mercoledì sfruttando la tendenza di noi italiani di diventare politologi in tempo di fermento politico, economisti in tempo di crisi e allenatori in tempi di mondiali. Daje @ementana!!!
-          È talk show alla Maria de Filippi. Avevo l’impressione che Bisignani fosse il tronista e che i vari giornalisti fossero i corteggiatori che si insultavano a vicenda, in una partita di tennis in cui le parolacce-pallina mi hanno fatto venire un collo muscoloso alla Russel Crowe de Il Gladiatore. Uno rimane ipnotizzato, incollato davanti alla tv, davanti a quei calzoni opinabili del Ferrarone dalla panza acuta, dal balbettio di @ementana che intanto spingeva il pulsante rosso per chiamare il suo psicanalista (che tra l’altro hanno avvistato essere fuggito in Svizzera), da Gomez monolitico che cerca di placare i toni mentre viene parodiato dal Ferrarone: e intanto un altro che va in depressione. Bisignani. Nessuno se lo caga più.
Promemoria per la Rai e Fico: talk show alla De Filippi con giornalisti, anche terribilmente brutti ma facili di parolacce.
Per vedere il video di Mentana VS Ferrara: http://video.repubblica.it/politica/lite-ferrara-mentana-su-la7/131795/130316?ref=fbpr
 Miriam Di Carlo




[1] Carme XVI “Pedicabo ego vos et irrumabo/Aureli pathice et cineade Furi,/ qui me ex versiculis, parum pudicum. […] Pedicabo ego vos et irrumabo”. Traduzione di L.Canali. 

giovedì 23 maggio 2013

Metafore del potere e sull'etimologia di Mafia, Camorra e 'ndrangheta. Miriam Di Carlo




Le metafore e le metonimie sono processi retorici che investono il significato della parola per questo vengono dette figure di significato. Esse vengono usate durante le due Legislature per indicare i nomi del potere come nei seguenti casi: 
-         Cupola. Il vocabolario Treccani, sotto cupola indica come primo significato quello riferito all’architettura ovvero: “tipo di volta a pianta circolare la cui forma geometrica può essere quella della semisfera […]”. Dal significato architettonico si ottiene, attraverso un processo a metà tra metafora e metonimia, quello giornalistico di “termine con cui (per traslato) viene indicato il massimo organo dirigente della mafia, del quale farebbero parte i capi designati dalle più potenti famiglie di una determinata area geografica, per il controllo delle molteplici attività illegali svolte dall’organizzazione e per le decisioni ultime in merito alle questioni più delicate (rapporti con altre organizzazioni criminali e con il mondo politico, apertura di nuovi mercati per lo smercio della droga, eliminazione di persone indesiderate, ecc.)”. In questo caso il processo metaforico riguarda l’analogia con la cupola per antonomasia, ovvero quella di San Pietro, che è simbolo del potere monarchico assoluto della Chiesa. Per metonimia poi dalla cupola si passa a designare il potere esercitato al suo interno[1]. Ad avvalorare l’ipotesi di questa ricostruzione semantica concorre il soprannome dato al maggiore vertice della Cupola, ovvero Michele Greco, detto il Papa per le sue grandi capacità di mediatore tra le diverse famiglie mafiose. All’interno del corpus dei discorsi vi è anche un plurale, cupole, con cui si allude ai diversi organi mafiosi che compongono l’organismo della criminalità organizzata, e il composto controcupola, che sembra un occasionalismo semantico[2].
-         Piovra. Anche piovra ha subito un processo metaforico e dal significato primario desunto dai dizionari[3] (“particolare classe di molluschi cefalopodi”) è passato per traslato a indicare prima una “persona avida e priva di scrupoli, che vive sfruttando egoisticamente e spietatamente un’altra o altre persone, fino a distruggerne le risorse e le energie, e a provocarne talvolta la rovina” (come ad esempio un usuraio), fino al significato con cui viene impiegato nel corpus dei discorsi: “organizzazione criminale, con ramificazioni molto estese, il cui potere e la cui influenza si estendono, in forme anche spietate, in disparati settori della realtà politica, sociale ed economica; l’espressione, fa allusione non solo ai lunghi e forti tentacoli del mollusco ma anche alla sua vita abissale[4]” (Treccani).

-         Toghe. Con toga si suole indicare, nei discorsi il potere della magistratura. Il processo alla base di tale significato è quello della metonimia[5], secondo cui si ha il passaggio dal significato materiale del termine “in età moderna, mantello nero aperto sul davanti, con maniche molto ampie, indossato dai magistrati e dagli avvocati in tribunale, nelle udienze (e anche dai professori universitari in alcune cerimonie ufficiali)” a quello animato di “simbolo dell’autorità e del potere civile (contrapposti a quelli militari e in partic. all’uso delle armi): cedano le armi alla t., frase che traduce il lat. di Cicerone cedant arma togae; e come simbolo dell’esercizio della giustizia e dell’attività forense di magistrati e avvocati” (Treccani). Stesso procedimento che investe anche la frase “la camicia nera Tassi” detta da Sgarbi a proposito del fascista Tassi.


[1] Questa sarebbe addirittura una sineddoche come dice Dardano all’interno del suo Manualetto. La sineddoche è una figura retorica simile alla metonimia, che consiste nel trasferimento di significato da una parola ad un’altra che abbia con la prima un rapporto di quantità. Ci sono due tipi di sineddoche: nel primo si adotta il concetto più ampio per indicare quello più ristretto (s. generalizzante: ad es. il mondo per gli uomini) nel secondo l’inverso (s. particolarizzante: es. la prora per la nave). L’etimologia: dal greco συνεδοχή (dal tema di δέχομαι, “accolgo”). LAVEZZI G., Breve dizionario di retorica e stilistica, Carocci editore, Roma, 2008, ad vocem.
[2] Infatti nelle varie attestazioni del ‘700 e ‘800 esso è usato in senso architettonico, ed è entrato a far parte del lessico specialistico dell’architettura.
[3] Piòvra dal francese pieuvre, propriamente voce normanna, che risale al latino poly̆pus “polipo”, introdotta nell’uso dai Travailleurs de la mer di V. Hugo, 1866. Con piovra si allude al “nome con cui vengono indicati alcuni molluschi cefalopodi (per es. Architeuthis dux) viventi nelle grandi profondità marine, comunemente ritenuti di forme gigantesche, che possono raggiungere i 20 m di lunghezza e il peso di 2 o 3 quintali” (Treccani).  
[4] Il testo del dizionario Treccani così prosegue: “[…] e che forse è ispirata da un uso analogo assunto in inglese da octopus, è oggi una metafora corrente con cui è indicata soprattutto la mafia, per influenza del titolo («La piovra») di un ciclo di film televisivi in più puntate, iniziato con quello del regista D. Damiani, mandato in onda nel marzo 1984” .
[5] La metonimia è la sostituzione di un termine con un altro che stia al primo come la causa sta all’effetto, il produttore per il prodotto, il santo per la chiesa che gli è dedicata, la divinità mitologica per il suo ambito o che abbia con esso un legame di dipendenza reciproca: ad esempio si indica il contenente per il contenuto, la materia per l’oggetto, lo strumento per chi lo usa, una parte del corpo per l’elemento morale di cui è simbolo, l’astratto per il concreto, il luogo per gli abitanti, il luogo di produzione per il prodotto. Lavezzi propone una serie di esempi calzanti tra cui spiccano (proprio perché  presenti all’interno del corpus): “la divisa (connotata dal colore) può indicare chi la porta (le camicie rosse = i garibaldini; le camicie nere = i fascisti); i partiti sono spesso indicati con il loro simbolo (falce e martello per il PCI), le istituzioni con le loro sedi Montecitorio sta per la Camera dei Deputati, Palazzo Madama per la Camera dei senatori”. Effettivamente questi esempi sono tutti presenti nel corpus: “la camicia nera Tassi” così come Montecitorio, Palazzo Madama e Quirinale per indicare la Camera dei deputati, del Senato e la Presidenza della Repubblica. LAVEZZI G., Breve dizionario di retorica e stilistica, Carocci editore, Roma, 2008, ad vocem.


Inoltre vengono considerati dialettismi, ovvero forestierismi ottenuti dai dialetti le parole che indicano le varie associazioni a delinquere come i seguenti casi:

-         Mafia. Il termine deriva dalla voce siciliana mafia “baldanza, braveria”, forse dall’arabo maàhÕŠaàs “millanteria” presente già a partire dal 1863. Con questo lemma si indica la vasta organizzazione clandestina di natura criminosa, sorta nella Sicilia occidentale nel sec. XIX e sviluppatasi a livello nazionale e internazionale, la cui attività consiste tradizionalmente nel procurarsi illeciti guadagni mediante ricatti e soprusi di ogni genere e specialmente nell'imporre il pagamento di contributi forzosi alle aziende agricole, commerciali e imprenditoriali. Per estensione si è arrivati ad indicare “gruppo di persone strettamente solidali fra loro allo scopo di conseguire, lecitamente o illecitamente, determinati vantaggi e difendere con ogni mezzo gli interessi della propria categoria” fino a giungere a “prepotenza, insolenza” (GRADIT)[1].
-         Camorra. Per quanto riguarda camorra invece, essa deriva dalla voce napoletana camorra (1861 nel vocabolario italiano) la cui etimologia incerta viene così sintetizzata dal GRADIT: forse da morra “folla, banda”. Con camorra quindi si indica l’organizzazione criminale di stampo mafioso, costituitasi con leggi e codici propri già durante il '600, e che attualmente esercita il controllo su attività illecite specialmente nell'area napoletana. Per estensione, al pari di mafia designa una “associazione di stampo mafioso” e anche “associazione di persone prive di scrupoli che per vie illecite si procurano favori, guadagni e simili”. Essa significa anche “imbroglio” e “chiasso” (GRADIT)[2].
-         Ndrangheta. Parola che al pari di mafia, camorra deriva da voci dialettali poi entrate nel vocabolario italiano. Essa deriva nello specifico dal calabrese ’ndrànghitu “uomo valente”, che risale al greco *andrágathos, derivato di andragathía “valore individuale”; secondo altre interpretazioni, deriverebbe dal calabrese ’ndranghitiari “atteggiarsi a uomo valente”, dal greco andragathéü “agire da uomo valente, coraggioso”. Il termine quindi indica la “organizzazione criminale calabrese di stampo mafioso” (Treccani). Il GRADIT data il termine al 1968[3].


[1] Il GRADIT riporta una serie di esempi del tipo: m. agraria, delitto o vendetta di m. Poi aggiunge la locuzione lotta o guerra di m. con cui si indica “gruppi mafiosi rivali”. Con mafia poi si è arrivati a designare anche potenti organizzazioni criminali come la m. cinese e quella russa. Tra i derivati il GRADIT riporta: antimafia (presente nel corpus dei discorsi), mafiare, mafiese, mafioso. Tra i composti invece archeomafia, capomafia, ecomafia, mfiologia, mafiologo, narcomafia, zoo mafia. Si registra anche una variante ovvero maffia. Come espressione idiomatica invece fare la mafia significa “ostentare un'eleganza vistosa e volgare”. Interessante è anche il contributo di Sgroi circa l’origine della parola stessa che sarebbe retroformazione dall’aggettivo mafiusu, a sua volta ircocervo rifatto su marfusu “malfusso”, mrfiuni “marpione”, smurfiusu “smorfioso”. Mentre Natella propone nel suo saggio dal titolo La parola “mafia”, di ricondurre l’origine della radice finosimbolica maf- (“gonfio, grasso, grosso, pesante”), ad una matrice africana: Maffia, nome di un’isola della riviera tanzaniana. Il sema poi sarebbe penetrato in Europa attraverso rotte commerciali arabe (ar. Maifa’a “eminenza” “luogo di qualche spessore” che sostiene anche il senso di “personaggio di qualche spessore”). Se così fosse mafia avrebbe affinità filogenetiche con gli innumerevoli vocaboli delle lingue europee (romanze e non) variamente caratterizzate da questo tratto semantico, persino con la Marfisa dell’Ariosto. Sotto il profilo semantico, Luigi Capuana attesta che mafioso stava in origine per “qualcosa di grazioso e gentile, qualcosa di bizzarro, di spocchioso, di squisito; mafiosa veniva chiamata una bella ragazza, mafioso qualunque oggetto che i Francesi direbbero chic”. NATELLA P., La parola "Mafia", Leo S. Olschki Ed., Firenze,2002 e SGROI S. C., Bada come parli, SEI, Torino, 1995.
[2] Tra i derivati riportati dal GRADIT abbiamo: anticamorra, camorria, camorrismo, camorrista, camorristico, camorristeggiare, camorristeggiato, camorristicamente. Interessante è soprattutto camorria “intrigo, soperchieria rumorosa e fastidiosa” con variante camurria. Tra le espressioni si ha: fare camorra ovvero “accordarsi per attuare propositi disonesti a danno d'altri” (GRADIT). Si può approfondire l’argomento attraverso lo studio di Montuori, il quale incrocia una serie di studi al fine di ricostruire l’etimologia della parola camorra. Egli cita: 1) Ottavio Lurati secondo cui camorra ‘organizzazione di delinquenti’ ha origine da camorra ‘veste; coperta’, attraverso l’espressione fare la camorra ‘pretendere la tangente sulla coperta’, che sarebbe nata anticamente nelle carceri, dove i nuovi arrivati erano oggetto delle angherie dei camorristi organizzati (lo studioso avvalora la tesi riportando dei testi in cui si desume questo significato); 2) Lurati raccoglie tutte le conoscenze linguistiche ed extralinguistiche per ipotizzare l’esistenza di un pagare la camorra ‘pagare la tassa per la coperta che veniva messa a disposizione del novello carcerato’ e ipotizza l’anteriorità di tale espressione a quella gergaleggiante di fare la camorra. Di qui la locuzione far camorra ‘obbligare uno a pagare una taglia’ e poi ‘darsi all’estorsione’, da cui sarebbe nato il significato malavitoso di camorra, prima come ‘tangente’, poi come ‘associazione di malavitosi”. L’ipotesi etimologica di Lurati ha il pregio di identificare il significato originale di camorra, che deve intendersi innanzitutto come ‘tangente’ e poi solo in seguito ‘associazione di malavitosi’; 3) Secondo Zamboni invece, camorra deriva da *camorraro ‘biscazziere’, alla cui base c’è il lat. camerarius ‘addetto al servizio della camera’. Quindi alla base di camorra ci sarebbe un non attestato *cammorraro, *camorraro ‘controllore della bisca e taglieggiatore dei giocatori’, di cui camorra ‘associazione dei taglieggiatori’ sarebbe una retroformazione, cioè un derivato a suffisso zero. Questa congettura sembrerebbe trovare la base etimologica più ragionevole, ma suppone che all’origine camorra sia la denominazione di un gruppo. Invece ‘sètta (di delinquenti)’ è un significato non antico ma tardo-ottocentesco del termine: e questo è il motivo per cui è inficiata alla radice un’altra celebre ipotesi etimologica, proposta nel 1934 da Prati, che vedeva in camorra una formazione derivante da ca(ta)-, prefisso rafforzativo, e morra ‘gruppo’. MONTUORI F., Lessico e camorra. Storia della parola, proposte etimologiche e termini del gergo ottocentesco, Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli,2008.
[3] Tra i derivati, attestati abbastanza di recente su testate giornalistiche vi sono: 'ndranghetista, 'ndranghetoso e nel 1991 il diminutivo ‘ndrina “cosca della ‘ndrangheta” (GRADIT). Il linguista Paolo Martino sostiene che ‘ndrangheta deriverebbe dal greco classico, quello parlato nella zona di Bova, in provincia di Reggio Calabria, e precisamente da andragathos che significa “uomo coraggioso, valente”. In molte zone del reggino il verbo andragatizomai, significa “assumere atteggiamenti mafiosi, spavaldi, valorosi”. Già nel periodo della Magna Grecia, individui valenti e coraggiosi avevano dato vita alle cosiddette hetairiai, associazioni di cittadini, in parte segrete, che non di rado conseguivano i loro obiettivi con l’intimidazione e l’eliminazione fisica degli avversari. In un documento cartografico risalente al 1595 si è scoperto che una vasta area del Regno di Napoli, comprendente parti delle attuali regioni della Campania e della Basilicata, era nota come Andragathia region, terra abitata da uomini valorosi. Inoltre la famiglia, detta anche ‘ndrina o cosca, è la cellula primaria della ‘ndrangheta. MARTINO P., Storia della parola ‘ ndrangheta, in AA.VV, Le ragioni della mafia, Jaca Book, Milano , 1983. p.124. 

domenica 19 maggio 2013

Stato-Mafia: l'analisi del discorso alla Camera dei Deputati del 20 luglio 1992.


Si apre di nuovo il sipario su una politica così frastagliata e ricca di insenature da divenire rovo spinoso difficile da penetrare. Lessi e analizzai il discorso tenuto alla Camera dei Deputati il 20 luglio 1992, il giorno dopo l’uccisione di Paolo Borsellino. Presidente della Camera di allora: Giorgio Napolitano. Intervengono a proposito della tragedia consumatasi poche ore prima i seguenti deputati: BIONDI ALFREDO (gruppo liberale), DI DONATO GIUUO (gruppo PSI), FINI GIANFRANCO (gruppo MSI-destra nazionale), FORLANI ARNALDO (gruppo DC), GARAVINI ANDREA SERGIO (gruppo rifondazione comunista), LA MALFA GIORGIO (gruppo repubblicano), MANCINO NICOLA, Ministro dell'interno OCCHETTO ACHILLE (gruppo PDS), PALERMO CARLO (gruppo movimento per la democrazia: la Rete) PANNELLA MARCO (gruppo federalista europeo) ROCCHETTA FRANCO (gruppo lega nord) RUTELLI FRANCESCO (gruppo dei verdi) VIZZINI CARLO (gruppo PSDI). Ovviamente il frontespizio che ho riportato segue non l’ordine di apparizione ma l’ordine alfabetico. Cosa ci interessa dal punto di vista linguistico? Sapere quale fosse la relazione sottesa tra Stato e Mafia ma soprattutto se Borsellino, in quell’agenda rossa tenesse nascosto qualche segreto a tal proposito.

Giorgio Napolitano dice a proposito della descrizione dell’evento e dei minuti subito successivi alla strage “ […]per il giudice Borsellino e per gli uomini della scorta non è stato possibile alcun aiuto, se non quello di ricomporre pietosamente i corpi straziati e quasi del tutto inceneriti. Sono giunte pure, immediatamente, le squadre investigative di polizia scientifica ed i magistrati della procura di Palermo che hanno diretto e coordinato i primi accertamenti.” Discrezione, lucidità oggettività caratterizzano una freddezza da cronista esterno ai fatti. Nulla da eccepire se non quell’avverbio “immediatamente” che potrebbe avere due valori: o quello di rimarcare l’efficienza di uno Stato presente e attento, o quello di togliere un sospetto su un’eventuale intervento in un frammento di tempo da coprire. Fatto sta che, come molti avverbi, non era necessario, specialmente in un contesto distaccato come quello di una semplice cronaca.

Marco Pannella interrompe il Ministro degli Interni e dice “Chi vi autorizza a parlare in nome del realismo e della responsabilità, con i risultati che avete avuto?” ma il sapore della sua incursione ha più il tono di un rimprovero di sciatteria istituzionale piuttosto che di corruzione e collusione.

La risposta migliore viene da ANDREA SERGIO GARAVINI di cui riporto quasi integralmente il discorso. Infatti è forte che in ambito parlamentare (La Camera dei Deputati) vengano fatte tali accuse esplicite.  La lettura è necessaria considerando che fu fatta mentre si stava vivendo la tragedia (quindi la contemporaneità di fatti e parole incide sull’analisi) , in un luogo conversazionalmente diseguale in cui vigono gerarchie linguistiche che riflettono quelle istituzionali e che è in ballo un pericolo forte (quello mafioso) per cui le parole dovrebbero essere calibrate a meno che non si è sicuri delle affermazioni che si profferiscono. “C'è una domanda che tutti noi ci stiamo certamente ponendo: quali sono le ragioni per cui la mafia possa colpire così impunemente prima Falcone, poi Borsellino, con stragi che hanno la stessa caratteristica, quella dell'essere non soltanto orrende e sanguinose, ma anche spettacolari. E se vi è questa impunità, ci deve essere una ragione profonda. La ragione è precisa ed è ben presente a tutta la nostra consapevolezza: sta nella compromissione che si è stabilita tra la mafia e gli ambienti di Governo; questo è il punto. Ed è un punto che risalta da fatti oggettivi. La democrazia cristiana ha da più di quarant'anni riservato ai suoi uomini il Ministero dell'interno e la direzione dei servizi segreti. Il risultato è di fronte a noi: gli attacchi alla democrazia con i delitti di strage non sono stati in alcun modo perseguiti, i colpevoli non si conoscono, si sa soltanto che c'era la mano dei servizi segreti. I delitti di mafia si susseguono e non vengono né individuati né puniti i responsabili; non si riesce nemmeno a proteggere i magistrati che guidano la lotta contro la mafia. Noi abbiamo adesso un ministro della giustizia che si caratterizza soprattutto per i suoi attacchi alla magistratura, nel momento in cui la magistratura stessa è impegnata, da un lato, a scoprire le malefatte del sistema politico e, dall'altro, a combattere una disperata battaglia contro la mafia. In questi dati vi è un elemento sul quale esiste l'obbligo di intervenire, perché è ben chiaro che da queste autorità di Governo la mafia non ha niente da temere. La mafia teme i magistrati e teme i poliziotti, che sono il livello di intervento dello Stato che cerca di aggredire appunto la mafia, ma non voi: la mafia non vi teme assolutamente! È questo il dato vero della situazione. E quando invocate responsabilità, colleghi  del Governo, quando chiedete interventi, quando la vostra maggioranza chiede addirittura all'esercito di intervenire, come potete farlo senza un minimo segno di critica per quanto riguarda le vostre responsabilità, di oggi e di ieri? Ma chi c'era a dirigere la polizia, chi era responsabile dell'ordine pubblico, chi era responsabile della giustizia nei mesi passati, in questi anni, in questi decenni? Chi, da questo punto di vista, è responsabile del sangue che viene versato? E come è possibile che adesso ci troviamo di fronte a un ministro dell'interno, tale solo perché democristiano, che oltre tutto viene qui a darci un esempio di incompetenza così palmare come quello rappresentato dalla relazione che qui è stata presentata? Come è possibile che non ci sia una reazione di fronte a questi fatti? Ma non lo capite che se volete colpire la mafia vi dovete dimettere? Dovete liberare le responsabilità dell'interno, dell'ordine pubblico e della giustizia dall'usbergo della democrazia cristiana e del partito socialista, responsabilità che avete accumulato nella storia di questa Repubblica. Questo è l'atto che deve essere compiuto, se vogliamo fare paura alla mafia, e se vogliamo mettere in moto davvero quelle energie che ci sono nella magistratura e nelle forze dell'ordine per aggredire la mafia e per colpirla. Ecco l'appello che noi lanciamo. Se si parla di responsabilità, è chi governa che ha il dovere di assumersi le proprie, non altrimenti. Non facciamo discorsi di efficienza tecnica, che non raggiungerete mai nella situazione che si è determinata se non cambiano le cose al vertice, nelle competenze di Governo, se responsabili dell'ordine pubblico e della giustizia continueranno ad essere gli esponenti di quei partiti che hanno la
responsabilità oggettiva della situazione. […] La mafia si sconfigge se si batte la compromissione tra la mafia stessa e gli ambienti di Governo.”. Si nota comunque che da una prima accusa esplicita, una secondareiterata attraverso martellanti interrogative dirette, il deputato poi posiziona meglio la mira, mitiga i toni: ha compreso cosa stava dicendo e a chi stava parlando in una sorta di straniamento improvviso. Poi capisce che già ha detto ciò che di più delicato potesse dire e quindi rincara la dose con la frase a mio avviso essenziale: “Non facciamo discorsi di efficienza tecnica” in cui il deputato, usando un “noi” collettivo si prende la responsabilità di un pensiero condiviso da molte menti parlamentari ma soprattutto fornisce la chiave di lettura circa la modalità di analisi delle sue parole e dichiarazioni: non si denuncia il lassismo dello Stato né una taciuta corresponsabilità quanto una vera e propria unione tra i due poteri interrelati e uniti tanto da essere fusi. Così risuona ancora più forte l’ultima frase “La mafia si sconfigge se si batte la compromissione tra la mafia stessa e gli ambienti di Governo”.

Anche GINAFRANCO FINI adopera una certa forza illocutoria dell’atto linguistico affrontando i contenuti i quali sono esplicitati in tutta la loro dirompenza di accusa. Inoltre riporta un’intervista di Borsellino, la riporta in ambiente istituzionale usando le stesse parole del giudice per attestare una supposizione che sta diventando certezza palese agli occhi di tutti i deputati. Ormai c’è una certa verità sottesa. “Vergogna, signor ministro dell'interno, per l'incapacità che questo sistema politico ha dimostrato in questi quarant'anni di lotta — a parole — alla mafia che uccide quando vuole, dove vuole, chi vuole e come vuole! Vergogna per le compiacenze, per le collusioni, per le contiguità, per le complicità che il sistema politico italiano ha avuto e ha nei confronti del sistema mafioso! Signor ministro, voglio leggere anch'io una frase tratta da una intervista del giudice Borsellino, una frase certamente molto meno gratificante per lei e per gli uomini come lei di quella che ha letto poc'anzi: «Non c'è mai stata da parte della classe politica la volontà di reagire alla mafia. La mafia è infiltrata nelle istituzioni, che vengono corrose dall'interno, ma ciò è possibile in quanto questa tecnica si è incontrata con il sistema dei partiti che hanno interpretato il rapporto con lo Stato come rapporto di occupazione, che rende lo Stato, e in particolare gli enti locali, permeabili a logiche diverse da quelle del pubblico interesse». Paolo Borsellino pronunciò queste parole a Siracusa il 30 settembre 1990.”

Inoltre come non provare una certa condivisione del pensiero che circola nel popolo italiano del 2013: dopo Tangentopoli quel decreto colpo di spugna, quel decreto Conso, riabilitò gran parte della classe politica e non fece tabula rasa di tutte le collusioni e corruzioni che avevano caratterizzato la Prima Repubblica. Per quanto responsabile, Craxi fu comunque stigmatizzato, capro espiatorio per coprire e tacitare le tante voci che risuonavano all’interno della Camera dei Deputati.

Miriam Di Carlo

P.S . Purtroppo  in questo caso mi è venuta in mente questa canzone http://www.youtube.com/watch?v=u5CVsCnxyXg 

lunedì 13 maggio 2013

Spagna: storie di frutta e di linguistica.


Una costellazione al contrario ho incontrato. Dall’aereo, di mattina il mare conta costellazioni di barche fissate, attaccate e attraccate intente a pescare. Dall’alto sembrano tanto immote, ma immagino che all’interno un gran brulicare di affari, fatti e persone invada lo spazio angusto tipico della nave. Ma io sto in aereo, spazio angusto anche qui, costretti e stretti come uomini in piccola struttura ma dividendo percentuale calibrata di pesi, misure e bagagli di esperienza stipati nel corpo di ciascuno.  La mia gita a Valencia termina qui, questo lunedi di Maggio e tornerà ciclicamente riaffermando e aumentando un piccolo passo. Il valzer di Hegel: tre passi del valzer per Hegel, uno (tesi), due (antitesi: il piede destro va lontano dal sinistro) e sintesi (unione dei piedi nell’abbraccio sovrastante). Un po’ come la nostra politica.

Come promesso riporto un piccolo reportage fotografico di uno dei mercati che ho visitato. Il Mercat Central di Valencia è altra cosa: è permanente, è difficile da penetrare sia per gli odori a volte nauseabondi, sia per i colori troppo abbaglianti sia soprattutto per la copiosità delle persone. Una selva colorata da intagliare con gli occhi. Ho preferito proporvi il mercato di Algemesì: paese di provincia valenciana, che conta 30000 abitanti circa. E’ conosciuto per la coltivazione di arance: circa 45 tipologie che fioriscono, profumano e marciscono in periodi diversi dell’anno. La cooperativa di Algemesì raccoglie e invia in tutta Europa con indirizzi che recano parole tedesche, inglesi, francesi, italiane, e chi più ne ha più ne metta. Se si va per la campagna durante il periodo di aprile si rischia un’ubriacatura da profumo di zagare che può essere paragonata a quella da vodka[1]
La caratteristica dei mercati spagnoli è la frutta: terribilmente enorme e dai colori surreali tanto che credo a volte di vivere in un quadro di Dalì [2]. Sono pressocchè sicura che usino OGM e wikipedia conferma, la cosa mi rattrista perché è come guardare una signora molto bella che piano piano avanzando, mostra labbra rifatte a canotto: un umorismo pirandelliano tutto contemporaneo in cui l’uomo, la cui attenzione bisogna mantenere viva, nient’altro è che il nostro capriccio allevato dalla globalizzazione e dall’apparenza consumistica.

Propongo questa foto di fragole ma si consideri che in questo periodo si vendono anche ciliegie, uva ma soprattutto cocomero dalla forma sferica e dal color esterno nero [3]
, melone giallo (dalla buccia verde scuro), pesche percoche [4]
e frutta invernale che ormai appare come pelle morta del passato. Insomma, il venditore, sebbene la mole non proprio aggraziata, ha grande delicatezza nel curare le sue creature e le vende ben collocate in piccoli canestri dalla forma quadrata. Quando si dice che è un Principe: “Sta mano po’ esse fero e po’ esse piuma: oggi è stata ‘na piuma”[5].






Guardate, comprerei pure quelle pesche che stanno vicino ai porri mefitici, ma soprattutto quelle ciliegie: per chi mi conosce sa quanto io le ami, frutto umile nella dimensione ma denso nel sapore, unico nella sua condizione poiché necessita acuto denocciolatore, che si spera sia il semplice mangiatore. Las cerezas son baratas: 3.20 al chilo, in Italia con il doppio degli euri ci compri un canestrello di noccioli. Così come pure le pesche, con il doppio ( a volte il triplo) ti fai due peschette con il pelo cui togli buccia e nocciolo ricavando solo 1/3 del peso complessivo. Insomma gli OGM hanno i loro perché ma sinceramente, provenendo da paese contadino in cui mio padre ha sempre portato a casa pesche sbilenche e fragole uscite da un film horror ma dal sapore 30 volte più forte, denso e deciso di ciò che ho assaggiato in Spagna, preferisco la salutare bruttura all’apparente esuberanza scialba.  


I carciofi vanno al chilo e non al “fiore”, come le buffe taccole ovvero i meravigliosi fagioli corallo con cui si fa la paella, e i pomodori transgenici che sembrano palloni da rugby: che dire? Bellissimi e abbaglianti.



Rimango sempre colpita, positivamente stavolta, da queste bancarelle dal sapore antico: sacchi di iuta che contengono spezie e sapori un po’ invisi ai giovani: in particolare quei fagioloni grandi che vedete sulla sinistra vengono messi nella paella e sono deliziosi[6].



Altra cosa che mi ha messo sempre molta curiosità sono le uova. A parte il fatto che le famiglie in cui ho alloggiato questi anni usano mangiare una decina di uova a testa a settimana per persona, la particolarità risiede nel colore bianco del guscio. Ho chiesto a mio padre e mi ha detto che il colore può dipendere sia dal mangime che dalla razza della gallina: le galline livornesi fanno le uova dal guscio bianco mentre le padovane color mattone. Ora, sul perché in Spagna e all’estero ci siano più galline livornesi che padovane chiedetelo ai successori di Carlo Cannella. Anche gli asparagi dentro ai vasi di vetro sono bianchi mentre la curiosità linguistica viene dal miele (lo vedete sulla destra e in particolare quello è miele di rosmarino: buonissimo). Il miele, il latte, il sale, se in italiano sono tutti di genere maschile in spagnolo sono tutti di genere femminile: la miel, la sal, la leche[7], segno che questi cibi portano con se’ un significato materno, di protezione e di dolcezza e di sapidità.




Passiamo così ai dolci. Devo essere sincera che non ne ho mangiati di buonissimi. C’è il brazo del gitano (il braccio del gitano) che è un rotolo di pan di spagna ottenuto con 12 uova su cui si spande panna e poi si arrotola creando così un rotolo che infonde un senso di forza e possenza. Poi i dolci sono più presi dalla tradizione inglese e americana (cupcakes, brownies ecc) mentre IN OGNI DOVE è un tripudio di CHUCHES: caramelle gommose dal prezzo super economico. Un pacco da un chilo assortito costa da un minimo di 3 euro (al mercato) a un massino di 4.50 se vai in uno dei negozi che caratterizzano le vie di paesi e città. Solo per questo, 90 punti a Grifondoro! Altrimenti, spesso vi potete imbattere in una di queste bancarelle che mostra come mercanzia dolcetti ben impacchettati e sempre attraenti, solo per palati assai golosi e curiosi.

Questa volta, rispetto a tutti gli altri sabato in cui viene allestito il mercato settimanale ad Algemesì, spiccano due stands differenti che, proprio per la loro peculiarità carpisono l’attenzione di molti passanti. Uno stand, è quello tipico che si incontra nei mercatini delle pulci che cercano di valorizzare il vintage, il riuso e il collezionismo da “sepolti in casa”: vecchie riviste, con date anche non molto remote[8]
. Ma senza porsi troppe domande dal sapore campanilistico e nazionalistico che rivelano solo l’inadeguatezza dell’osservatore, passiamo allo stand immediatamente successivo: una tipica esposizione di paramenti tradizionali da toreador. Chi sia Jorge Exposito non saprei ma sicuro che è bravo. Infine questi reportage sono così sommari, così vuoti che avrei molte molte e più esperienze da raccontarvi, da farvi assaporare di questa Spagna, di questa Roma, con incontri di uomini, ognuno con la propria storia: per la strada non sono persone che camminano ma storie viventi che lasciano scie parlanti. Ti toccano, le senti vibrare e fuggono via, al pari di tante tangenti impazzite come vettori in moto centrifugo.
Miriam Di Carlo




[1]Se vi fidate di una che non si è mai ubriacata veramente, meglio per voi.
[2]Ma guarda caso anche Dalì abitava non molto lontano! Toh, coincidenze.
[3]MI rammarico di non aver fatto foto ma appena l’ho visto me lo son mangiato senza pensare troppo: scusasse.
[4]Algemesì è produttrice di pesche e kaki vanigliati duri che vengono posti dentro grandi vasi con alcool al fine di mantenerli duri e dolci per tutto l’inverno: io non li amo molto anche perché, parafrasandomi, va contro la Marcuzzi e il bifidus, effetto opposto in campo straniero significa uomo morto che cammina nel Miglio verde del bagno. Vabbè sciolgo l’allegoria e dico solo: stitichezza.
[6] Se li fate alla romana, ovvero in umido con rosmarino e olio li dovrete ribattezzare fagiuoli al pellicano e non più all’uccelletto.
[7]Curiosità dentro la curiosità anche la parolaccia “Cazzo” trova il suo corrispettivo in spagnolo nella parolaccia “Cono” che sarebbe la vulva detta al maschile: una perversione che ha due versanti di interpretazione, a mio avviso. La prima è che la parolaccia non sia il membro maschile ma la vulva, segno che la donna è sicuramente più libertina rispetto all’Italia. Infatti noi diciamo “Ca***” perché abbiamo una società linguisticamente basata sul maschile (ne faremo un approfondimento a parte). Gli spagnoli si dirigono verso la femmina (e non donna) ma chiamano ciò che attrae della donna con un genere maschile per indicare che è la visione che hanno gli uomini di quell’oggetto. Quindi in fin dei conti meglio accontentarci del nostro “ca***” zitti e chiotti.
[8]E qui viene l’interrogativo? Perché vendere numeri passati di giornali di pettegolezzi che risalgono ad un anno prima o qualche mese prima? Per vedere che faceva il re di Spagna in inverno, per ricordarsi se Nadal aveva fidanzata o no? Non so. 

mercoledì 8 maggio 2013

Mitizzare se stessi nella liquidità. Critica letteraria di un blog.


Mitizzare se stessi. Il caso della politica moderna.
Il mito di se stessi. Il mito personale. Sono definizioni che spesso compaiono nei testi di critica letteraria a proposito di alcuni soggetti e personalità letterarie che hanno contribuito a costruire la nostra cultura. Alcuni lo fecero palesemente come D’Annunzio, altri celebrarono se stessi in una forma più umile e pacata al pari di un Pascoli o di un Leopardi. Ma che significa? Significa guardare al proprio passato, interpretando il vissuto remoto o prossimo come un’impresa compiuta da un eroe: se stessi. C’è un fondo di autocommiserazione (per i dolori visti come titani soffocanti), e di autocompiacimento (per le imprese folli viste come coraggi unici e assenti negli altri). Per sapere se si è attuata una mitizzazione di se stessi, basta osservare che alcune frasi e concetti diventano standard nell’uso della personalità in analisi e che a volte vengono assurti a cavalli di battaglia da sfoderare sempre per mantenere vivo il contatto con il destinatario (funzione fatica), il quale si sente rassicurato.
Bene il sito di Beppe Grillo è l’esempio più lampante dell’operazione di mitizzazione di se stessi: tutto, grafica, titoloni, immagini, concetti ma soprattutto veste linguistica mandano ad una visione di se sstessi sempiterna e che cozza con la liquidità della rete. La rete tutto divora e logora ma Grillo sta contribuendo a creare il mito monolitico (al pari di un Menhir o di un faro portuale) di se stesso: punto di riferimento e modello statico.
1)      Veste grafica. Banda superiore, lato destro una foto di Giuseppe che ride bonariamente: autocelebrazione del proprio altruismo e bontà. Peccato che il suo finto-altruismo non abbia portato proprio a un bel niente. Bande laterali: abbiamo qui un esempio lampante della mitizzazione di se stesso. “Tutta la storia di beppegrillo.it in 4 DVD” “4 DVD a soli 9,90[1]”. Per giustificare i proventi derivanti dal blog di Giuseppe, si creano ben 4 DVD[2] che si vendono aumentando i proventi del blog, creando così un circolo vizioso in cui ciò che naviga è sempre lui: il denaro. Infatti il signor Grillo disse una volta in un suo intervento satirico prima del terremoto politico: “Il denaro ora è elettronico. Le banche ci levano il denaro e noi non ce ne rendiamo conto perché è liquido”. Non dico nulla. A buon intenditor poche parole[3].
2)      Veste linguistica e concettuale. Ci sono degli “stilemi”[4] che ricorrono e che rappresentano l’autocompiacimento della propria trovata linguistica. Esempio sono: Pdmenoelle (che è inappropriato visto che PD non reca la L quindi dovrebbe dire PDLmenoelle: logica), Rigor Montis e altre trovate linguistiche-metaforiche del tipo Capitan Findus, Morfeo o altro. Vicino alle trovate linguistiche-metaforiche vi sono dei punti forti concettuali imprescindibili: il giornalismo da abbattere, la corruzione generalizzata a tutto il mondo politico, la scala categoriale dei vari partiti, il giudizio verso un politico. Queste pietre miliari che non si possono abbattere, costituiscono il modello non-liquido all’interno del web. Se una normale testata giornalistica prevede correnti e idee a volte contraddittorie poiché sono molteplici le menti che intervengono (sebbene ci sia un redattore che comunque è innegabile che vagli le varie proposte) qui le menti che vengono analizzate, devono soddisfare i requisiti fondamentali del programma e dei topoi concettuali proposti da Grillo: anche qui vige un controllo redazionale ma che deve fare capo al progetto e scopo del M5S che in fin dei conti è beppegrillo.it. Cosa significa ciò? Che si sta adoperando una mitizzazione del soggetto politico che ha proposto l’analisi imposta a livello generale e universale e cui ci si deve adeguare se si vuole esprimere un’idea (che non diventerà più personale a quel punto) per avere visibilità all’interno del blog. Il mito personale perché? Perché già sta avvenendo che, in un sistema liquido e in continuo divenire come il web, Grillo ha posto pali fondanti che sono punti di riferimento e cui non si può prescindere: in poche parole si è gasato per le visualizzazioni del suo blog, ha alimentato il suo narcisismo, ha fatto delle sue idee generaliste una bandiera e ha trovato il modo, attraverso calembour, giochi di parole facili e di immediata ricezione, associazioni di idee, di riabilitare quella sua parte frustrata di comico che fu ghettizzata in seguito all’ostracismo politico subito in Rai. Si dice che da una grande frustrazione e da una grande insofferenza nasca la voglia di una grande rivincita-vendetta: e così sta avvenendo.
3)      Veste etico-morale. La mitizzazione avviene anche, come avevamo detto attraverso l’autocompiacimento (già analizzato a livello retorico-concettuale) e l’autocommiserazione mista anche a auto frustrazione e vittimismo (al pari del Pd, tra l’altro). L’autocommiserazione passa in quei post in cui gli elettori e il M5S vengono visti come la pecora sbranata dai lupi, in cui l’inesperienza di cui si accusa il cinquestellato viene reinterpretata come debolezza dell’ingenuità fanciullesca da preservare. Il tutto per solleticare un sentimento nel destinatario del MoVimento: la frustrazione mista a rabbia che fa urlare. E’ il sentimento di difesa dei deboli secondo una giustizia superiore che viene incarnata da Grillo. Se il vittimismo tipico del Pd coinvolge solo il partito e gli sbagli dei vari dirigenti che fanno in continuazione mea culpa, il vittimismo del MoV riguarda invece tutti gli elettori (presi in giro a detta di Grillo), e gli esponenti del MoV (gabbati dai grandi politici) ma anche il popolo stesso: quindi non è autoreferenziale ma coinvolge tutti e tutti abbiamo così l’autorizzazione ad indignarci e dire quello che il giustiziere ci propone. Senza una critica equilibrata a riguardo. Ecco come nasce il mito etico e morale.

Infine la contraddizione viene sempre dalla banda superiore che dice: “Spegni la Tv e guarda la Cosa”. Silvio si impose attraverso nuovi modelli mediatici passati dalla Tv per cui il Cavaliere e la sua corte divennero l’ideale da raggiungere. Ora attraverso una Tv On line si propone un modello che corrisponde ai suddetti tre parametri[5].
Miriam Di Carlo



[1] Come nei vari negozi è già una grande presa per il culo: una maglietta a 9.99. Metti 10 euri e falla finita ché dopo me devo pure mette le ramine dentro il portafoglio.
[2] Ne bastava 1 guarda, manco il Signore degli Anelli ha fatto 4 DVD. E almeno lì c’era una storia e qualcosa da seguire.
[3] Tra l’altro se si clicca sulla banda laterale in cui una figura di Grillo versione teenager dimagrita che richiama un giovanilismo da strapazzo attraverso il richiamo della bandiera inglese, si apre una finestra “Grillorama”: tutte le battaglie beppegrillo.it in 5 libri. Sai che palle. E poi perché adesso è diventato beppegrillo.it e non più Beppe Grillo? Si avvera così la profezia di Gianroberto che dice che un giorno avremo soltanto un’identità digitale. Eppure Grillo odiava i computer. Da morire http://www.youtube.com/watch?v=4BCKculMFqM
[4] Anche se è ardito chiamarli tali.
[5] A livello visivo invece la mitizzazione stava cominciando nel momento della “vittoria” post elettorale: occhiali scuri, cappotto, personalità schiva e incline al farsi corteggiare. Questo è il nuovo saggio del web cui attingere: un uomo che sa, irraggiungibile. Poi le batoste successive hanno abbattuto questo nuovo modello.