sabato 27 luglio 2013

IL DECRETO DEL (NON) FARE.

Il decreto del fare (decreto legge 21 giugno 2013, n.69 che reca il titolo  DISPOSIZIONI URGENTI PER IL RILANCIO DELL'ECONOMIA
ha innanzitutto il compito di rilanciare la piccola e la media impresa, di abbassare il prezzo dell'energia elettrica e finanziamento dell'acquisto di nuovi macchinari. Questi provvedimenti devono rilanciare l'industria, anche se i fondi impiegati potrebbero non essere adeguati. L'utilizzo dei fondi strutturali europei (art. 9) potrebbe essere il modo giusto per immettere liquidità nelle casse dello Stato per le riforme più importanti. Ottimo il provvedimento in merito al wi-fi libero sul territorio nazionale, anche se pochissime sono le zone coperte da wifi pubblico. Nella stessa Capitale non molte sono le zone coperte dal wifi della Provincia di Roma. Non sono contrario al credito d'imposta per produzione, distribuzione ed esercizio cinematografico (art 11), ma vanno riveduti i criteri in base al quale (decreto Urbani) sono finanziati i migliori film italiani; purtroppo nell'era Berlusconi hanno ricevuto fondi i cinepanettone al posto di pellicole di reale interesse culturale.
    L'art 18 si occupa di opere di pubblica utilità come i lavori della C nel tratto Colosseo-San Giovanni e prevede l'apertura della tratta Pantano-Centocelle entro il 15 ottobre 2013. Già purtroppo la giunta Marino ha fatto sapere che la tratta non sarà attiva prima del 2014, facendo slittare ulteriormente l'apertura che per Alemanno doveva essere pronta già all'inizio del 2013. Il fondo per le opere pubbliche, dal 2013 al 2017, ha a disposizione 2069 milioni di euro per opere che negli altri Paesi europei sarebbero completate nel giro di un anno, o massimo due. Nel decreto leggiamo (art.26) una proroga in merito agli appalti pubblici, fenomeno che non risolve la corruzione in ambito edilizio. Ha un valore sicuramente positivo la semplificazione per l'acquisto della cittadinanza degli stranieri in Italia (art. 33).
    A sostegno dell'Università e della ricerca (art 57) il governo promuove maggiore cooperazione tra aziende e atenei, ma provvede al finanziamento della ricerca con fondi troppo esigui (il fondo per la ricerca aumenterà di soli 3.6 milioni di euro nel 2014, art 58 comma 2), né provvede a maggiore razionalizzazione delle risorse a disposizione. Non è chiara l'espressione 'rafforzamento della ricerca fondamentale' (lettera a, comma 1): esistono quindi per il governo esplicitamente ambiti di ricerca di seria A e di serie B. La distinzione non è evidenziata, ma forse delinea quella tra materie umanistiche e scientifiche: la distinzione non può essere così netta poiché la ricerca in ambito umanistico può essere impiegata in settori scientifici e viceversa. In ambito giudiziario è estesa la disciplina dell'ineleggibilità e incompatibilità valida per  i magistrati ordinari. (art 69) .
    In definitiva io credo che ci siano luci e ombre in questo decreto. Il dl, se da un lato dà un sostegno alla piccola e media impresa o alle infrastrutture e ai trasporti - sostengo di cui si dovrà vagliare l'efficacia reale - d'altro canto penalizza l'istruzione e la ricerca universitaria, che è responsabile dello sviluppo e della crescita del Paese. Dubito purtroppo che gli emendamenti potranno davvero migliorare in maniera profonda il testo del decreto.
Marco Di Caprio.

GIOVANNI ALLEVI: CHI E' COSTUI?

Giovanni Allevi ha detto che Beethoven annoia bambini innocenti a differenza di Jovanotti, che ha un ritmo travolgente. Non posso dire nulla in difesa di Beethoven, il cui nome parla di per sé. Jovanotti e Allevi, secondo me, hanno in comune questo aspetto: scrivono pezzi che non hanno cambio di ritmo.
 Io non disdegno Jovanotti, che è una persona simpatica e un piacevole cantante, ma non apprezzo Allevi, e vi spiego perché. Allevi si finge un compositore classico, ma come può un compositore di musica d'arte non inserire neanche una minima variazione ritmica o melodica nei propri pezzi?
Le sue composizioni sono la trasposizione di motivetti pop, e neanche di grandissima qualità: se solo Allevi prendesse spunto dalle raffinate canzoni da piano dei Velvet Underground (Waiting for the man e All Tomorrow's Parties) io credo si vergognerebbe delle sue stucchevoli canzoni per pianoforte. Le sue canzoni, per quanto siano dal gusto retrò, possono essere piacevoli: ma quanti cantautori nel mondo scrivono canzoni come quelle di Allevi? Centinaia di milioni.
A me piacciono tanto i Beatles, ma non per questo li paragono a Beethoven. Chi tra i cantautori si sente un compositore di musica d'arte classico-contemporanea? Pochi ne conosco, forse solo Allevi. Come se Fabio Volo dicesse: Dante è noioso ed è più interessante Sveva Casati Modigliani. Per fortuna Volo non si paragona a Cavalcanti.

Marco Di Caprio.

martedì 23 luglio 2013

CRISI DEMOCRATICA.

[Questo articolo è una risposta a quello di Ilvo Diamanti dal titolo 'Brutta aria per la democrazia', apparso su Repubblica del 22 luglio]

Pd e Pdl hanno unito le loro forze per un governo di salute pubblica, anche se a tutto stiamo assistendo tranne che alla salute pubblica del Paese. La vicenda kazaka lascia il Paese indebolito da un punto di vista diplomatico e politico: un ambasciatore kazako entra in Viminale e dà ordini ai nostri agenti come se fosse diventato il nostro nuovo Ministro dell'Interno: l'opinione pubblica non sarà informata del misfatto se non qualche giorno dopo. Già nel 2003 abbiamo ceduto la sovranità sul nostro Paese a terzi, quando gli agenti della Cia hanno rapito l'imam Abu Omar. L'agente della Cia responsabile del rapimento è stato condannato ed estradato dalle autorità italiane, ma il governo filo-americano di Panama ne ha rifiutato la consegna. 

Siamo davvero poco credibili in ambito internazionale. E la politica poco si occupa di questa cosa: Letta mantiene Alfano al suo posto per evitare eventuali inasprimenti della nostra situazione economica e finanziaria. Il leader dei 5 Stelle Casaleggio afferma che il popolo si rivolterà contro le istituzioni poiché la crisi li ha troppo vessati. Il popolo, al contrario, dovrebbe lottare per rafforzare quelle istituzioni democratiche che vacillano, in maniera tale che i problemi di natura economica diventino di più facile soluzione per la classe dirigente. Per Casaleggio Internet sostituirà la democrazia rappresentativa e diventerà mezzo di governo diretto da parte dei cittadini: se il guru non rende open source il blog di Grillo, se non apre i server agli iscritti, il blog sarà uno strumento di sua esclusiva proprietà, e non sotto il controllo degli iscritti.

In Italia il concetto di democrazia è divenuto labile, poiché i cittadini non hanno in mano strumenti di autentica rappresentatività: l'attuale legge elettorale non consente un'autentica rappresentanza tra eletti ed elettori. Se condivido per alcuni versi la battaglia del Movimento 5 Stelle, d'altro canto la biasimo, poiché i pentastellati sono nient'altro che una controfigura del Pdl: un partito personale nelle mani di Grillo e Casaleggio. Se da questo lato il Pdl e i 5 Stelle sono simili poiché si riconoscono in leader padroni, d'altro canto il Pd rischia di morire per un dibattito interno che non è democrazia, ma oclocrazia. 

Se la democrazia e il dibattito interno sono sospesi sia nei partiti che in Parlamento, anche il nuovo esecutivo l'ha 'sospesa' proprio affinché la grande coalizione risolvesse i problemi di natura economica. Ma se non sono rafforzate le strutture democratiche, non si sconfiggerà la crisi. La vera e trasparente democrazia  che caratterizza gli altri Paesi europei fornisce ai cittadini solide istituzioni che garantiscano la trasparenza del potere; in questa trasparenza la corruzione non può portare lo sperpero dei fondi dei contribuenti come avviene in Italia. Se gli italiani non difendono i valori della democrazia, la crisi italiana sarà senza risoluzione: la crisi economica italiana, dopo il ventennio berlusconiano, è innanzitutto crisi democratica, sia da un punto di vista politico che sociale.         
Marco Di Caprio.

venerdì 19 luglio 2013

L'ULTIMA SPERANZA.

Enrico Letta blinda il suo ministro degli Interni e regala la vittoria a Silvio. Secondo Alfano il blitz contro Alma Shalabayeva è stato concordato dall'ambasciatore kazako con il capo del suo gabinetto, ma lui non è stato informato: come può il capo del suo gabinetto affidare un'incursione a quaranta agenti speciali senza avvisare il proprio superiore? Alfano sapeva tutto. Eppure Letta ha spinto il Pd a votare contro la mozione di sfiducia, poiché secondo lui Alfano non era informato dei fatti. Proprio come Berlusconi non sapeva che Ruby non è la nipote di Mubarak. 

In Italia, da quando l'uomo di Arcore è al governo, anche l'ipotesi più assurda avanzata dalla maggioranza è etichettata come verità dal Parlamento. Letta, con questa mozione, ha mostrato ancora di più la sua reale natura: è alleato in maniera fedele con Berlusconi. Può un alleato fedele di Silvio agire nell'interesse del Paese? Mi riservo i miei dubbi, quando leggo che la riforma elettorale non è stata effettuata, il numero dei parlamentari non è stato dimezzato e non è stato approvato un serio provvedimento per sospendere i fondi ai partiti. E' stata sospesa solamente l'Imu, unico provvedimento che sta a cuore a Berlusconi. 

Il Caimano ha anche ottenuto un ulteriore vantaggio: ha ottenuto un ulteriore appello da Napolitano per la pacificazione nell'interesse nazionale: Letta ha blindato Alfano con questo pretesto. La sfiducia nei confronti di Alfano non avrebbe portato il governo alla caduta, ma semplicemente avrebbe portato un altro membro del Pdl al Viminale. Oggi Scalfari su Repubblica ha spiegato che il Cavaliere farebbe meglio a mettere qualcun altro al posto di Alfano, poiché il suo alleato Pd rischia di sfaldarsi per l'affaire kazako. Se il Pd crolla, cadrà anche l'esecutivo Letta e Berlusconi sarà fuori dal prossimo governo, spiega Scalfari. Io non ci credo: il Caimano ha tutto da guadagnare dalla faida interna nel Pd: il Partito democratico, ormai scisso e allo sbaraglio, rischia di perdere ulteriormente consensi, rafforzando così Berlusconi e il suo schieramento. 

Il Caimano spera che Letta e Napolitano intervengano sottobanco anche per il processo Mediaset, la cui udienza in Cassazione è prevista il 30 luglio: se i giudici riterranno opportuno rinviare nuovamente in appello l'udienza, Quello lì sarebbe nuovamente salvo. Se la politica nulla può contro la disonestà del Caimano e dei vertici del Pdl, che sia la magistratura con una sentenza definitiva a metterla in evidenza. Questa è l'ultima speranza.  

Marco Di Caprio.

mercoledì 17 luglio 2013

Il ruolo del politico e la provincia italiana

Fabrizio Barca va in giro per l'Italia tra le periferie e le grandi città, Nichi Vendola fa altrettanto, tacitamente. Arriva a Vetralla, paese di 13000 abitanti nella TusciaViterbese. Appare un gesto strano agli occhi di molti: c'è chi ci crede, c'è chi fa spallucce e pensa sia una bufala. Quando la notizia si fa certezza, ci sono anche gli scettici: e sono molti. Perché visitare un paesino di 13000 abitanti, molto chiuso sotto certi punti di vista ideologici? 

Purtroppo in una società dominata dal marketing politico e dal consenso a basso costo, ottenuto tramite populismi plateali non viene più concepito un gesto del genere. Un gesto del genere che dovrebbe essere l'atteggiamento tipico del politico. Il politico, se vuole fare questo mestiere nella vita deve TOCCARE il popolo italiano in tutta la sua eterogeneità, in tutte le sue idiosincrasie, in tutte le sue contraddizioni, in tutte le sue manifestazioni, non arroccarsi su un proprio personale piedistallo che aliena dalla realtà vera, che indora la pillola della crisi e chiude verso quell'egoismo becero che ha caratterizzato la nostra classe politica uscente. Abbiamo bisogno di politici che abbiano voglia di sporcarsi le mani con noi, che abbiano voglia di capire i disagi sperimentando i disagi con noi, persone che vadano a visitare tutte le identità multiformi di cui si compone l'Italia al fine di farsi un quadro completo della situazione e trarre le conseguenze più opportune per il bene di tutti. Non c'è chissà quale dietrologia dietro questo: il politico nascerebbe con questa vocazione, poi persa nella notte dei tempi. Quindi rispondiamo a tutti coloro che sono stati diffidenti, quelli che vedono solo commercio di anime e di cose nella loro vita: no, possiamo ripartire dalla base, da politici competenti che mettano le mani nel tessuto pastoso, argilloso, a volte vischioso dell'Italia. Ma si sa, dalla materia repellente dell'argilla, possono nascere vasi ed anfore dalla bellezza singolare. 
Riportiamo di seguito quindi l'articolo di un cittadino vetrallese, iscritto a SEL che ha preso parte all'evento e che ci dà la sua testimonianza. 

"Nichi è qui a Vetralla" di Mauro Presciutti.

Tutto ciò che mediaticamente ci raggiunge è incentrato su un modello di società che spesso non riflette la reale composizione del tessuto sociale italiano, soprattutto dal punto di vista della distribuzione geografica. Nel corso degli anni Tv, radio, giornali ed ora internet hanno dipinto l'Italia come un paese dove la vita è totalmente indirizzata alle grandi città e dove, al di fuori di queste, non esiste nulla o poco più. Allora ecco pubblicità di qualunque cosa (dall'automobile, alla crema viso, passando per i cereali) che ritraggono scene di presunta vita reale ambientate in metropoli che, a onor del vero, non sembrano più nemmeno europee. E la provincia italiana (l'importantissima e ricchissima provincia italiana)?  Ridotta ad essere nulla più che uno scenario da week end o da Spa dove poi il lunedì mattina si smantella tutto e ci si rivede il venerdì. E la politica non s'è sottratta da questo processo, intervenendo per incentivare la nascita di immensi agglomerati, dimenticandosi di milioni e milioni di cittadini sotto ogni punto di vista, da quello dei trasporti fino a quello occupazionale. Ecco che allora la presenza di Nichi Vendola in un paese di 13000 abitanti circa, ha un valore elevato, molto elevato. Parla di massacro della cementificazione, di dramma della spopolazione dei territori e parla di una italianità sempre più lontana da quella originale, sostituita passo passo da modelli non reali e non applicabili, che finiscono per ledere diritti e ambiente in un colpo solo (il passaggio su Marchionne è chiaro ed inequivocabile). Si guarda intorno, guarda le mura e le case colorate della piazza, guarda la gente che annuisce ad ogni sua parola e spesso lo interrompe per applaudirlo. Ha un carisma che hanno in pochi, una capacità di coinvolgere che è una rarità, ma il suo lato migliore è quello che mostra quando scende dal palco (e anche prima di salirci in realtà). Risponde a tutto ciò che gli chiedono in maniera precisa e senza giri di parole, risponde a chi lo saluta e gli fa i complimenti ma rimane anche a parlare con chi solleva problematiche politiche e ambientali. Va verso i bambini o le persone più anziane, riserva una parola per tutti, nessuno escluso, mette a dura prova la pazienza di quelli che devono scortarlo e che preferirebbero entrasse subito in auto. Nichi dice chiaramente che la politica è uno strumento e una ricchezza a disposizione di tutti e non un'entità inarrivabile, ci dice di concentrarci su questo concetto, di rispettare e di batterci per il nostro territorio perché tutto ciò lo renderà migliore. Prima di partire sfoglia i libri su Vetralla che gli ho regalato e fa: "bravissimi, continuate sempre così mi raccomando, davvero..." Quattro parole che saranno per sempre un monito per lavorare duramente e migliorarlo davvero questo territorio.
Mauro Presciutti

Infine da vetrallese, nata e cresciuta nella Tuscia, ma da sei anni ormai nella capitale laziale, posso con certezza dire che le province (ora come si chiameranno?) laziali sono state deprivate di molto, proprio a causa di una Roma che tutto ingloba e assorbe. Lavoro, soldi, tempo. Abbiamo dei meravigliosi patrimoni territoriali e culturali, una storia invidiabile all'estero (un nostro paese in Inghilterra sarebbe  messo sotto vetro e fatto visitare da milioni di turisti), eppure non si ha modo di far ripopolare la Tuscia, con i suoi tesori etruschi disseminati nei boschi, con i suoi paesi medievali di raminga memoria, con i suoi fascinosi eremi nascosti agli occhi dei pellegrini, con tanti beni ancora da scoprire e documentare. 
Date un aiuto concreto alla casa editrice Ghaleb Editore, al fine di finanziare un rapporto con il patrimonio territoriale, agricolo, archeologico e storico del territorio della periferia italiana. http://www.ghaleb.it/home.htm
Miriam Di Carlo
Vetralla




Piramide Etrusca, Bomarzo.

martedì 16 luglio 2013

TUTTO E' NIENTE.

Matteo Renzi è osannato dalle masse come il futuro della politica italiana. Sebbene si possa facilmente apprezzare la sua figura carismatica, non si comprendono i contenuti politici che la sua immagine veicola. Il suo programma e le sue idee mutano rapidamente, tanto quanto quelle del Cavaliere. Quali sono le idee di Matteo Renzi? Elencherò in breve gli aspetti salienti delle sue posizioni politiche. 

  • Renzi sta esprimendo il suo dissenso nei confronti del governo di larghe intese; era stato il primo, in seguito alla vittoria mutilata del Pd, ad invocare una grande coalizione. Non è chiaro perché Renzi ha cambiato idea così in fretta.
  • Durante le primarie del centro-sinistra nel dicembre 2012 Renzi ha affermato di non voler ritoccare l'Imu; coerentemente con questa posizione il 20 maggio 2013 Renzi non si è mostrato d'accordo con Letta sulla sospensione dell'Imu. Il 5 febbraio 2013 Renzi, remando contro il candidato premier Bersani, aveva invece affermato di essere favorevole all'abolizione dell'Imu. http://www.formiche.net/2013/02/05/renzi-via-limu-fattibile-ma-berlusconi-non-credibile/
  • Renzi ha spiegato di voler combattere l'evasione fiscale mediante un accordo con la Svizzera, proprio come ha affermato Quello lì, senza specificare un metodo valido di recupero dei fondi. Durante il confronto televisivo per le primarie si è smentito, parlando di nuove tecnologie informatiche per recuperare i fondi frodati al fisco. Renzi, però, non ha spiegato dove prendere i fondi per informatizzare le banche dati della pubblica amministrazione. 
  • Renzi ha dato il suo endorsment al patto di stabilità europeo del 2012, ma allo stesso tempo ha sostenuto di voler puntare sulla crescita. Le due posizione non sono nettamente antitetiche, ma il sindaco di Firenze non ha spiegato come conciliarle. 
  •  Durante il dibattito su Sky per le primarie, Renzi ha affermato che il centrosinistra deve farsi perdonare la caduta per ben due volte di Romano Prodi. Il giorno della sconfitta di Prodi per la corsa al Quirinale 101 membri del Partito democratico hanno ostacolato la candidatura del Professore sostenuta da Bersani. A quale corrente appartengono i 101, se la maggioranza del Pd - i bersaniani e i dalemiani - erano con Prodi? Renzi ha escluso ogni responsabilità, ma nessun altro nel partito avrebbe tratto un vantaggio concreto dalla 'bocciatura' di Prodi se non lui e i suoi seguaci. 
  • Renzi ha proposto l’elezione diretta del premier sul modello dei sindaci, una proposta che richiede una radicale riforma della Costituzione. Non fate riforme peggiori del Porcellum, poi ha aggiunto: questa riforma può essere effettuata solo con l'appoggio del centrodestra, che è fautore del Porcellum e da anni promuove il presidenzialismo.
Non è ancora chiaro quale alternativa Renzi abbia in mente per l'Italia. Le sue idee sono imprecise: lotta all'evasione fiscale, liberalizzazioni, rinnovamento e informatizzazione della pubblica amministrazione, maggiore impiego per i giovani, fine al nepotismo e alle rendite di posizione; un programma roseo, ma il sindaco di Firenze difficilmente entra nel dettaglio dei propri programmi. L'unica proposta concreta è quella che concerne maggiore flessibilità in entrata e in uscita per i dipendenti di medie e grandi imprese. Che cosa garantisce che il sistema americano della flexsecurity funzioni in Italia, dove vige una struttura politica ed economico-finanziario molto dissimile da quella statunitense? 

Se qualcuno mi dovesse chiedere, in definitiva, quali sono le idee politiche di Renzi non saprei cosa rispondere: il sindaco ha posizioni di natura politica molto dissimili, ha in mente tutto e poi il contrario di tutto. La complessità della sua visione politica è un baratro su vuoto che lascia intravedere il nulla. 

Marco Di Caprio.

lunedì 15 luglio 2013

CHI COMANDA IN ITALIA?

La polizia in tenuta antisommossa, alle porte di Roma, ha circondato la casa di una dissidente kazaka, Shabalayeva Ablyazov, e l'ha costretta a prendere un aereo per ritornare nel suo Paese, dove vige un ferreo regime e dove non potrà esprimere il suo pensiero liberamente nella parola e nei fatti. I poliziotti in tenuta antisommossa, agiscono solitamente per l'arresto dei boss mafiosi: ci sono zone della periferia di Napoli in cui per mantenere l'ordine sarebbero opportune retate come questa. La squadra speciale, in Italia, è a quanto pare impiegata per catturare persone innocenti come questa inoffensiva rifugiata per motivi politici. A nulla vale quindi l'art 10 comma 3 della Costituzione: 
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Quali sono le condizioni stabilite dalla legge che ha violato la Ablyazov? La donna è venuta in Italia per sfuggire al regime del dittatore kazako Nazarbayev, amico di Berlusconi. Alfano ha affermato di non sapere nulla della retata; ma è impossibile che un ministro degli Interi non sappia di un'operazione imponente come questa e, per di più, avvenuta alle porte della Capitale. Il fatto che la donna fosse ricercata da un dittatore amico di Berlusconi chiarisce, a quanto pare, tutta la vicenda: è stato Berlusconi a decidere la retata, che non avrebbe altrimenti senso, e a spingere Alfano a mobilitare la polizia in tenuta antisommossa. 

Ancora una volta il Cavaliere, tramite il fido Alfano, sarebbe protagonista di un abuso di potere. Quello lì impiega i corpi di polizia per i propri scopi personali piuttosto che per quelli pubblici: in questo caso lo scopo della retata è stato quello di consolidare la sua amicizia personale con il dittatore kazako. Questo episodio, se manovrato - come è probabile - da Arcore, lascia un interrogativo: che cosa è cambiato dal dopo-Berlusconi se comanda ancora Berlusconi? 

Marco Di Caprio.

domenica 14 luglio 2013

Ci son due Calderoli ed un Orango Tango, un'idiozia reale...

Ci son due Calderoli ed un Orango Tango, due piccoli dementi, un’idiozia reale, un Bossi, un Trota, un Maroni, non manca più nessuno, solo non si vedono i Mezzogiorni.

La grande sciagura della dichiarazione pubblica di Calderoli è il subire incessantemente sue foto e filmati da un giorno a questa parte. Volete renderlo ancora più inviso? Bene, questo è il modo giusto. Se dovessimo adottare una teoria fisiognomica (come in un certo senso ha fatto lui con la Kyenge) secondo cui i tratti somatici corrispondono a caratteristiche intellettive e morali, Calderoli non ne uscirebbe molto bene: non è proprio un Adone, e, diversi anni fa sfoggiava una bella pappagorgia degna dei migliori pellicani, facendo invidia al signor Borghezio, la cui pancia potrebbe benissimo sfamare tutto un intero continente. Quello che lui taccia di inferiorità.

Ma con “orango”, sinceramente ci è andata anche bene: chissà quanti appellativi, insulti e schifezze varie diranno i leghisti nelle loro convention votate al Dio Po. Dopo aver esaurito le sacre acque del fiume, si danno al vino, al convivium: a sparare cazzate. Così si è sviluppata la Lega.
La Lega però non nasce così, davanti a un tavolino, un po’ di Gorgonzola e un’ampolla magica. No, la Lega, così come il M5S nasce come emanazione di una singola personalità, la quale forte di paure e insofferenze riscontrate in molti individui, decide di farsene portavoce al fine di ricevere consensi. La lega, aglli albori della sua ascesa politica si fece strada presentandosi come l’anti-partito che voleva scardinare il sistema politico vigente, al fine di reintrodurre una sorta di integrità etica. Il movimento che si formò, diventa forte dei propri “valori” ideologici, che oltre ad essere bandiera (come si nota essi sono molto ben delineati rispetto a quelli di  altri partiti), sono punto di forza e coesione di un gruppo compatto e monolitico. Nei discorsi alla Camera per esempio Bossi usa non solo un linguaggio colloquiale, non solo parole che non si sentono uscire dalla bocca di altri parlamentari e che sono tipici di un registro medio-basso, ma soprattutto si permette di richiamare il silenzio a modo suo, in maniera perentoria e da leader indiscusso: “Silenzio!”. Questo linguaggio ha degenerato piano piano, si è infiltrato nella politica e oggi ne abbiamo subita una delle tante conseguenze che siamo costretti ad ascoltare. Segno che, se si leicizza ogni forma di bassezza linguistica (che in questo caso cela un giudizio improprio) facendola passare per una maggiore trasparenza davanti a discorsi troppo artificiosi e costruiti, ecco a che punto si potrebbe arrivare: che le parole non passano dal cervello, non vengono più pensate e si sputano tranquillamente. (Ma in questo caso particolare credo che, se pure le parole fossero entrate nel cervello di Calderoli prima dell’enunciazione pubblica, non è che avrebbero subito grandi trasformazioni). Attenzione fortemente quindi ai Vaffa, che oggi sono diretti verso la Kasta ma domani potrebbero benissimo essere rivolti dai vostri figli a voi.
Inoltre l’emanazione dal leader si manifesta anche a livello sintattico e della struttura della frase: molti sono i punti di accordo tra Lega e M5S, singolarità tipiche di solo questi due partiti, assenti in altri.

Infine lascio ai filosofi le caratteristiche che riguardano la xenofobia vista come paura del diverso e punto di forza coesiva di un gruppo la cui singola persona presenta forti debolezze e fragilità. 
Miriam Di Carlo



Campioni di bellezza e intelligenza umana. 




sabato 13 luglio 2013

SILVIUS (IN)VICTUS

Il 31 luglio potrebbe essere un giorno di festa: spero che il giorno del compleanno di mio padre, che era l'opposto del Cavaliere da tutti i punti di vista, sarà il giorno del tracollo di B. Ma forse ci libereremo di lui solamente dopo la sua morte, come affermava proprio mio padre: finché non lo si vedrà defunto, non starà ai margini della vita politica.

Quasi certamente sarà condannato al processo Mediaset, perché l'accusa di evasione fiscale istruita dalla Procura di Milano ha solido fondamento. Purtroppo non andrà in galera, perché, per questo genere di reati, alle persone over 70 sono previsti i domiciliari. La sua pena, per effetto dell'indulto, si ridurrà ad un anno, che possono essere scontati non ai domiciliari ma in un altro modo, stabilito concordemente con i servizi sociali.

Che cosa potrà fare Quello lì in seguito ad una condanna in via definitiva? Se l'interdizione dai pubblici uffici sarà confermata, il Cavaliere non farà cadere il governo; continuerà a gestire la cosa pubblica tramite il suo 'cane', il fido Angelino. Se abbandonasse l'esecutivo, non sarebbe certo di portare il Paese alle urne: metà del Pdl non vuole le elezioni, mentre Pd e M5S sono concordi nel volerle evitare. Se minacciasse le elezioni, spaccherebbe il suo partito e lascerebbe lo spazio ad un nuovo governo di cui i grillini diventerebbero il perno. 

Che cosa farà il Cavaliere? Se è quasi certa una sentenza a lui sfavorevole in Cassazione, è altrettanto quasi sicura la sua fedeltà a Letta. Se invece dovesse sfiduciare l'esecutivo, Quello lì, relegato ai margini della vita politica, sarebbe fagocitato in poco tempo. Forse il 31 luglio non sarà la sua fine, ma la sua fine si sta inesorabilmente avvicinando.

PS Ringrazio la mia carissima amica Miriam per le belle parole che ha scritto nell'articolo di ieri in merito alla discussione della mia laurea.

Marco Di Caprio.  

giovedì 11 luglio 2013

Esiste un Santo Nume tutelare degli Italiani? Se no, forse lo stiamo creando.

Per il 31 Luglio ho comprato un Berlucchi e un Brachetto d’Aqui. Non capisco nulla in tema di spumante ma mi hanno detto che per ben festeggiare si fa così. Quindi li tengo al fresco. Sono indecisa se fare una sorta di Ramadan: cioè un lungo digiuno-fioretto propiziatorio il 29 luglio per poi lasciarmi a quanto di più grottesco e godurioso possa produrre l’industria gastronomica italiana. Il 30 Luglio non mi chiamate, non mi cercate, non ci sono.

Si festeggerà, se il Santo Nume tutelare degli italiani vuole, la fine di un’era. Di Silvio Berlusconi ma anche dell’antiberlusconismo che ha rinvigorito e martirizzato il suddetto personaggio, rendendo invisa la magistratura e la legalità agli occhi dei primi indecisi, poi radicati e infine fossilizzati sul mito di Silvio.
Infatti se paghiamo ora le conseguenze della grande persecuzione ai danni del beato Silvio da Arcore (la santificazione non si può applicare su chi è immortale) è per colpa di un atteggiamento politico e sociale nato in opposizione al politico in questione, ma che, abbagliato e ottenebrato dall’odio, non ha fatto altro che rinforzare l’idea di un grande martire da salvare. Tutti ce l’hanno con lui, tutti lo odiano immotivatamente, tutti lo scherniscono senza alcuna giusta causa. Quindi da una parte si delinea la figura dell’antiberlusconiano becero che addita e respinge (giustamente) ma che non mantenendo lucidità finisce per farsi prendere la mano un po’ troppo inveendo a spada tratta contro la stupidità umana, dall’altra per contro, ci troviamo il sostenitore medio di destra che, vista l’acribia del primo tipo sociale, difende strenuamente il Cavaliere, arrivando non solo a farselo piacere politicamente, ma anche socialmente, eticamente e culturalmente: si ha così la nascita del mito.
Il berlusconismo e l’antiberlusconismo hanno quindi caratterizzato questa era che probabilmente, ci lasceremo alle spalle. Non cesserà di esistere il berlusconismo: esso è un atteggiamento non solo politico ma ormai sociale e culturale che ha allevato intere generazioni le quali saranno prossime a diventare le basi su cui si fonderà la futura Italia. I concetti del “beh, lo fanno tutti”, del “voler tutto con il minimo sforzo”, del “massimo della forma, minimo della sostanza, tanto chi se ne accorge”, del “essere simpatici a basso costo per far colpo”, del “maschio italico dalla vigoria e virilità latina” ormai hanno impregnato la vita di tutti i giorni e continueremo a subirli fino alla fine dei secoli dei secoli, amen. Anche io ne sono stata sedotta involontariamente e chiunque, sfido, sono sicura possegga almeno un oggetto in casa che rimandi al grande imprenditore. Bisogna dare atto che è stato un personaggio carismatico, attento al gusto medio italiano sul quale fare presa, allerta sui bisogni più ancestrali ed egoistici che esistono nell’uomo per poi renderli palesi attraverso il soddisfacimento legalizzato di tale istinto, normalmente tacciato di infamia. Ovvero ha palesato (non attraverso la denuncia ma attraverso la proposta di soddisfazione) bisogni reconditi nascosti a noi stessi, li ha resi “normali” e “naturali” quindi “legali” nella natura umana, e vi ha posto rimedio attraverso la sua personalità che ha rappresentato l’incapacità dell’uomo di avere una coscienza e di ammettere i propri errori e limiti. Berlusconi è stata la grande giustificazione per l’uomo verso la sua immoralità: si è dimenticato che etica e morale (non moralismo) sono basi fondamentali per la crescita e il progresso sano di una civiltà in cui ognuno, consapevole dei propri doveri, si responsalizza nei confronti dell’altro, garantendone la libertà e la dignità.

Ora sugli scenari che si aprono davanti al PdL, lascio il campo a chi più di me se ne intenda, ma vorrei solo meditare sul fatto che B. non voglia far cadere il Governo (dicunt) mentre siano più i suoi discepoli (ormai quasi apostoli) a prospettare tale soluzione. Immaginiamo la scena:  il grande statista B. che a tavola, con i suoi, prima del martirio, spezza il pane e rifiuta qualsiasi proposta di salvezza: andrà avanti per il bene dello Stato. Prostrerà il capo con una corona di capelli nuovi, denunciando e testimoniando non con le parole ma con il suo atteggiamento fiero. Incorrerà nella sentenza ante tempore (per niente tra l’altro, Gomez lo ha spiegato bene in molte occasioni): carcere o servizi civili.
No, il carcere no. Non lo voglio io: rischierebbe di creare una piccola Arcore nel carcere, corrompendo secondini e guardie affinché gli portino un bel cosciotto di agnello mentre il vicino di cella mangia il semolino liofilizzato: meglio allearsi con lui piuttosto che mangiare semolino fino alla fine dei giorni. Meglio farselo amico, magari con qualche regalo e vedrai che il cosciotto arriva pure alla cella vicina.
Preferirei i servizi sociali. Sì. Che si stanchi per una volta. Che faccia qualcosa che ha solo immaginato e mai visto né sentito raccontare. Che subisca un po’ la vita, e non sia lui a farla subire agli altri. Che cominci a capire come gira l’animo di un uomo e non solo il suo primitivo istinto di sopravvivenza.  Allora a quel punto, dopo la conversione, il cieco tornerà a vedere e magari aspirare veramente a un gloria maggiore di quella che con perizia si è creato magistralmente con le sue mani.

Ora vorrei solo che, visto ciò che ha creato l’antiberlusconismo, non si ricada nell’errore dell’antigrillismo: che si cerchi di far ragionare attraverso il dialogo, base prima della progressione attraverso un processo continuo di affermazione ma anche di umiltà e di regressione.
Miriam Di Carlo

P.S. Colgo l’occasione per fare i miei più cari auguri telematici a Marco Di Caprio, oggi dottore in Italianistica presso l’Università degli Studi Roma Tre riportando il voto di 110/110 con lode. L’argomento trattato riguarda i cromatismi nella lirica provenzale.  Capisco che non ve ne possa fregare di meno, ma io ci tengo che si sappia.


domenica 7 luglio 2013

Perché non sono d’accordo con Eugenio Scalfari.


Quando arriva la domenica sono sempre molto felice di vedere tra gli articoli de La Repubblica la firma di Eugenio Scalfari, uomo ormai abbastanza maturo negli anni ma che ha mantenuto una buonissima lucidità e acume facendo invidia a molti miei coetanei. Ma l’articolo di oggi (7 Luglio 2013) proprio non mi convince: vorrei esporre solamente le mie perplessità al riguardo magari trovando il principio di un dibattito fruttuoso.

L’articolo reca il titolo “ Le risposte che i due papi non hanno ancora dato”. L’articolo si propone come obiettivo quello di sondare le risposte che il papa emerito Ratzinger e papa Bergoglio hanno saputo fornire nella prima enciclica del nuovo pontificato a proposito della domanda esistenziale dell’uomo: “chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo”. In particolare Scalfari si sofferma su una domanda esistenziale che è apparsa sempre nella mente degli uomini, da Dante a Pirandello fino alle voci poderose dei pensatori più contemporanei: “esiste una sola verità o tante quante i singoli individui e la loro mente ragionante configurano?”.
Il problema dell’articolo di Scalfari concerne proprio l’esclusione di una via e di un confronto tra due alternative, che non si escludono ma si completano vicendevolmente. Vediamo dove e perché.

L’analisi di Scalfari parte proprio dalla doppia natura di Gesù: divina ed umana. Il giornalista analizza i 40 giorni nel deserto quando il figlio di Dio fu messo alla prova dal demonio. Le tre tentazioni subite nella natura umana furono vinte: così liquida l’argomento Scalfari aggiungendo la sola postilla che riguarda la forza divina che risiede nella vittoria delle tentazioni.
Le tentazioni non furono vinte solo perché Gesù era figlio di Dio, ma perché queste tentazioni possono essere sconfitte dall’uomo, dall’individuo normale perché Dio ci ha fatto a propria immagine e somiglianza. Ma perché sconfiggere delle tentazioni? A che pro non essere sedotti dal bene illusorio che può donare una qualche soddisfazione terrena? Perché questa tentazione illusoria porta ad una tristezza intrinseca non individuabile immediatamente ma che si infiltra nell’animo come piccola cellula tumorale: aumenta, si allarga, si incancrenisce e forma metastasi in tutto il nostro essere. Le tre tentazioni sono le tre tentazioni nella vita di ogni uomo: quella del pane (ovvero la comodità: quante volte non facciamo, non ci prodighiamo perché vogliamo soddisfare la nostra comodità, il nostro spazio per il nostro corpo ed essere? È il principio di un egoismo che non ci fa uscire da noi), delle sicurezze (dove riponiamo la nostra vita? In quale sicurezza? Quella sicurezza diventerà la nostra schiavitù perché avremo sempre paura di perderla non riuscendo a uscire dal cerchio che ci tiene avvinghiato e soggiogato ed essa), dell’idolatria (il potere, il successo, l’intelligenza sono tutti idoli che ci succhiano l’anima ogni giorno e quelli da cui pensiamo derivi la vita: ci votiamo a loro perché è tramite loro che ci sentiamo amati tramite lodi, riconoscimenti ed altro). Liberandoci da queste tre tentazioni che avviene lo svuotamento dalla natura umana per sentire un primo passo verso la libertà.
E il secondo passo? Scalfari parla in questi termini “Tentò [Gesù] un miracolo: far scomparire l’amore per sé concentrando l’intero flusso sugli altri e addirittura prescrivendo ai suoi discepoli di amare il prossimo come se stessi. Attenzione: come se stessi. L’amore per gli altri on aboliva l’amore per sé ma si elevava come poteva allo stesso livello di sentimento”. Lo sbaglio di Scalfari è quello di aver considerato i due amori coesistenti nell’individuo: amare gli altri come si ama se stessi. Ecco il secondo idolo da abbattere: se stessi. Il giornalista non ha compreso che l’amore per se stessi ha valore retroattivo: non si può amare gli altri continuando ad amare se stessi. E’ impossibile perché altrimenti non perdoneresti, non chiederesti scusa, non pregheresti per i tuoi nemici. E’ nel momento in cui si è eliminato l’amore per se stessi (che si manifesta quotidianamente nell’orgoglio, nella superbia e nella sopraffazione verbale o di carisma) che si può amare l’altro. E vi accorgete quando riuscite maggiormente ad amare l’altro? Esattamente quando vi riconoscete non perfetti e migliori in un punto, che sarà quello che non vi farà giudicare l’altro e che anzi ve lo farà amare. Se un uomo continua ad amare se stesso  non riuscirà a perdonare anche quando ingiuriato: continuerà a sentire l’accusa sulla sua persona (tematica cara anche a Seneca) e sentirà l’accusa e l’ingiuria quando sovrastima se stesso e si ama troppo: indi per cui non si può amare l’altro se non si è abbandonato alle spalle l’amore per se stessi.

Infine Scalfari confuta la risposta dei papi “la verità è la fede”. Per lui non è soddisfacente. Ma cosa significa fede in realtà? Significa fiducia in Dio. E che significa avere fiducia in Dio? Significa fidarsi di qualcosa che la mente umana, razionalmente non concepirebbe. Ovvero? Abolire la nostra progettualità, la nostra razionalità, intelligenza, schematismo di vita, aspettativa di vita, giustizia di vita e moralismo di vita perché? Perché tutto ciò si pensa essere creato e generato da noi stessi, artefici e creatori della nostra vita e giustizia di vita. Solo così si abolisce l’amore verso se stessi e si comincia ad amare l’altro. Solo lasciando se stessi e la propria rocca costruita con perizia che si può amare l’altro, essere liberi da se stessi, fidarsi dell’ignoto e non delle proprie forze. Questa è l’unica verità di vita. Perché altrimenti ognuno porterebbe la propria verità (che è razionalmente giusta se spiegata e plausibile), ognuno parlerebbe la lingua della propria ragione accettabile e nessuno uscirebbe fuori da se stesso per amare l’altro. Allora la fede ha come radice l’abolizione dell’idolatria del proprio essere per aprirsi ad una giustizia diversa da quella che noi ci fabbrichiamo: fidarsi come principio di liberazione, come lingua universale e di amore reale.
Miriam Di Carlo

venerdì 5 luglio 2013

A tutti coloro che...non vedono un futuro. E invece c'è.

Mi dispiace ma non riesco proprio. Non riesco a non nutrire un senso di fiducia nei confronti del futuro. A volte noi giovani (parlo soprattutto di chi sta uscendo o è già uscito dall’università) leggiamo giornali, vediamo telegiornali e consultiamo un web pieno, zeppo di speranze da stracciare.
E anche io mi sono trovata, (e con me molti) a dover fare i conti sulla mancanza di una certezza futura: non c’è lavoro, per nessuno. E meno che mai per una laureata in Lettere che avrebbe come massima aspirazione quella di mettere su famiglia, una famiglia sana. E meno che mai per chi cerca lavoro onestamente senza scendere a compromessi. E meno che mai per una misantropa come me tendente a non frequentare ambienti particolarmente propensi al fascino della singola personalità. Eppure potrei, eppure riuscirei benissimo. Ma no. Ho scelto questa strada, la più difficile, la più controversa e quella che mi farà penare ma quella che ho scelto per partire. La speranza spesso viene meno: come potrò cominciare se non ho una base economica, se non ho un lavoro, se non riesco a risparmiare nulla come vorrei perché i rincari sono all’ordine del giorno? Come? Non ho mai fatto una manicure in tutta la mia vita (solo una pedicure, una volta per necessità: vi risparmio i particolari orridi), non sono mai andata in una SPA o che so io (e non ne sento né la necessità né la voglia), vado una volta all’anno dal parrucchiere perché alla fine devo (ma non ne sento veramente il bisogno). Gli unici generi di lusso su cui non risparmio sono i libri, i miei libri di studio, qualche cinema. Oltre che qualche vestito, perché si sa, noi donne alla fine siamo un po’ narcise.
Detto ciò, il risparmio non basta perché l’entrata fissa non c’è. Quindi come fare?

Mio padre e mia madre, spesso ripercorrono la storia del loro amore, come un atto di coraggio e fiducia. I tempi erano diversi, ma ogni periodo ha la sua pena, credo. Mia madre, laureata in Lettere, di buona famiglia borghese decise di intraprendere questa strada un po’ per vocazione, un po’ per emulazione…di mia nonna. Ultima di sette fratelli, mia nonna fu l’unica in famiglia che decise di dedicarsi all’università, in un mondo pugliese in cui la donna ancora non  godeva dell’emancipazione a cui invece oggi siamo abituate. E così prese la bicicletta e si recò ogni giorno nella città più vicina per fare le prime supplenze e guadagnare qualche soldo: riuscì a trasferirsi con il gruzzolo a Roma e laurearsi in Lettere con il massimo dei voti e lode dopo aver sostenuto esami con Paratore e Sapegno presso l'università de La Sapienza. Completamente da sola. Altrettanto mia madre, con una indubbia maggiore facilità sociale ma non altrettanto familiare, a causa di lutti forti.
Mio padre, laureato in Lettere anche lui. Condizione totalmente opposta: decise di intraprendere la carriera universitaria contro tutto e tutti: mio nonno, bracciante assai rinomato nella zona, possessore di cavalli e grande contadino, chiamato nel paese di Vetralla (mio borgo d’origine, in cui tutt’ora torno spesso e volentieri) con il soprannome, ormai tramandato fino a noi nipoti de “il poeta”: noi siamo le nipoti de “il poeta” Angelo Di Carlo, l’unico del paese che sapesse le ottave ariostesche, l’unico che sapesse terzine dantesche a memoria, l’unico che componesse storie rimate sulla guerra e suoi orrori, rendendole avvincenti e struggenti. Ma Angelo non voleva per mio padre la carriera universitaria: da famiglia contadina, si doveva fare vita contadina, vivere di agricoltura e autosussitenza. Mio padre, testa dura,  prese baracche e burattini e studiò. Non frequentante, rimanendo a Vetralla e aiutando i miei nonni con la campagna arrivò alla laurea presso La Sapienza con 110 e lode. Dopo la laurea, vista la penuria di lavoro andò in fabbrica, a modellare l’ottone, a Brescia. Vi rimase finché non cominciò a fare vari concorsi e diventare alla fine Docente Universitario di Geografia. C’è da aggiungere, inoltre, che lo scontro tra mio padre e mio nonno avvenne anche in campo ideologico: “il poeta” viveva nel mito del fascismo che gli aveva dato di che vivere, mio padre totalmente all’opposto, si dedicò al comunismo militante, fermando treni e contestando a suo modo il sistema. L’aneddoto più avvincente riguarda proprio una delle sue apparizioni universitarie quale docente: con pantaloncini corti si rifiutava di dare la mano perché gesto troppo borghese e strutturato.


Bene, mio padre si innamorò perdutamente di mia madre prima che entrambi potessero avere un lavoro (e quindi una base solida e certa da cui partire), appena usciti dall’università. In realtà mio padre era innamorato già da molto tempo di mia madre, ma lei lo aveva fatto ben penare sebbene pensasse intensamente a lui: nelle sere estive infatti, quando la campagna cominciava a sussultare di sollievo grazie all’arietta fresca di ponente e si tingeva dei colori arancio su rifrazione delle case tufacee, mia madre ascoltava da dietro la finestra, il fischiettio di mio padre provenire dall’orto proprio mentre lui, intento alla campagna, raccoglieva la più variegata e variopinta frutta, succosa come solo le cosce delle monache sanno essere.  Si innamorarono e non avevano nulla, se non la speranza di stare insieme. E si sposarono, senza un lavoro fisso mio padre, facendo qualche supplenza mia madre. Affittarono una casetta malmessa e malriposta, risparmiarono su acqua, luce, gas. Non andavano al cinema o a cena fuori, non bevevano vino pregiato o facevano chissà quali cure del corpo (tant’è che mia madre si tagliava i capelli da sola), non mangiavano spessissimo la carne, non indossavano capi d’abbigliamento particolarmente in (anche se cercavano in maniera del TUTTO insoddisfacente), rinacciavano ancora i calzini, ma non si fecero mancare nulla dalla vita: le loro passeggiate, le loro letture condivise, il loro amore maturato nel sacrificio ma anche nella voglia di stare insieme, diede loro la speranza ma soprattutto la felicità. E così siamo nate noi tre sorelle Di Carlo, e possiamo dire con tutta certezza che i nostri genitori non ci hanno fatto mai mancare nulla. Abbiamo sempre condiviso tutto, indossando vestiti di cugine o predecessori, spegnendo subito l’acqua o la luce o usando il riscaldamento con parsimonia, guidando una Fiat Tipo fino a pochi mesi fa ma con tanto tanto amore e voglia di vivere. Insieme e avendo fiducia nell’umanità. Sappiamo che se si semina con la luna crescente, la pianta viene male e l’insalata “spiga”, sappiamo che nelle notti di giugno si accendono le lucciole, sappiamo come si ammazza e cucina un coniglio ( e anche come si scuoia), sappiamo che significa non sentire la stanchezza del sacrificio condiviso.
Miriam Di Carlo


Ps. Ora abbiamo una casa bellissima. Ma la casa vera si forma quando stiamo tutti insieme. 

martedì 2 luglio 2013

"Salvo" premiato alla Semaine de la critique di Cannes?

Questo post riporta alcune riflessioni a proposito di “Salvo” un film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, cineasti emergenti che hanno ricevuto riconoscimenti da parte della Semaine de la critique di Cannes. Per fortuna è arrivato anche in Italia. E noi (un gruppo abbastanza eterogeneo di amici) lo siamo andati a vedere dando i nostri pareri. Alla fine avrete il mio commento...ma prima gustatevi le considerazioni di tre ingegneri, veri amanti del cinema. 





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Vite al buio
(“Salvo” di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, Italia 2013)
Palermo. 5.30 del mattino. Salvo Mancuso, giovane guardaspalle del “boss” di zona, si sveglia e si reca dal suo “assistito”. La loro auto procede lentamente lungo le strade della città, quando i due si accorgono di essere seguiti. Senza perdere la calma conducono i loro inseguitori su un'isolata stradina di campagna e si fermano ad attenderli oltre una curva. Salvo è bravo e svolge bene il suo “lavoro”: liquida presto gli assalitori, insegue l'ultimo sopravvissuto ed estorce la preziosa delazione. Si reca quindi a casa del mandante dell'agguato per consumare un'immediata vendetta, ma un incontro inatteso lo “disarma”: nell'oscuro seminterrato la sorella dell'uomo che è venuto ad uccidere conta banconote, probabilmente frutto di attività malavitose.
Lo stereo a tutto volume riempie l'aria con le note di una melensa canzoncina d'amore. Lui, non visto, la osserva; poi lei, forse intuendo la presenza di qualcuno alle sue spalle, si alza in piedi, si volta e avanza di qualche passo. Lui la vede avvicinarsi nella penombra, ma lei continua a non vederlo, e non a causa dell'oscurità ma perché i suoi occhi sono incapaci di vedere alcunché. Lui allora, per risparmiarle la vita, la rapisce.
In una rovente e assolata estate siciliana Salvo e Rita vivono costantemente al buio: il primo si nasconde “come un topo”, la seconda della luce non sa che farsene. Nel buio di una vecchia fabbrica abbandonata intrecceranno le loro vite e in un'altrettanto buia notte tenteranno di sfuggire al loro triste destino.
La quasi totalità della vicenda si svolge in ambienti foschi e polverosi, in cui caravaggesche e quasi materiche lame di luce fendono l'aria, evidenziando questo o quel dettaglio, ma senza mai concedere una chiara visione della scena. E lo spettatore, novello Pollicino perso nelle oscurità del bosco, non può far altro che seguire il percorso indicato da quei minimi elementi che trapuntano il racconto filmico; anzi, che ne costituiscono al tempo stesso l'essenza e la cifra estetica: una tendina illuminata in controluce, una fotografia sul mobile del corridoio, le mani di lui sul bordo del lavandino, le mani di lei che si muovono nell'aria, una tavola apparecchiata per il pranzo, un bidone industriale di colore rosso.
Sotto la spessa coltre di una pervasiva oscurità e nell'impossibilità di scambio verbale tra affiliati di clan rivali, i due protagonisti tessono un dialogo fatto prima di soli suoni e rumori: l'ossessivo ripetersi di una canzone, il rumore dei passi di lui, il picchiare delle mani di lei sulla porta metallica della stanza in cui è rinchiusa; e poi di contatti fisici: la forte stretta di lui sui polsi di lei, lo schiaffo di lei sulla guancia di lui, lo sfiorarsi delle gote mentre lui la aiuta a mangiare. E poi altri rumori ancora: il gracidare dei grilli, i clangori notturni di un'area industriale dismessa, il ronzare del condizionatore, due colpi di pistola nella notte.
Un film dalla trama semplice e parca di dialoghi, ma dalla fotografia d'effetto e dalle inquadrature ricercate. Azione e fissità si alternano, e i movimenti di macchina trasmettono allo spettatore il disorientamento provato dai protagonisti (ripetuti giri nella stanza accompagnano i cechi movimenti di lei, salite e discese lungo le scale seguono il punto di vista di lui).
Ma tra i sottili ossimori (il mortifero intrufolarsi del killer in stanze in cui riecheggiano le vivaci e romantiche parole di una canzone, un amore sbocciato tra le luride pareti di una fabbrica abbandonata nel cui perimetro la mafia locale seppellisce le proprie vittime) e una costante tensione di fondo (spezzata qua e là da pochi folkloristici inserti), la cinepresa indugia troppo su sudice pareti e pavimenti ingombri di arruginite ferraglie, sul profilo di lui investito da polverose folate di vento e sui sensuali riflessi che radenti fiotti di luce producono sulla silhouette di lei.
Per quanto riguarda il senso ultimo della storia, gli autori lasciano allo spettatore ampia libertà di scelta: l'amore può sbocciare anche tra nemici giurati? l'amore intenerisce anche le anime più dure? i miracoli possono accadere a chiunque e in qualsiasi momento o circostanza? O forse tutti questi e allo stesso tempo nessuno? Quale che sia il significato che vi scorgerete, l'opera prima di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza risulta coinvolgente e complessivamente piacevole, ma a tratti prolissa e manierata.

Simone Luperti, 35 anni, ingegnere elettronico.

Se fossi un boss mafioso e dovessi commissionare una produzione cinematografica, un film come Salvo sarebbe una buona scelta. Gli eroi principali, infatti, sono due membri della famiglia: sicario lui, "tesoriera" lei. Con i suoi occhi di ghiaccio, il protagonista è una sorta di Diabolik della mafia, con in più dei tratti religiosi: benedice le sue vittime prima di ucciderle, e il suo tocco arriva ad avere capacità taumaturgiche.
A parte queste premesse politicamente sospette e un po' improbabili, il film tiene ben desta l'attenzione, in particolare col lungo segmento iniziale. Lo sviluppo successivo mi è parso più convenzionale e prevedibile, anche se coerente. Qualche citazione qua e là, come le mani sul lavandino riprese da "Hunger" di Steve McQueen. Ma forse ad aver convinto la critica di Cannes è stata la bella fotografia sottotono di Daniele Ciprì.

Vincenzo Bonifaci, 35 anni, ingegnere informatico.

E' un film intenso, quasi muto, che si concentra più sulle immagine e le evocazioni che sui dialoghi e la costruzione di una storia (che è quasi sfumata). La presenza dei rumori (e non di una colonna sonora), la fotografia molto ricercata, la cura dei particolari e dei significati legati ad essi, hanno reso il film vivo quasi reale. Bravissimi i protagonisti che solo con sguardi e gesti hanno saputo rendere la dolcezza dell'amore ma anche la crudeltà e la crudezza della realtà. Unico neo: qualche minuto in meno non avrebbe guastato il tutto, avrebbe reso più fluido il racconto.

Chiara Di Carlo, 34 anni, ingegnere chimico.


Una serie di delicatezze disordinate all’interno di un panorama brullo e spinoso. La Sicilia è sempre stata terra fitta di enigmi, una fiera di genialità hanno contraddistinto un’isola divenuta crogiuolo di culture, lingue e sapori. Quel nome e cognome pronunciato in risposta ad una domanda, suona come la voce di un alunno che si presenta all’appello scolastico: “Come ti chiami?” “Salvo Mancuso”. E proprio lì si capisce che Salvo si è svegliato da un lungo sonno, con uno schiaffo tanto forte da fargli scoprire della grande alienazione che crea la mafia. Ma come si fa a dare uno schiaffo ad un sicario, armato di pistola e senza scrupoli? E’ pressoché impossibile, a patto che tu sia una ragazza cieca che, per devozione al suo ruolo di donna siciliana e per caparbietà di carattere anche tipicamente siciliano, vive la sua cecità con naturalezza e con superba fierezza. Non si può neanche sindacare sulla profondità di un amore così vissuto, perché l’esistenza è costellata di piccole solitudini in attesa di incontrarsi.
E’ un film da vedere, sebbene susciti in molti alcune incertezze di significato, coesione e veridicità nonché moralità. Ma il lato secondo me da privilegiare è proprio il contatto con la Sicilia: una terra in cui la mafia esiste quale sottofondo musicale e che impercettibilmente fa parte della vita di tutti. E così si insinua nello spettatore con la stessa normalità con cui risiede nel popolo siciliano, quale sottofondo da accettare e cui bisogna sottostare quale regola di base. Poi viene lo schiaffo, il contatto con la vita tangibile: Salvo si sveglia dalla sua cecità, dall’impossibilità di vedere che nella vita c’è una vocazione diversa da quella cui lui era asservito. Siamo affascinati dalla sua crudezza, dal suo carattere rude ma ricco di gentilezza verso quello schiaffo di donna che lo ha risvegliato. I dialoghi sono assenti ma non per questo non esistono comunicazioni sotterranee, tipiche di un gergo da interpretare. Rita beve dell’acqua e improvvisamente in Salvo si risveglia una sete vorace. Le mani della protagonista (unico mezzo di contatto con lo spazio nel momento della cecità), si intervallano a meditazioni sulle mani di Salvo. Ad una prima fase caratterizzata da buio e giochi di luci ed ombre, si sussegue un grande brano ricco di luce abbagliante e accecante che si riverbera nella campagna secca e arida di una Sicilia che non perdona.
Il fatto è proprio questo, che la storia non pretende di essere una storia universale o unanimemente accettabile, ma un pezzo staccato alla vita. Una probabilità di amore discutibile, un frammento che si è staccato, si è mostrato e poi è scomparso di nuovo, sfumando, al pari di quei corpi uccisi dalla mafia che l’aridità di una terra infuocata e il vento del Mediterraneo hanno restituito sotto forma di polvere all’aria.


Miriam Di Carlo