Mi dispiace ma non riesco proprio. Non riesco a non nutrire
un senso di fiducia nei confronti del futuro. A volte noi giovani (parlo
soprattutto di chi sta uscendo o è già uscito dall’università) leggiamo giornali, vediamo telegiornali e consultiamo un web pieno, zeppo di speranze da
stracciare.
E anche io mi sono trovata, (e con me molti) a dover fare i
conti sulla mancanza di una certezza futura: non c’è lavoro, per nessuno. E
meno che mai per una laureata in Lettere che avrebbe come massima aspirazione
quella di mettere su famiglia, una famiglia sana. E meno che mai per chi cerca
lavoro onestamente senza scendere a compromessi. E meno che mai per una
misantropa come me tendente a non frequentare ambienti particolarmente propensi
al fascino della singola personalità. Eppure potrei, eppure riuscirei benissimo.
Ma no. Ho scelto questa strada, la più difficile, la più controversa e quella
che mi farà penare ma quella che ho scelto per partire. La speranza spesso
viene meno: come potrò cominciare se non ho una base economica, se non ho un
lavoro, se non riesco a risparmiare nulla come vorrei perché i rincari sono all’ordine
del giorno? Come? Non ho mai fatto una manicure in tutta la mia vita (solo una
pedicure, una volta per necessità: vi risparmio i particolari orridi), non sono
mai andata in una SPA o che so io (e non ne sento né la necessità né la
voglia), vado una volta all’anno dal parrucchiere perché alla fine devo (ma non
ne sento veramente il bisogno). Gli unici generi di lusso su cui non risparmio sono
i libri, i miei libri di studio, qualche cinema. Oltre che qualche vestito, perché
si sa, noi donne alla fine siamo un po’ narcise.
Detto ciò, il risparmio non basta perché l’entrata fissa non
c’è. Quindi come fare?
Mio padre e mia madre, spesso ripercorrono la storia del
loro amore, come un atto di coraggio e fiducia. I tempi erano diversi, ma ogni
periodo ha la sua pena, credo. Mia madre, laureata in Lettere, di buona
famiglia borghese decise di intraprendere questa strada un po’ per vocazione,
un po’ per emulazione…di mia nonna. Ultima di sette fratelli, mia nonna fu l’unica
in famiglia che decise di dedicarsi all’università, in un mondo pugliese in cui
la donna ancora non godeva dell’emancipazione
a cui invece oggi siamo abituate. E così prese la bicicletta e si recò ogni
giorno nella città più vicina per fare le prime supplenze e guadagnare qualche soldo: riuscì a trasferirsi con il gruzzolo a Roma e laurearsi in Lettere con il massimo dei voti e lode dopo aver sostenuto esami con Paratore e Sapegno presso l'università de La Sapienza. Completamente da sola. Altrettanto mia madre, con una indubbia maggiore facilità
sociale ma non altrettanto familiare, a causa di lutti forti.
Mio padre, laureato in Lettere anche lui. Condizione totalmente
opposta: decise di intraprendere la carriera universitaria contro tutto e
tutti: mio nonno, bracciante assai rinomato nella zona, possessore di cavalli e
grande contadino, chiamato nel paese di Vetralla (mio borgo d’origine, in cui
tutt’ora torno spesso e volentieri) con il soprannome, ormai tramandato fino a
noi nipoti de “il poeta”: noi siamo le nipoti de “il poeta” Angelo Di Carlo, l’unico
del paese che sapesse le ottave ariostesche, l’unico che sapesse terzine
dantesche a memoria, l’unico che componesse storie rimate sulla guerra e suoi
orrori, rendendole avvincenti e struggenti. Ma Angelo non voleva per mio padre
la carriera universitaria: da famiglia contadina, si doveva fare vita
contadina, vivere di agricoltura e autosussitenza. Mio padre, testa dura, prese baracche e burattini e studiò. Non
frequentante, rimanendo a Vetralla e aiutando i miei nonni con la campagna arrivò
alla laurea presso La Sapienza con 110 e lode. Dopo la laurea, vista la penuria
di lavoro andò in fabbrica, a modellare l’ottone, a Brescia. Vi rimase finché
non cominciò a fare vari concorsi e diventare alla fine Docente Universitario
di Geografia. C’è da aggiungere, inoltre, che lo scontro tra mio padre e mio
nonno avvenne anche in campo ideologico: “il poeta” viveva nel mito del
fascismo che gli aveva dato di che vivere, mio padre totalmente all’opposto, si
dedicò al comunismo militante, fermando treni e contestando a suo modo il
sistema. L’aneddoto più avvincente riguarda proprio una delle sue apparizioni
universitarie quale docente: con pantaloncini corti si rifiutava di dare la
mano perché gesto troppo borghese e strutturato.
Bene, mio padre si innamorò perdutamente di mia madre prima
che entrambi potessero avere un lavoro (e quindi una base solida e certa da cui partire), appena usciti dall’università. In
realtà mio padre era innamorato già da molto tempo di mia madre, ma lei lo
aveva fatto ben penare sebbene pensasse intensamente a lui: nelle sere estive
infatti, quando la campagna cominciava a sussultare di sollievo grazie all’arietta
fresca di ponente e si tingeva dei colori arancio su rifrazione delle case tufacee,
mia madre ascoltava da dietro la finestra, il fischiettio di mio padre
provenire dall’orto proprio mentre lui, intento alla campagna, raccoglieva la
più variegata e variopinta frutta, succosa come solo le cosce delle monache
sanno essere. Si innamorarono e non
avevano nulla, se non la speranza di stare insieme. E si sposarono, senza un
lavoro fisso mio padre, facendo qualche supplenza mia madre. Affittarono una
casetta malmessa e malriposta, risparmiarono su acqua, luce, gas. Non andavano
al cinema o a cena fuori, non bevevano vino pregiato o facevano chissà quali
cure del corpo (tant’è che mia madre si tagliava i capelli da sola), non
mangiavano spessissimo la carne, non indossavano capi d’abbigliamento
particolarmente in (anche se
cercavano in maniera del TUTTO insoddisfacente), rinacciavano ancora i
calzini, ma non si fecero mancare nulla dalla vita: le loro passeggiate, le
loro letture condivise, il loro amore maturato nel sacrificio ma anche nella
voglia di stare insieme, diede loro la speranza ma soprattutto la felicità. E
così siamo nate noi tre sorelle Di Carlo, e possiamo dire con tutta certezza
che i nostri genitori non ci hanno fatto mai mancare nulla. Abbiamo sempre
condiviso tutto, indossando vestiti di cugine o predecessori, spegnendo subito
l’acqua o la luce o usando il riscaldamento con parsimonia, guidando una Fiat
Tipo fino a pochi mesi fa ma con tanto tanto amore e voglia di vivere. Insieme
e avendo fiducia nell’umanità. Sappiamo che se si semina con la luna crescente,
la pianta viene male e l’insalata “spiga”, sappiamo che nelle notti di giugno
si accendono le lucciole, sappiamo come si ammazza e cucina un coniglio ( e
anche come si scuoia), sappiamo che significa non sentire la stanchezza del
sacrificio condiviso.
Miriam Di Carlo
Ps. Ora abbiamo una casa bellissima. Ma la casa vera si
forma quando stiamo tutti insieme.
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