mercoledì 26 giugno 2013

Povera Italia.

L'ex-presidente del Consiglio potrebbe lanciare sua figlia Marina come successore: ormai in condizioni difficili per i processi in cui è coinvolto - Mediatrade e Ruby in particolar modo. Il primo dovrebbe andare in prescrizione a luglio 2014, ma la sentenza definitiva potrebbe arrivare molto prima. Per l'altro la prescrizione cadrebbe tra una decina d'anni, il che rende impossibile una sua attuazione. L'ex-premier è nei guai e rischia davvero tanto a tal punto che starebbe pensando alle elezioni anticipate, lanciando la successione di sua figlia. 

L'imprenditrice, ora presidente di Mondadori, è sergente di ferro, donna energica, cresciuta con gli stessi non-valori del padre. Lo si evince, a mio parere, dalle violente dichiarazioni contro i giudici fatta sia ieri, ma anche in passato. Marina B. dovrebbe poi candidarsi per il centro-destra per opporsi a Renzi del Pd e a Grillo: tra i tre nessuno di questi sembra avere il profilo di un leader serio. La prima si oppone alla magistratura come il padre, il secondo è attento al lato comunicativo della propria figura, ma per nulla interessato ai contenuti del proprio profilo di politico. Dulcis in fundo Grillo è il leader di un partito politico completamente asservito alla sua brama di potere e ai suoi variabili moti d'animo. Io penso che le elezioni sarebbero da evitare: nell'oscurità vedo solamente una soluzione. 

Un'eventuale sfiducia da parte di Berlusconi nei confronti dell'esecutivo potrebbe aprire uno scenario di alleanza tra la parte migliore - o meno peggio - del centro-sinistra e i dissidenti grillini. Grillo ormai è inascoltabile: piuttosto che un homo novus della politica italiana è un Berlusconi 2.0. Controlla il partito con metodi dittatoriali, poiché mette a tacere qualunque dibattito interno, e inveisce contro i giornalisti e la stampa proprio come l'ex-premier, che invitava gli italiani a non leggere i giornali. Povera Italia.

Marco Di Caprio.

F35, questi sconosciuti...

Mettiamo in chiaro una cosa: gli F35 sono strumenti di guerra, punto. Al contrario di quello che asserisce quel genio incompreso di Boccia non vanno bene per spegnere incendi, per salvare vite umane, non sono elicotteri e non verranno usati per la parata del 2 giugno, il loro utilizzo è strettamente collegato ad attività militari in territorio straniero (speriamo). E al parlamentare PD, scopertosi esperto di tecnologia militare, oggi tenta di venire in soccorso il Tg1, con un servizio... beh da Tg1. Un servizio dove si enunciano le innumerevoli innovazioni tecnologiche di questi velivoli, dove si dice chiaramente che non hanno alcun problema strutturale e di portanza, dove si intervistano addirittura sedicenti piloti americani impegnati a tesserne le lodi.. piloti che per quanto mi riguarda potevano essere anche comparse assoldate per questa pagliacciata, tanto è grottesca la cosa in un periodo di crisi così nero, tanto è inutile e fuori luogo (proprio nei giorni in cui si vota la mozione SEL-M5S a riguardo) il servizio del suddetto TG. Ovviamente si fà riferimento anche agli ambiti occupazionali che l'acquisto dei caccia porterebbe, paventando cifre da capogiro e un paio di lustri di manutenzione programmata. Ora, a meno che i vertici della RAI non considerino gli italiani una massa di idioti, è chiaro anche che tutta la manutenzione di cui gli aerei abbisognano avrà dei costi astronomici che vanno ad aggiungersi a quelli altrettanto cosmici per acquistarli. Parliamo in soldoni di decine di miliardi di euro che da qui a vent'anni potrebbero essere investiti per cambiarlo davvero il paese. Ma il punto è proprio l'occupazione e il presunto danno che la rinuncia agli F35 arrecherebbe al sistema economico italiano, peraltro già molto malandato anche a causa dell'impatto devastante (in termini di costi ed inutilità) delle missioni all'estero. La questione è a monte, almeno mezzo paese vuole che i giovani e i non giovani lavorino in ambiti che rispecchino l'essere del paese, dell'eccellenza tecnologica e scientifica, del Made in Italy (che oggi investitori molto lungimiranti vanno a produrre in Cina), dell'agricoltura, della salvaguardia del patrimonio naturale, archeologico e culturale, della sostenibilità ambientale e, soprattutto, del rispetto della costituzione. Eh sì, perché all'articolo 11 c'è sempre scritta quella cosetta riguardo la guerra e le controversie internazionali. Con questo principio, quello del lavoro a tutti i costi\facile da tramutare in consenso elettorale, ci siamo beccati, noi e soprattutto le generazioni che verranno, i vari Eternit, Porto Marghera, Petrolchimici vari (Gela in primis), Sarroch, ILVA, centrali nucleari che per un migliaio di anni c'hanno messo sul "groppone" scorie da gestire e via dicendo. Tutte cose delle quali è meglio non leggere per non rovinarsi giornate e\o settimane intere, tutte cose ormai diventate mostri mangia-vite umane (sia che si parli di salute che di lavoro tanto il risultato spesso è analogo), realtà e situazioni ingestibili delle quali nessuno riuscirà a venire a capo, questioni che hanno mietuto intere classi dirigenti senza lasciar intravedere luce alcuna. Quindi, prima di sbandierare l'utilità di cose che una utilità non ce l'hanno nemmeno a cercarla col lanternino, sarebbe bene che il caro Boccia e tutti quelli a lui allineati (e di questi tempi la lista è lunga e dolorosa) rivolgessero lo sguardo all'Italia, ai patrimoni da salvare e ai giovani laureati con le carte in regola per salvarli che oggi invece stanno nei Call-center, ai territori in dissesto idrogeologico e alle migliaia di ingegneri costretti ad emigrare per trovare una occupazione degna, agli ospedali diroccati da trasformare in centri sanitari e di ricerca all'avanguardia e ai tanti giovani ricercatori in fuga (o "cervelli", come più vi piace)... Forse allora una destinazioni più consona a tutti questi miliardi la si troverebbe...
Mauro Presciutti

martedì 25 giugno 2013

Cui prodest?

Tra ieri e oggi è stata giustamente enfatizzata la sentenza inflitta all'ex-premier: 7 anni, uno in più rispetto a quanto chiesto dall'accusa, e nessuno sconto. Ciò che forse ha trovato meno enfasi a livello mediatico (ad esempio su Repubblica di oggi 25 giugno non c'è un articolo su questo) è l'amplissima contestazione che il Cavaliere ha ottenuto fuori dal Tribunale di Milano.

Questa contestazione è stata bipartisan e non ha trovato riferimento in nessun particolare schieramento politico. Il canto 'bella ciao' intonato da molti contestatori tradisce la fede di molti nel  centro-sinistra; ma i cartelli mostrati dai manifestanti sono molto più eloquenti: 'Una condanna per salvare la dignità dell'Italia' , 'La legge è uguale per tutti', 'Berlusconi ineleggibile'. La condanna dell'ex-premier è sacrosanta, perché atta a difendere i principi e i valori della Costituzione nell'interesse collettivo e generale: un Presidente del Consiglio non può sfruttare la prostituzione minorile, non può fare una telefonata alle forze dell'ordine per far rilasciare una minorenne fermata: la questione non è solo di natura morale e politica, ma anche giudiziaria.

Al di là di tutto molti italiani pensano che il Presidente del Consiglio possa fare tutto ciò che vuole tra le sue mura private: in realtà anche se il Cavaliere avesse organizzato orge con sole prostitute maggiorenni - cosa che è avvenuta - ciò è in contrasto con l'immagine politica che lo ha aiutato a vincere le elezioni del 2001 e del 2008. Ancora ricordo l'opuscolo che il Cavaliere inviò agli italiani nel 2001, in cui l'ex-premier si mostrava come perfetto padre di famiglia, immagine in netto contrasto con ciò che veramente era ed è tuttora. Non è stato sconfitto ed è ancora uno dei massimi esponenti della classe dirigente del Paese; è inoltre azionista di maggioranza dell'esecutivo e ha ottenuto circa il 25 % alle elezioni, a cui sono da sommare il 5 % dei voti della Lega.

Oggi ha potuto, subito dopo la condanna, parlare con il Presidente del Consiglio e imporre la sua linea politica, ancora una volta. Un condannato per prostituzione, concussione e frode fiscale mai potrebbe neanche varcare la soglia di casa, mentre B. può andare a Palazzo Chigi, dove fino a poco tempo fa risiedeva; anzi non risiedeva lì, poiché aveva fatto della sua residenza-bordello personale (Palazzo Grazioli) la vera residenza.

Un parlamentare 5Stelle ha affermato: ora come farà il Pd senza il suo leader Berlusconi? In effetti il Pd è totalmente succube di Quello lì e rischia di sprofondare con lui nel baratro dell'impopolarità. Se un importante esponente del Pd come il Presidente del Consiglio continuerà a riceverlo subito dopo una condanna, non sarà più contestato Quello lì fuori dal Tribunale, ma l'intero esecutivo. Un governo che preferisce ascoltare un condannato impunito e incallito piuttosto che le esigenze di tanti cittadini onesti, schiacciati sotto il peso dell'ingiustizia a livello sociale. Il Pd continua a non abbandonare la propria linea rinunciataria. Questa scelta, a chi giova?

Marco Di Caprio. 


Un’analisi linguistica semplice. About Berlusconi Silvio.


Il fatto è questo. Che la realtà si rispecchia nella comunicazione.
Un esempio: non esisteva il frigorifero. E’ stato inventato. E’ nata la parola “frigorifero” che poi la frequenza con cui si usa, la fretta della situazione quotidiana ha abbreviato più comodamente in “frigo”.

Ora anche per quanto riguarda dei sentimenti e condizioni astratte nuove, neonate nella società, nascono neologismi per indicare tale tendenza o sentimento. E’ il caso di stereotipi nuovi come radical chic, hipster, emo, writers e chi più ne ha più ne metta.

Ora vorrei analizzare, servendomi del dizionario dei linguisti G. Adamo e V. Della Valle (“2006 parole nuove, un dizionario di neologismi dai giornali”), il Novelli-Urbani (“Dizionario della II Repubblica”) e un saggio molto approfondito di Caffarelli in “Lessicografia e onomastica” dal titolo “Googlizzare i cognomi nella lingua di internet”, la proliferazione di neologismi a partire dal cognome di personaggi importanti: questa tipologia di neologismo si chiama deonomastico ed è di formazione molto semplice. Basti pensare ad gramsciano, andreottiano, craxiano. Come si vede sono tutte personalità che hanno segnato la storia della Repubblica Italiana, personalità di spicco.
La personalità più importanti e incisive quindi, hanno avuto l’onore di vantare un neologismo, deonomastico che riprendesse il proprio cognome: di solito si tratta di un aggettivo come i casi precedenti. Ma a proposito di Silvio Berlusconi non ci si può limitare al semplice aggettivo con suffisso –ano/a ma constatare una proliferazione enorme di composti e di derivati. Talmente tanto enorme che reca imbarazzo se non a volte ribrezzo.
Cominciamo con il Novelli-Urbani che si riferisce al periodo antecedente al 1997 essendo il dizionario stato pubblicato prima di suddetto anno. Abbiamo:
  • -          Berluschino
  • -          Berlusclonare
  • -          Berlusconata
  • -          Berluscones
  • -          Berlusconia
  • -          Berlusconi boys
  • -          Berlusconide
  • -          Berlusconi pensiero
  • -          Berlusconismo
  • -          Berlusconista
  • -          Berlusconizzarsi
  • -          Berlusconizzato
  • -          Berlusconizzazione.

Di tutti questi neologismi, nati per la maggior parte dalla mano di giornalisti si può ben vedere che molti sono occasionalismi destinati poi all’estinzione, ma anche molte parole che sono rimaste nostro patrimonio e poi introdotte nel lessico quotidiano: il caso più eclatante riguarda berlusconismo.



Adamo-Della Valle anche riporta una serie di neologismi molto interessanti. Il dizionario prende in esame un periodo più recente, fino al 2006, anno in cui vinse il centrosinistra di Prodi contro il centrodestra di Berlusconi. Era il periodo della lotta individuale tra Prodi e Berlusconi, delle tribune politiche trasmesse 24 ore su 24 in tv e della mitizzazione dei due nemici giurati. Quindi abbiamo:
  • -          Berluschese (lingua usata da Silvio)
  • -          Berluschista
  • -          Berlusconardo
  • -          Berlusconeide
  • -          Berlusconi Boy
  • -          Berlusconite
  • -          Berlusconizzante
  • -          Berlusconizzare
  • -          Berlusconizzarsi
  • -          Berlusconizzato
  • -          Berlusconizzazione
  • -          Imberlusconirsi
  • -          Postberlusconiano
  • -          Neoberlusconiano
  • -          Contrberlusconizzare
  • -          Deberlusconizzato


E che dire invece dei deonomastici derivati da Prodi? Abbiamo il debole “prodismo” che non sappiamo nemmeno più cosa designi realmente, “prodizzazione” “sprodizzare”: il significato sta proprio in questa differenza. Il centrosinistra vinse le elezioni per un pugno di voti in più ma vinse e vinse grazie alla figura di Romano Prodi: quindi avremmo dovuto inneggiare a tale personaggio, formare una sequela di còni e neoformazioni che attestassero la sua forza in campo… colui che aveva vinto le elezioni. No, la debolezza del centrosinistra si vede anche a livello linguistico: nessuna personalità fu mai tanto forte e potente, non è riuscita mai a sollevare le sorti della sinistra e ad imporla tanto da creare un alone di intangibilità aulica intorno a sé. E dico menomale perché ben si sa che ogni forma di democrazia, per il prevalere di una sola identità carismatica e che catalizza su di sé potere, fascino e onnipotenza, prevede la degenerazione naturale in tirannide. O in santità e martirio.
Arriviamo a Caffarelli e il suo saggio sul “Googlizzare i nomi in intenet”. Lo studioso afferma a proposito di Berlusconi “l’esposizione mediatica e gli aspetti politici, sociali, etici ed economici connessi con la figura dell’imprenditore (…), e alle sue molteplici attività, (…), ad apprezzamenti di diversa qualità e natura” hanno prodotto una grandissima quantità di neologismi basati sul cognome del politico. Caffarelli ne rileva una quantità enorme, data anche dall’ampiezza di trasmissione e facilità di scrittura peculiare di internet. Ne faccio solo alcuni esempi: si va da aggettivi come berluscabile e berluscaioli o imberlusconito, a sostantivi come berluscaggine e berluscanesimo, verbi come berluschizzare, deberlusconizzare e sberlusconare, avverbi come berluscamente e berlusconiamente, prefissati come preberlusconisno, suffissati come silvioberlusconismo, confissati berlusconifobia, berlusconopoli, composti come berlusconipensiero, nazionalberlusconiano, parole macedonia come berluscandalo, berlusconsumista, Berluscraxi, calembour come bar Lusconi, Belluscone, Berlusc One, Paperon de’ Berlusconi, giustapposizioni come ciclo Berlusconi, virus Berlusconi.

Conclusione:
Giustizia si spera venga fatta, ma non si pensi minimamente che un personaggio del genere se ne vada dalla mente degli italiani solo grazie alla Giustizia. Una personalità sfuma nella storia fino a lasciare un ricordo vago solo a patto di una sconfitta politica: i casi sono molti che si perdono nella notte dei tempi. Ma un’identità politica del genere ormai è talmente tanto radicata nella nostra mentalità, nella nostra società da essere divenuta un background generale: si è infiltrata come acqua mefitica nel nostro terreno troppo argilloso e mai lo abbandonerà finché l’acqua non evaporerà totalmente ovvero fino a che tutte le particelle di H2O saranno scomparse totalmente ed evaporate con lui(quella più ostinata sarà la particella-Santanchè ma anche la Micky Biancofiore). E anche lì avrei i miei dubbi, perché il monumento alla persona ormai è stato effettuato e mai abbandonerà i nostalgici che tanto hanno sperato in lui, che tanto lo hanno amato e che tanto faranno ancora uso di una retorica becera di serie Z.
Ma che dire invece dell’ ”antiberlusconismo”? Anche dall’altra parte non si è pensato di fondare una politica su un sentimento nuovo che si svincolasse da Silvio. No, si è prelevato pari pari il suo cognome e si è fatta bandiera, rafforzando il suo mito e stigmatizzazione. Perché ben si sa, tanti nemici, tanto onore e “beati i perseguitati per causa di Silvio” perché di essi è il regno di Arcore e delle Olgettine. Allora rassegnamoci, dopo questo godimento iniziale dato dalle notizie ultime, che la nostra Italia vedrà tra le icone da bancarella il Colosseo, il papa, il nasone di Dante ma anche Mussolini e ovviamente lui, Silvio che fa le corna e sbeffeggia tutti quanti noi: c’è modo e modo per rimanere immortali.

Miriam Di Carlo

Pagliacci d'Italia.

Condanna a 7 anni e interdizione perpetua dai pubblici uffici: un anno in più rispetto a quanto aveva chiesto l'accusa. B. sembra ormai vacillare definitivamente: già l'8 maggio era stato condannato in appello per il processo Mediaset, a marzo era stato condannato per il processo Unipol; inoltre questa settimana dovrebbe ricevere un altro responso negativo in sede civile per il Lodo Mondadori. 

L'esito di questi procedimenti giudiziari non mi sorprende, e non sorprende neanche il diretto interessato. Questo 2013 è stato e sarà ancora molto difficile per lui, ma la non-sconfitta in ambito elettorale gli ha evitato di ritrovarsi in guai peggiori. Il problema principale è che Quello lì è al governo, anzi è come se ne fosse vice-presidente del Consiglio, poiché Alfano è burattino nelle sue mani. Il Pd ha avuto la colpa di cercare un dialogo con il Cavaliere, dopo che le trattative con Grillo erano fallite: tutto questo è successo - e vorrei ricordarlo di nuovo - perché i democratici si sono spaccati per l'elezione di Prodi come Presidente della Repubblica e hanno dovuto cercare per il Colle un nome condiviso con il centro-destra nella figura 'ambigua' di Giorgio Napolitano. 

La sconfitta del Movimento 5 Stelle alle amministrative e il calo di consensi di Grillo nel suo partito potrebbero aprire un nuovo scenario: i dissidenti grillini animati di buone convinzioni potrebbero formare una nuova maggioranza con il Pd, qualora il Pdl dovesse lasciare l'esecutivo per il cattivo esito dei processi di Quello lì. Io vedo in questa ipotesi un'ottima soluzione per mettere ai margini della vita politica sia Grillo che il Joker di Arcore. La sconfitta del Cavaliere è indissolubilmente legata alla sconfitta di Grillo. L'Italia può e deve fare mettere ai margini della vita politica i due pagliacci contemporaneamente: finché ci sarà l'uno prospererà l'altro e viceversa.

Marco Di Caprio. 

giovedì 20 giugno 2013

La democrazia, tra ideologia e capitaneria. Non c'è da scandalizzarsi.

E’ inutile che ce la prendiamo tanto con le varie interpretazioni, a nostro avviso fuorvianti, intorno al concetto di democrazia. Lo dicevano già gli antichi pensatori greci che la “democrazia” quale forma di governo, cammina sul filo di un rasoio affilatissimo e tagliente. Essa, citando il grande Abbagnano (tra meno di un mese ricorrerebbe il suo compleanno: grazie ad un grande pensatore contemporaneo tramite cui ho avuto delle illuminazioni circa diversi filosofi), rischia di degenerare in tirannia per la progressiva acquisizione di consensi. In effetti all’interno di un gruppo coeso che si dica democratico e che si riconosca in una data ideologia (o presunta tale), tutti hanno diritto di parola e di replica ma inevitabilmente, vi sarà, come microcosmo dell’intera società, uno o più personaggi carismatici e dall’altra parte personalità meno forti destinate a seguire il carisma, a volte chiamato semplicemente megafono.
-         -  A proposito del M5S si ha come ideologia fondante il disagio dato dalla crisi e la diseguaglianza sociale derivante. Per comodità chiameremo tale collante “la pagnotta”. All’interno del Movimento della pagnotta esiste un leader carismatico? Si, poiché esso nasce non su base solamente e puramente ideologica ma grazie ad un secondo aggregante: Grillo. Inde per cui non è democratico ma degenera inevitabilmente verso la tirannia. È un percorso che i filosofi antichi già avevano rilevato: quindi è inutile ci si scandalizzi. Interessante a tal proposito è l’interpretazione data da Di Pietro durante “Un giorno da pecora” su Radio2[1]. O meglio CREDO di aver così capito le parole di Di Pietro perché trovo non poche difficoltà interpretative nell’idioma scelto da Tonino. A proposito dell’espulsione della Gambaro, Di Pietro appare conforme con il pensiero del grillino “puro” dicendo che (parafraso), se sei stato votato dagli elettori per stare da “quella parte”, devi mantenere la tua promessa elettorale e stare da “quella parte”. Ora, Di Pietro non me ne voglia, ma il fatto è che il M5S non è una parte politica perché non ha un’ideologia precisa entro cui riconoscersi. E’ il Movimento della protesta e ha protestato. Non ha trovato spazio per costruire, per volontà sua propria o per colpa altrui: le retrospettive storiche lasciamole ai nostri figli. Quindi la “parte” da interpretare (tolta la pagnotta e la protesta) rimane Grillo. Se rimane Grillo ecco la minaccia della tirannia e stiamo in un corto circuito in cui pian piano le varie resistenze elettriche stanno lanciando segnali di tilt.
-         - A proposito del PdL. Il PdL è un partito nato all’interno del gioco democratico e che prende le redini dell’eredità segnata dalla destra. In maniera stilizzatissima e stereotipata (non me ne vogliate) rappresenta alcuni interessi, ha una sua ideologia (condivisibile o meno) e nella storia ha contribuito a far ricredere la sinistra su certe fondamentali questioni,soprattutto in campo economico in uno scambio dialettico che prevede un riflesso nell’economia contemporanea: commistione di privato e pubblico necessaria per il concetto di lassez-faire, lassez-aller del liberismo economico. All’interno del partito si è delineato un leader carismatico, tal Belusconi. Ora, che sia carismatico è noto a tutti: tanto carismatico da stagliarsi quale punto di riferimento del partito se non il partito stesso. Dopo i recenti sviluppi giudiziari come si comporteranno i suoi discepoli? Seguiranno la debole ideologia o il leader? Se dovessero scegliere la prima strada, il Governo Letta è salvo, e per le prossime elezioni ci sarebbe la speranza che qualcuno rifondi una destra credibile che aiuti il rapporto dialettico tra destra e sinistra nell’ottica di una progressione comunitaria. Ma anche lì troppe personalità pigre hanno circondato il leader, che con la sua fama il suo successo ha creato l’assoggettamento totale a sé: se non lo segui non hai la speranza di fare niente nella vita[2]. Se gli vai contro poi stai fuori completamente. Se i discepoli, in seconda analisi dovessero seguire il leader, ovvero per dirla in soldoni, se dovessero far saltare il banco, allora Berlusconi sarebbe ancora salvo per l’ennesima volta, le destra, morto B. morirebbe con lui ad Arcore e non si riconoscerebbe più in nulla, ma prima ci si dovrebbe di nuovo interrogare sul problema martellante dei tre poteri divisi: esecutivo, legislativo e giudiziario che lasciamo alla coscienza di Silvio e a quanti dicono, con candore da schiaffi, che i magistrati di Tangentopoli fecero male a disabilitare politicamente alcune personalità corrotte di allora[3].

Infine cito una frase di Corrado Augias il quale ha giustamente affermato “la storia non ha un andamento uniforme, ma a fisarmonica: dei periodi più dilatati si intervallano a momenti più densi di eventi storici forti”.
Miriam Di Carlo





[1] Che suggerisco caldamente anche per la presenza del gruppo delle Ebernies, autrici dell’intervista cantata: per riderci su e ironizzare…fa sempre bene invece di piegarci come il solito Sisifo italico sul peso schiacciante della nostra presunta cultura italiana.
[2] C’è anche da dire che la destra, con la sua ideologia basata sull’individuale, si presta molto all’imposizione di una personalità più forte.
[3] Che poi per dirla tutta, non disabilitarono proprio per niente un’intera classe politica che per la maggior parte fu riabilitata dal decreto colpo di spugna Conso. Fu stigmatizzata la figura di Craxi. 

martedì 18 giugno 2013

CHE COSA E' CAMBIATO?

Dopo la vittoria di Marino che cosa è cambiato nella maggioranza? Non molto. Il congelamento dell'aumento dell'Iva sarà effettuato: è un provvedimento a mio parere giusto, poiché colpisce la classe media, che dovrebbe invece ricominciare a spendere piuttosto che ricevere maggiore pressione fiscale sui consumi.

Ovviamente il congelamento dell'Iva preoccupa Saccomanni, il quale dubita ci possa essere la copertura di questa manovra. Vorrei replicare che il governo ha tutte le risorse a disposizione per garantire la copertura di questa manovra: riduzione del numero dei parlamentari, riduzione degli stipendi e tagli agli sprechi, abolizione del finanziamento ai partiti. La classe politica ha dimostrato di non voler prendere seri provvedimenti a riguardo, e io credo che questa scelta continuerà ad inasprire la sfiducia dei cittadini nei confronti di questo esecutivo. 

Un altro aspetto negativo che biasimo è la scelta del Partito Democratico di non rivendicare le proprie scelte con decisione: il congelamento dell'Imu e dell'Iva, argomenti che stanno a cuore al centro-destra, sono importanti anche per l'elettorato di centro-sinistra, soprattutto per il ceto medio, che non potrebbe affrontare l'aumento della pressione fiscale. Il Pdl ovviamente mostra questi provvedimenti come propri successi,  perché erano nel proprio programma elettorale; ma questi erano tra i punti anche in comune con il centro-sinistra. In questo caso non biasimo il Pd per averli messi in atto: importa poco l'ideologia, quando si deve provvedere per il benessere di quei ceti che sono maggiormente svantaggiati da un punto di vista economico.

Le elezioni hanno sortito un effetto evidente sul Movimento 5 Stelle, in cui assistiamo, evento prevedibile, ad una implosione totale. Grillo ha lanciato un sondaggio tra coloro che sono a favore o contro la senatrice contestatrice. Lo stesso Grillo ha meditato l'idea di poter lanciare un sondaggio su di sé, i cui risultati positivi saranno manifesti a prescindere dal reale esito e truccati da colui che gestisce i server del suo blog, cioè Casaleggio.

Il Movimento 5 Stelle sta implodendo per un motivo semplice: molti militanti si stanno accorgendo che Grillo non fa gestire la piattaforma politica ai militanti, ma decide tutto da solo. La sconfitta del Movimento ha portato ad un dibattito interno: avendo molti compreso che la linea del capo non attira più gli elettori scontenti, i militanti vorrebbero poter discutere autonomamente su nuove proposte. I militanti di Grillo non sono infatti come i berlusconiani, abituati ad obbedire al capo: molti sono ex-simpatizzanti o militanti del centro-sinistra o moderati del centro-destra, abituati al dialogo e pronti ad una dialettica interna all'interno dei loro originari schieramenti politici. Molti parlamentari dei 5Stelle sono, infine, persone che mai sono state in politica: questi neo-deputati e neo-senatori vorrebbero realmente provare a cambiare le sorti del Paese; non sono intenzionati ad assentire in maniera passiva ai diktat di Grillo, ma vogliono ragionare in completa autonomia, meditando sulle proposte più opportune per il bene del Paese e per l'interesse collettivo e per l'interesse generale.

 A mio parere questi due tipi di interesse andrebbero tutelati da tutti gli schieramenti politici: le controversie tra i partiti dovrebbero nascere per tutelare gli interesse collettivi, da cui derivi anche l'interesse del singolo, piuttosto che per tutelare l'interesse dei singoli , dai quali spesso si evince un contrasto omertoso e impunito con l'interesse della collettività. Cito come esempi di contrasto tra interesse del singolo e interesse collettivo - esempi puramente casuali - l'egoismo di Grillo, la disonestà di Quello lì e gli inutili sofismi del Pd.

Marco Di Caprio.  

Viaggio della speranza...senza alcuna speranza di Mauro Presciutti.


Da molto tempo ormai parlare d'Europa si riduce a indici, punti percentuali, aste di titoli pluriennali, dati quasi mai corrispondenti alla qualità della vita reale. Si pensa anche all'unione, giustamente, come a quel mostro che impone il rigore e l'austerity e che ha ridotto praticamente in mutande svariati popoli, compreso il nostro. Ci si è dimenticati, evidentemente anche a Bruxelles, che l'Europa ha dei confini, alcuni dei quali talmente critici che si preferisce far finta che non esistano, lasciando la palla a chi geograficamente si trova da quelle parti. Il "confine" in questione è quello sud, il tema sono le salme dei disperati che giacciono in fondo al mare. E non sono sette, dieci, cento, sono migliaia quelli che ogni anno perdono la vita nel viaggio più assurdo del mondo, quello che va dall'inferno del mondo, Somalia in primis, fino a quel continente che per rispettare indici e rating ha ridotto i suoi popoli in mutande, per l'estrema gioia degli speculatori. E' difficile capire cosa possa indurre un essere umano ad attraversare il deserto a piedi o con mezzi di fortuna, ad arrivare ai presidi italo-libici (alias campi di concentramento) fortemente voluti da alcuni nostri lungimiranti ministri del passato, dove le donne vengono stuprate, i bambini venduti, gli uomini pestati e lasciati a morire sotto al sole. Passano il livello solo quelli che si trovano in tasca quei quattro o cinquemila dollari necessari per corrompere l'ufficiale di turno. Da qui si accede alla prova finale, come in un improbabile edizione di "Giochi senza frontiere" degli orrori, la traversata. Fatta su imbarcazioni di fortuna e gommoni che accolgono decine di volte il numero massimo di persone che possono trasportare, è spesso il punto di non ritorno per chi fugge dalla disperazione. Donne incinte, bambini, anziani, ragazzi, ragazze, sfuggiti ai gulag del deserto e destinati ad essere inghiottiti dal mare, salvo alcuni casi fortunati. Eh si, perché nessuno sa quanta gente muoia in quel canale maledetto, gente che sfugge alla guerra, alla fame, alle persecuzioni e alle torture, gente che cerca un futuro migliore e che invece trova la morte al culmine di un percorso infernale, dopo essere sfuggita ai fantasmi creati dalla Cooperazione italo-libica, dalla Bossi-Fini ed altre atrocità per le quali, speriamo, un giorno qualcuno pagherà. Chi si salva è per il gran cuore degli italiani e di pochi altri, gente che chiacchiera, dice male, si lamenta, ma che alla comparsa di un barcone di disperati non si fa guardare dietro da nessuno, sale sul peschereccio, sulla motovedetta o quello che è e va a salvarli da morte sicura. Nessuno escluso, finanzieri, pescatori, uomini delle capitanerie di porto, nessuno. L'umanità infinita del popolo italiano è stata gradualmente oscurata da personaggi intolleranti che hanno potuto dare libero sfogo della loro ottusità in questi venti e più anni terribili ma, come già detto, è infinita e le immagini dei telegiornali di questi giorni, dei poveretti soccorsi in mare, della bambina nata sul barcone lo dimostrano, senza se e senza ma. E' assurdo e inspiegabile che praticamente solo l'Italia si occupi delle tragedie del mare, facendo quel che può ma rimanendo spesso impotente di fronte a catastrofi umanitarie delle quali nessun altro si occupa. Non ci sarà Europa fino a che l'Europa stessa non si prenderà cura degli ultimi...
Mauro Presciutti

lunedì 17 giugno 2013

Luigi Ghirri: una passeggiata all'aria aperta immersa nella Babele del MaXXi.

Se hai la fortuna di andare a vedere il MaXXi a Roma, fallo con un amico surreale e con cui hai empatia umoristica.
Così io ho avuto questa fortuna: con l’amica di 5 anni universitari densi di surrealtà, sono andata a vedere la mostra di Luigi Ghirri al Maxxi, non avendo la benché minima di idea dell'esperienza paranormale avremmo affrontato di lì a poco.  
Anzitutto si entra all’interno del giardino del Maxxi e non si fa caso che è posta, proprio al centro, con nonchalance, senza alcuna utilità, una pompa di benzina vintage. Noi ce ne siamo accorte solamente all’uscita. Poi, se cerchi un museo in cui puoi anche parlare amabilmente, beh, questo NON è il Maxxi perché se non stai attento alle strade, ai tranelli spaziali e statuari, ti ritrovi in luoghi che sono non-luoghi e che l’ambiguità dell’arte contemporanea non fa capire se siano parti funzionali o parti artistiche. Del tipo, per parlare ci siamo trovate davanti ad una porta color ghiaccio con alcune scritte rosse di lato: ma è un’opera d’arte o la porta d’accesso? Nessuna delle due: era il retrobottega quindi siamo dovute tornare indietro ed entrare non mi ricordo da quale porta. Dopo aver fatto i biglietti per la mostra (12 euro biglietto intero, 8 euro ridotto) partiamo alla ricerca dei padiglioni. E la ricerca si fa più problematica del previsto. Dopo esserci trovate davanti un teatro vuoto rivolto verso un proiettore con su scritto FINE (in realtà un’istallazione), una serie di statue classiche lungo un corridoio, tutte uguali, che tenevano in mano dei televisori al plasma (opera a mio avviso geniale), dopo essere passati davanti ad una scritta al neon indecifrabile che ho deciso userò come testata del letto e aver sentito per un centinaio di volte una voce che urlava “esci dalla mia mente, vai via!”, abbiamo capito che era tempo di perdersi anziché cercare la mostra. Perdersi senza chiedersi assolutamente il significato di ciò che stessimo vedendo perché altrimenti uno ne esce pazzo. Il Maxxi va preso così, come se sfogliassi le pagine de "Il Venerdì" di Repubblica e trovassi tutte quelle pubblicità perturbanti in successione.
Ad un certo punto ci troviamo davanti ad una tenda bianca mentre la voce continuava ad urlare “esci dalla mia mente, vai via!”: apriamo e troviamo finalmente il mondo di Luigi Ghirri.
Per chi non lo sapesse Luigi Ghirri fu un fotografo che operò principalmente negli anni ’70/’80 e ha contribuito enormemente a formare un nuovo gusto fotografico svicolato dall’artificio troppo ricercato dei surrealisti e dadaisti. Per questo ebbe un’affinità elettiva con lo scrittore Gianni Celati, con il quale collaborò a numerosi progetti editoriali basati proprio sulla sinergia di narrazione e fotografia. La fotografia è un’arte particolare: appena nata ha contribuito a cambiare il concetto di arte pittorica. Infatti, la pittura perde il ruolo di arte mimetica (già con l’impressionismo), perde il suo scopo di dover ritrarre frammenti di realtà da immortalare e che altrimenti si perderebbero: ora vi è la fotografia che assurge a tale scopo.




Ma la fotografia di Ghirri non è né artificio alla Man Ray, né si presenta con chissà quale velleità artistica: la fotografia è semplice richiamo di atmosfera. Di sentimento provato già nella vita e ritrovato in quelle foto, riconoscibile perché magari, è proprio banale e semplice. E per questo poetico. Non vi è nessuno spazio per un perturbante freudiano, né per una impostazione a priori: la foto è brano di vita staccato. Tra le molte frasi geniali di Luigi Ghirri, sospese tra le varie foto vi è una citazione di Schopenhauer meravigliosa: “la vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro; leggerli in ordine è vivere, sfogliarli è sognare”. Così noi sogniamo il mondo di Ghirri, la sua vita vissuta in un continuo passaggio dal passato al futuro e viceversa, dal paesaggio interno a quello esterno, da un viaggio in Italia, ad un paese estero come New York o Versailles per poi tornare immediatamente a Rimini o Modena. Insomma viviamo una grande confluenza di vite disparate e sogniamo un’umanità disseminata in cui rivivere le nostre banali emozioni quotidiane. 


Ma è soprattutto in questo brano squisitamente personale che si coglie la vera filosofia sottesa a Luigi Ghirri: “ Per me il banale quotidiano è lo sguardo che non riesce a discernere, l’atteggiamento che accetta solamente il già avvenuto, il già codificato come verità, e kitsch non è l’oggetto rappresentato, ma il gesto che relega acriticamente un oggetto nel ghetto del non dignificante” e ancora “il mio non è mai un aggiungere, ma un togliere, sia dal punto di vista del contenuto  dell’inquadratura sia nel tentativo di arrivare ad una forma di comunicazione il più semplice possibile. Un dato che trovo straordinario in tutta la fotografia che mi interessa, è proprio questa semplicità di rappresentazione”. Si può ben capire, che in un’arte contemporanea basata sulla stranezza, sul perturbante e conturbante, sull’eclatante e il gesto difforme dalla regola della normalità, Ghirri e Celati si stagliano come figure del tutto anomale nella loro netta e pulita semplicità che a questo punto diventa la stranezza che cattura e che sa di famiglia, di umanità e di vita.
Devo essere sincera che mi hanno colpito la luce accecante di Versailles, gli interni delle case che con i loro mobili riproducono fedelmente i rapporti che vigono tra i vari appartenenti alla famiglia, i finti artifici che esistono nella natura, le atmosfere delle periferie e le piccole cose di poco conto. La vita del pittore Morandi viene ritratta in foto dense di significato ma povere di colori e di forme, al pari delle opere dello stesso pittore: sobrio ma essenziale. Insomma: la voglia di tornare alla radice dell’essere umano, della banalità umana.

Uscite dal padiglione abbiamo risentito forte quella voce “esci dalla mia mente, vai via!”, ci siamo scontrate con statue grottesche ed erotiche al tempo stesso, quadri densi di no-sense fino a trovarci davanti all’apparizione che volevamo: la scritta Auditorium che noi abbiamo interpretato celasse il significato enigmatico del “Bagno” come cassa di risonanza. E così è stato. Siamo uscite di corsa, consapevoli che nella grande confusione contemporanea delle lingue e delle forme comunicative, là dentro, nel Maxxi era conservata una matrice in cui riconoscersi e riassaporare una passeggiata all’aria aperta. 
Miriam Di Carlo





Casa di Morandi

Casa di Morandi






Versailles


giovedì 13 giugno 2013

Mentana VS Ferrara ed efficacia della parolaccia.

Lo psicanalista di Mentana è andato dallo psicanalista. Lo aveva iniettato di fiducia, di adrenalina per il nuovo format “Bersaglio Mobile” su la7 e invece il Bersaglio è rimasto sempre e solo lui: @ementana. Insulti su insulti e quella sua vocina nasale e sgraziata,  viene ripetutamente interrotta dal vocione di Giulianone Ferrararone:
“E’ l’ultima volta che metto piede in questo cesso, dove si fanno queste notizie del cazzo, chiaro?”
“Puoi andare anche adesso”
“No non vado non vado, sto qua a rompere i coglioni”
“Lei, poco prima ricordava…” rivolto a Bisignani
“Ipocrita”
“Ipocrita sarai tu”
“Ma dai, su parlaci di Montezemolo invece di parlare di Bisignani, forza di tutta la tua carriera con Berlusconi…[…]”

Ma Ferrara non ricorda che anche lui ha avuto tutta una carriera con Berlusconi, militando anche in Forza Italia. Secondo poi, prima Ferrara dà del giornalista “laureato” a Enrico (o con patentino, come qualcuno sottolinea, perché @ementana non ha la laurea), poi alla fine asserisce in chiusura “tu e Gomez siete giornalisti, ovvero carogne”.
Beh, è chiaro che nel mondo di oggi, sia in politica, sia nel giornalismo, vince chi attacca per primo, chi sbugiarda le pecche dell’altro occultando così le proprie, ovvero cambiando di focus. Lo ha fatto Sgarbi, quando ancora pivellino entrò in Parlamento, lo perpetuò sempre il medesimo arrivando in televisione e unendo insieme a Pannella, la politica e show televisivo, lo riprese Berlusconi e tutta la sua equipe-fotocopia, infine arriva a Grillo e a tutta la sua diplomazia nel dire le cose: siete merde e andate a cagare.

Ma quanto è efficace la parolaccia? Tantissimo: infatti già Plauto capì il solletico godurioso che procura il turpiloquio tanto che chi legge le sue opere in lingua, si rende conto di quante parolacce esistessero già agli albori del latino. E perché Catullo è tanto amato? Non solo per quell’epigrammatico Odi et amo, ma per tutte le allusioni disfemiche nonché parolacce vivaci ben inserite nella metrica latina e nella politica del tempo:

Ve lo darò nel culo e nella bocca,
Aurelio checca passiva e Furio frocio,
voi che mi giudicaste effeminato
per i miei versetti alquanto licenziosi […]
Ve lo darò nel culo e nella bocca[1].

Così come Petronio, e poi nella letteratura italiana Er Belli (Quanto l’avrei voluto su twitter) che fa un elogio linguistico senza pari:
La madre de le sante
Chi vò chiede la monna a Caterina,
Pe ffasse intenne da la gente dotta
Je toccherebbe a dì: vurva, vaccina,
E dà giù co la cunna e co la potta.

Ma noantri fijacci de miggnotta
Dimo cella, patacca, passerina,
Fessa, spacco, fissura, bucia, grotta,
Fregna, fica, ciavatta, chitarrina.

Sorca, vaschetta, fodero, frittella,
Cicia, sporta, perucca, varpelosa,
Chiavica, gattarola, finestrella.

Fischiarola, quer-fatto, quela-cosa,
Urinale, fracoscio, ciumachella,
La-gabbia-der-pipino, e la-brodosa.

E si vòi la cimosa,
Chi la chiama vergogna, e chi natura,
Chi ciufeca, tajola e sepportura.”

Ma anche nella vita di tutti i giorni, in contesti formali come può essere un’aula scolastica o in chiesa, se il professore o il sacerdote usa una parola come “merda”, tutti drizzano le orecchie e dopo il brusio “ma ha detto merda?aò, o ha detto merda o l’ho sentito solo io?” si comincia ad ascoltare per bene tutto il sermone perché magari vien detta pure un’altra volta. Quindi la parolaccia in fin dei conti, è strategia linguistica per destare l’attenzione, perché fa parte del registro basso, e crea uno straniamento in contesti istituzionali: al pari del dialetto, dei toni alti, dei diverbi non è situazione “normale” ma come si dice in linguistica “marcata”.

Ora, l’uso del turpiloquio però è anche perseguibile dalla legge: motivo per cui Sgarbi, avendone abusato decise di optare per un magnifico “capra ignorante”, non incappando quindi in querele. Proporrei anche “Gnu ‘gnurante” che è assonanza. Mentre in politica vediamo come ha avuto efficacia Grillo con il suo vaffa e i suoi spergiuri rabbiosi che hanno reso possibile questo brano televisivo di Bersaglio Mobile. Efficacissimo a livello televisivo per due motivi:
-          È tribuna politica. Ringraziavo idDio che il mercoledì sera NON c’è tribuna politica. Lunedì Piazza Pulita, Martedì Ballarò, Mercoledì FERIE, Giovedì Servizio Pubblico, Venerdì Crozza (satira politica ma vabbè). Quindi il Mercoledì il fegato respirava, la giugulare tornava alle sue dimensioni normali, le coronarie si distendevano e si chiudeva la serata con quel bel faccione della Gruber su collo ipnotico che ricorda quei clown-sorpresa che escono dalle scatole. No “Bersaglio Mobile” si installa prepotentemente il mercoledì sfruttando la tendenza di noi italiani di diventare politologi in tempo di fermento politico, economisti in tempo di crisi e allenatori in tempi di mondiali. Daje @ementana!!!
-          È talk show alla Maria de Filippi. Avevo l’impressione che Bisignani fosse il tronista e che i vari giornalisti fossero i corteggiatori che si insultavano a vicenda, in una partita di tennis in cui le parolacce-pallina mi hanno fatto venire un collo muscoloso alla Russel Crowe de Il Gladiatore. Uno rimane ipnotizzato, incollato davanti alla tv, davanti a quei calzoni opinabili del Ferrarone dalla panza acuta, dal balbettio di @ementana che intanto spingeva il pulsante rosso per chiamare il suo psicanalista (che tra l’altro hanno avvistato essere fuggito in Svizzera), da Gomez monolitico che cerca di placare i toni mentre viene parodiato dal Ferrarone: e intanto un altro che va in depressione. Bisignani. Nessuno se lo caga più.
Promemoria per la Rai e Fico: talk show alla De Filippi con giornalisti, anche terribilmente brutti ma facili di parolacce.
Per vedere il video di Mentana VS Ferrara: http://video.repubblica.it/politica/lite-ferrara-mentana-su-la7/131795/130316?ref=fbpr
 Miriam Di Carlo




[1] Carme XVI “Pedicabo ego vos et irrumabo/Aureli pathice et cineade Furi,/ qui me ex versiculis, parum pudicum. […] Pedicabo ego vos et irrumabo”. Traduzione di L.Canali. 

mercoledì 12 giugno 2013

LA PRAGMATICITÀ DI UN “DAJE” di Riccardo Venturi.


Roma, 11 giugno 2013  
                                                                                                                                                                                                                          Col senno di poi, che ci rende tutti terribilmente risaputi e saccentucci mi sono fatto (in realtà da qualche settimana) una mia personale idea del successo, e poi della vittoria di Ignazio Marino, un chirurgo di fama internazionale, ma, ahilui, non particolarmente dotato di presenza fisica, magniloquenza oratoria e ironia brillante. Un uomo banalmente comune, che mi  piace ritenere (forse anche a ragione, visto che ha voluto presentarsi con una certa distanza dal PD, e senza il paracadute del doppio incarico senatoriale) intelligente ed onesto.
                                                                                                                                                                                                                                            Ma cosa gli ha portato la vittoria? Di certo non è stato sufficiente demonizzare (la innegabilmente pessima) gestione di Giovanni Alemanno (al di là di considerazioni ideologiche ed ideali, Roma è tutta una buca; non è una città sicura; i mezzi pubblici sono inadeguati; il traffico permane; lo sgombro dei campi rom ha riversato sotto i ponti e per tutta la città famiglie ancora più nel disagio, con conseguente ulteriore nostro disagio; il nepotismo e il clientelismo l’hanno fatta da padrone; le inefficienze e le risorse non stanziate, o peggio, sprecate, sono state una costante; vi è stato un incremento del debito cittadino, che è vero che cresce dagli anni ’80, ma è anche vero che è aumentato considerevolmente in questi ultimi cinque anni; e un trionfo della speculazione edilizia).
Cosa è stato quel più che deve solo a se stesso e alla sua squadra, perché per vincere, non ci si basta da soli. Forse quell’essere stato in grado di concepire, e spiegare con la semplicità di chi sa come poter realizzare il suo progetto, quasi disarmante, di una città a misura di bambino, più verde, più umana, schierandosi da una parte in modo netto, non ponendo il solito “e…e”, che per non stare fra bianco o nero si pone nel  grigio più immobilista, ma obbligando alla scelta, “o, oppure”.
Non si sono fatte promesse fantasiose o stupefacenti, demagogiche, si è puntato al realizzabile. Perché Marino, con le sue carenze di carisma, per vincere ha potuto puntare solo una cosa concreta: è un uomo del ciò che può essere fatto, non ha altre barriere dietro cui ripararsi, o fa o perde. Concezione comunitaria della città, del noi tutti, contrapposto a quell’individualismo che porta divisione, al benessere proprio contro quello di altri. Un candidato anomalo, che ha dovuto il suo  successo non di certo all’appoggio della dirigenza nazionale del PD, in piena tempesta peraltro. Dirigenza che ha saputo sfidare, perché, pur cattolico, è un uomo sinceramente di sinistra, che si è distinto per le sue iniziative a favore del testamento biologico ed altri campi di etica medica, che ha detto di no al governo Letta e tue le sue pericolose anomalie, che ha puntato all’alleanza con SEL.
Nella campagna elettorale, lui e la sua squadra hanno saputo operare bene nei vari campi (forse un po’ meno a livello televisivo, ma per sua fortuna gli sfidanti non sono riusciti a fare di meglio), da quello digitale, anche dei social network, a quelli più tradizionali (come comizi e manifesti elettorali, che raramente ho visto attaccati in posti non consoni o al di là delle regole), ed hanno potuto godere dell’appoggio di personalità popolari come quella di Nicola Zingaretti. Un viaggiare incessante per la città a farsi conoscere, a farsi mostrare ciò che non va, a sostenere i candidati a presidente di municipio; l’umiltà di stare ad ascoltare il cittadino che gli stava davanti (il che posso confermarlo di persona, visto che ne ho avuto la possibilità diretta); quel suo parlare sempre chiaro e con tono cortese; il presentarsi in un modo diverso da quello di tante persone di sinistra, dotate di quell’aria odiosa da intellettualino so-tutto-io, un esempio è stato quel “daje”, sbeffeggiato da qualcuno come ridicolo, ma che in sé contiene tutto il propositivo del voler fare, la pragmaticità, che ha già riscontro prima del suo stanziamento fisico in Campidoglio, con la riduzione del numero di assessori da 60 a 48.  


Infine, Marino non è stato  un candidato imposto dall’alto, è il candidato che le primarie e i loro elettori hanno voluto, godeva di legittimità da subito, e se non dovesse essere piaciuto a così tanti astenuti, be’, peggio per loro, perché sono stati così pigri da non cercare neanche di trovarsi di meglio (lo dico da scrutatore, rammentando ancora con orrore la sagra del grottesco derivante dal quella tovaglia azzurra di scheda elettorale da un metro e diciassette, con tutti i suoi 19 candidati).                                                                            Quindi, signor Marino, anche per coloro che non l’hanno sostenuta, per tutti noi romani, ci riporti in una capitale europea, e daje.                                    
Riccardo Venturi

martedì 11 giugno 2013

Social Darwin: chi non capisce l’ironia è destinato all’estinzione. Apologia de Il Gattopardo.



Non sono venuta qui per salire in cattedra come la professoressina di turno e cominciare a tenere una lezione di cultura e di vita: so di non sapere e di dover crescere. Come tutti, come anche un sessantenne, perché se si smette di crescere, si regredisce.

Vorrei esprimere solo un giudizio del tutto personale secondo un gusto maturato in questi pochi anni di vita. Credo, a mio avviso che “Il Gattopardo” sia una delle opere più belle, affascinanti, sensuali e profonde, ironiche e soprattutto rivoluzionarie della storia della letteratura italiana. Chi conosce le vicende letterarie dell’opera in questione, sa per certo che Il Gattopardo fu rifiutato ripetutamente da diversi editori e che alla fine, proprio la casa editrice che più si protendeva verso l’innovazione, che più sperimentava e che più rivoluzionava il gusto letterario del momento (La Feltrinelli) decise di pubblicarla, aprendo le porte ad un successo di fama internazionale. Fu pubblicato postumo, grazie alla mediazione di Elena Croce, figlia del noto Benedetto, che ne comprese subito l’enorme spessore ma soprattutto la densità tematica. Perché il Gattopardo va letto almeno tre o quattro volte per capire quanti strati di significati nasconda, attraverso ironie su ironie, simbolismi e un chiaro significato esistenziale individuale e storico. E’ un romanzo che non cela il senso di morte che intride la società e la storia, e proprio questo senso di morte fornisce il materiale per creare il nuovo : questo, Grillo non lo ha neanche lontanamente capito. Forse perché è comico e non ironico (soprattutto autoironico, vera piaga il non esserlo) né umoristico  il che significa che rimane ad un livello superficiale della realtà senza indagare i risvolti e le sfumature che si celano nella vita.

Riporto alcuni brani de il Gattopardo e sta a voi giudicare quanto grande sia questo romanzo. Attenzione non dico l’autore, perché fu la sua unica produzione (a parte alcuni racconti brevi di poco conto e una trattazione variegata saggistica), in cui però concentrò tutta la meditazione e tutta la cultura che un uomo, arrivato al far della vita ha maturato, considerando sempre che quel monito “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” in realtà significa che sebbene vi sia il cambiamento, c’è un dato incontrovertibile che rimane immutabile: la natura umana che rende inspiegabilmente similari le vicende umane storiche, in un ciclo continuo segnato dalla fame di potere dell’uomo. Anche Grillo ne è succube e ha raddoppiato e rafforzato la pregnanza di tale formula: per potere, per voglia di Vittoria e Vendetta è entrato nel Sistema, facendone parte egli stesso ma non cambiando niente nel suo immobilismo (ma questa frase, come tutte possono essere usate a uso e consumo di chiunque, e qui lo ammetto tranquillamente).

Giuseppe Tomasi di Lampedusa dà il meglio di sé nelle descrizioni disincantate rivelando significati simbolici segnati da eros e sensualità vitale, morte e putrescenza, forza e inerzia in un gioco mai sazio di nuove prospettive a mio avviso sublimi:

“amore, verginità, morte e durante quel brusio il salone rococò sembrava aver mutato aspetto; financo i pappagalli che spiegavano le ali iridiate sulla seta del parato erano apparsi intimiditi; perfino la Maddalena, fra le due finestre, era sembrata una penitente anziché una bella biondona, svagata in chissà quali sogni, come la si vedeva sempre.”

“ Ma il giardino, costretto e macerato fra quelle barriere, esalava profumi untuosi, carnali e lievemente putridi, come i liquami aromatici distillati dalle reliquie di certe sante; i garofanini sovrapponevano il loro odore pepato a quello oleoso delle magnolie che si appesantivano negli angoli; e di sotto si avvertiva anche il profumo della menta misto a quello infantile della gaggia ed a quello confetturiero della mortella; e da oltre il muro l’agrumeto faceva straripare il seno tre di alcova delle prime zagare. Era un giardino per ciechi e la vista costantemente era offesa”. [Di lì a poco troveranno in questo tripudio barocco che riprende la descrizione del salone interno, un cadavere di un soldato: la morte nascosta nella grande esaltazione inebriante della vita].

“La strada adesso era in leggera discesa e si vedeva Palermo vicinissima completamente al buio. Le sue case basse e serrate erano oppresse dalle smisurate moli dei conventi. Di questi ve ne erano dieci, tutti immani, spesso associati in gruppo di due o tre, conventi di uomini e di donne, conventi ricchi e conventi poveri, conventi nobili e conventi plebei, conventi di gesuiti, di carmelitani, di liguorini, di agostiniani… Smunte cupole dalle curve incerte simili a seni svuotati di latte si alzavano ancora più alte; ma erano essi, i conventi a conferire alla città la cupezza sua e il suo carattere, il suo decoro ed insieme il senso di morte che neppure la frenetica luce siciliana riusciva mai a disperdere.”

Queste sono solo tre descrizioni iniziali in cui la prosa è vibrante, concreta, sensuale e rapace, affonda lo sguardo nell’impasto della vita rendendola viva, concreta ma anche suadente e simbolica. Un romanzo incentrato sull'eros della vita e sul disfacimento della morte, sull’ubriacatura dei sensi e l’inerzia dell’impossibilità (rappresentata dal caldo che ovatta i movimenti): un romanzo unico e che scaturisce la voglia di scoprire il perché della Sicilia, terra isolata e isolana, crogiuolo di lingue e culture, appesantita dall’odore di zagare e dal sole cocente.

Ricordando che la vicenda è ambientata nel periodo risorgimentale (1861 ca.) la genialità dell’autore si coglie in questa frase in cui la storia, in maniera del tutto dadaista viene proiettata nel presente della scrittura (1954-57) per il riferimento cinematografico alla “Corazzata Potemkin” (1925) di Ėjzenštejn il quale però viene chiamato erroneamente Einstein:

“Dopo di che Angelica arrossì, retrocedette di mezzo passo: “Sono tanto, tanto felice…”. Si avvicinò di nuovo e, ritta sulla punta delle scarpine, gli sospirò all’orecchio: “Zione!”: felicissimo gag di regìa paragonabile in efficacia addirittura alla carrozzella da bambini di Einstein, e che, esplicito e segreto com’era, mandò in visibilio, il cuore semplice del Principe e lo aggiogò definitivamente alla bella figliola”.

Infine da ricordare quel meraviglioso film che ne fece Luchino Visconti, pedissequo nel ritrarre ambienti e atmosfere, psicologie e contenuti ma soprattutto geniale nell’immagine degli orinatoi affastellati nel salone a fine serata, dopo la festa e i saluti. Una meraviglia il Tancredi-Alain Delon il cui sguardo verde di gelosia quando Angelica balla con il Principe rimarrà sempre una pietra di smeraldo nella storia cinematografica, così come Burt Lancaster, preso direttamente dai circhi in cui faceva l’acrobata e infine quella creatura così intensa, mediterranea e carnale di Claudia Cardinale che con quel morso alle labbra nel primo fotogramma in cui compare e quella risata grottesca durante il pranzo in casa Salina, ha reso l’essenza dell’Angelica da rincorrere nei palazzi di  Donnafugata.
E le musiche di Nino Rota, che quell’anno aveva anche curato la colonna sonora di 8 e mezzo di Fellini, con la Fanfara all’arrivo del Principe a Donnafugata fino al Valzer inedito di Verdi composto per la contessa Maffei http://www.youtube.com/watch?NR=1&feature=fvwp&v=g8KyewGg_HY sono l’esempio di come il genio italiano si possa esprimere a livello letterario, cinematografico, musicale ma soprattutto concettuale in una sensualità conservativa che è alla base della vita.
Miriam Di Carlo





lunedì 10 giugno 2013

DOMANI E' UN (ALTRO) GIORNO.

Sedici a zero. Nessuna scusa per il centro-destra; persino a Treviso ha trionfato il candidato del Pd. Nonostante tutto non sono sicuro che abbia ragione Letta sul fatto che il governo sarà rafforzato da questa vittoria. Pd e Sel, ai ballottaggi, erano uniti, mentre a livello nazionale il primo sostiene l'esecutivo e il secondo è all'opposizione.

Forse Quello lì, dopo questa cocente sconfitta, starà in silenzio per qualche giorno: eviterà di imporre, almeno per qualche mese, ulteriori proposte shock, come quella della sospensione dell'Imu. La mia ipotesi, però, è solo una possibilità tra tante. Purtroppo forse il Cavaliere non rinuncerà ad opporsi a provvedimenti anti-corruzione, aspetto su cui già il Governo Letta è stato abbastanza reticente. Non rinuncerà a solamente minime variazioni sul Porcellum. Farà varare, come previsto, una maggiore tassazione sul lavoro, piuttosto che detassazione sul settore edilizio e sui beni di lusso. In pratica, questi ballottaggi influiranno sulla forma con cui il centro-destra comunicherà, ma non sul contenuto semantico della comunicazione.

Domenica Letta ha affermato, dopo i consigli anti-europei in campo economico di Quello lì: "Non comanda Berlusconi." Precisazione non necessaria, a meno che non sia vero il contrario. Se il vice-premier di questo Governo è Alfano, che è un burattino nelle mani di Quello lì, perché il Cavaliere non dovrebbe comandare? Forse Quello lì non decide la politica estera, anche perché non ne ha motivo, ma sfrutta a suo vantaggio un tipo di politica populista e anti-europeista, la quale trova molti adepti a livello popolare. Inoltre controlla di gran lunga la politica interna, tutto per difendere i propri interessi. E dov'è la novità?

Il centro-sinistra ha vinto in 16 comuni d'Italia. Ciò è ineccepibile. Sono finalmente contento soprattutto del fatto che Alemanno, dopo 5 anni di immobilismo, andrà a casa. Cinque anni in cui nessuna opera pubblica di rilievo è stata fatta. E' stato solamente inaugurato il ponte sull'Ostiense, che è un'opera iniziata sotto l'amministrazione Veltroni: una vergogna, se non fosse stato completato. Un quinquennio in cui la linea C della metropolitana, prevista per il 2011, non è stata completata ma nemmeno aperta, né in centro e né in periferia. Cinque anni di immobilismo, o meglio di sperpero dei fondi dei contribuenti Ma per il resto, che cosa cambierà a livello nazionale? Niente, domani è un altro giorno, immobile e politicamente statico come oggi.

Marco Di Caprio


giovedì 6 giugno 2013

La vigilanza Rai.

Non si riesce a giocare più né a Ruzzica né a Ruzzle.

A me me pare solo ‘n gran casino. Una Babilonia senza fine in cui non ci si raccapezza niente, né giocando a ruzzica[1] né giocando a Ruzzle, vale a dire né menando di sana pianta qualcuno, né insultandolo fino ad esaurimento improperi improbabili.
Oggi il M5S celebra un lutto e poi una vittoria: prime defezioni all’interno del Gruppo della Camera, da cui si distaccano Furnari e Labriola adducendo come giustificazione, non tanto il problema degli scontrini, diaria e compagnia bella, quanto proprio il rigido controllo dell’Occhio. Anche ne Il fatto Quotidiano si ha un addio plateale alla Mentana: in un articolo di oggi dal titolo “Biologico, esperti e commiato” si legge alla fine l’addio del giornalista Bassanini.

 “Veniamo al commiato. Vi confesso che sono sempre più a disagio nello scrivere qui dentro. Per via della “compagnia” che si è aggiunta nel tempo:  complottisti dell’11 settembre, antivaccinisti, “esperti” di energia che sbagliano le unità di misura, “esperti” di nanoparticelle nelle merendine, teorici della decrescita, omeopati, teologi assaggiatori di vino che concionano di ogm invece di parlare di Barolo o Barbaresco e così via. Io ci metto settimane o mesi a leggermi la letteratura scientifica originale e a scrivere un articolo, mentre a scrivere una cazzata con un copia e incolla ci si mette mezz’ora. E dopo neanche un giorno il mio pezzo è svanito dalla home page, scivolato via nel mischione generale insieme a tanti altri con cui francamente non voglio essere associato. Non vale la pena fare tanta fatica. Per cui, come si dice solitamente in questi casi, ho deciso di “prendermi una pausa di riflessione”. Che temo sarà lunga.”

Insomma vita dura per il mondo della comunicazione. Ma oggi arrivano traguardi importanti che mettono fine al grande clima di attesa maturato in questi giorni.
Dopo la grottesca attribuzione del Copasir alla Lega[2], si passa al tema dolens della Vigilanza Rai che viene affidata niente popò di meno che a loro, i 5stellati. Grande bottino. Quindi noi abbiamo delle richieste esplicite da soddisfare:

1)      Sopprimere immediatamente Affari Tuoi e Max Giusti. Chi lo vede è perché lo usa come sottofondo sonoro mentre parla palesemente di altro.
2)      Sopprimere quel format atroce che si chiama Porta a Porta e esiliare subito Bruno Vespa. O una gogna catramata, decidete voi. Poi offro collaborazione per fare plastico.
3)      Non cercare di riesumare per la 20° serie : - Un medico in famiglia (pietà di noi); - Don Matteo (e Terence Hill che riappare più molesto di Paolini in altre fiction, incapace di accettare la sua anzianità e canutaggine. Tra l’altro Don Matteo, al pari della Signora in Giallo porta palesemente sfiga, ma si sa, questo ormai è un topos letterario all’ordine del giorno); - Tutte le fiction che sono arrivate alla 6° stagione. Basta.
4)      Riammettere la Gruber a patto che si sgonfi un po’ perché il suo essere donna intelligente e acuta stona profondamente con il suo sorriso inquietante, tant’è che menomale che poi arriva la voce di Pagliaro che rassicura gli animi.
5)      Togliere l’Arena a Giletti, perché l’Arena andrebbe pure bene, è Giletti e chi ci sta dentro che disturba la domenica pomeriggio.
6)      Rimettere Blu notte di Lucarelli.
7)      Reintrodurre Daverio e Augias in qualche modo. Non so come ma si deve fare.
8)      Mettere un piccolo cartonato di Piero Angela in ogni studio televisivo.
9)      Chiedere al giornalista Fidel Mbanga Bauna (l’uomo nero di Saxa Rubra) perché vota Alemanno: che problemi ha?
10)   Non trasmettere solo calcio su Rai Sport, far capire la differenza tra Rai Gulp e Rai YoYo, non fare solo documentari sull’olocausto su Rai Storia.
11)   I gettoni d’oro non esistono.
12)   Affidare una trasmissione ai tre tizi di Do Re Ciak Gulp, escludendo Mollica.

Grazie per l’attenzione e buon lavoro.
Miriam Di Carlo





[1] Antico gioco che si basa sul lancio di una grande forma di formaggio: vince chi la getta più lontano. Insomma il gioco più ancestrale e primordiale ma anche quello più godurioso: ci sarebbe veramente da buttare in testa a qualcuno qualche bella forma de cacio.
[2] Cioè ma stiamo scherzando? Il Comitato parlamentare per la Sicurezza della Repubblica alla Lega? E’ come affidare la sicurezza di vostro figlio al pazzo verbigerante del quartiere che dicono abbia ucciso quattro cani e una pecora, è come affidare la vigilanza di un cartone di uova al più grande imbranato dalle mani di ricotta. Magari ci esce pure una Cassata decente, o una grande Cazzata senza ritorno.