Roma, 11 giugno 2013
Col
senno di poi, che ci rende tutti terribilmente risaputi e saccentucci mi sono
fatto (in realtà da qualche settimana) una mia personale idea del successo, e
poi della vittoria di Ignazio Marino, un chirurgo di fama internazionale, ma,
ahilui, non particolarmente dotato di presenza fisica, magniloquenza oratoria e
ironia brillante. Un uomo banalmente comune, che mi piace ritenere (forse anche a ragione, visto
che ha voluto presentarsi con una certa distanza dal PD, e senza il paracadute
del doppio incarico senatoriale) intelligente ed onesto.
Ma
cosa gli ha portato la vittoria? Di certo non è stato sufficiente demonizzare
(la innegabilmente pessima) gestione di Giovanni Alemanno (al di là di considerazioni
ideologiche ed ideali, Roma è tutta una buca; non è una città sicura; i mezzi
pubblici sono inadeguati; il traffico permane; lo sgombro dei campi rom ha
riversato sotto i ponti e per tutta la città famiglie ancora più nel disagio,
con conseguente ulteriore nostro disagio; il nepotismo e il clientelismo
l’hanno fatta da padrone; le inefficienze e le risorse non stanziate, o peggio,
sprecate, sono state una costante; vi è stato un incremento del debito
cittadino, che è vero che cresce dagli anni ’80, ma è anche vero che è
aumentato considerevolmente in questi ultimi cinque anni; e un trionfo della
speculazione edilizia).
Cosa è stato quel più che deve solo a se stesso e alla sua
squadra, perché per vincere, non ci si basta da soli. Forse quell’essere stato
in grado di concepire, e spiegare con la semplicità di chi sa come poter
realizzare il suo progetto, quasi disarmante, di una città a misura di bambino,
più verde, più umana, schierandosi da una parte in modo netto, non ponendo il
solito “e…e”, che per non stare fra bianco o nero si pone nel grigio più immobilista, ma obbligando alla
scelta, “o, oppure”.
Non si sono fatte promesse fantasiose o stupefacenti,
demagogiche, si è puntato al realizzabile. Perché Marino, con le sue carenze di
carisma, per vincere ha potuto puntare solo una cosa concreta: è un uomo del
ciò che può essere fatto, non ha altre barriere dietro cui ripararsi, o fa o
perde. Concezione comunitaria della città, del noi tutti, contrapposto a
quell’individualismo che porta divisione, al benessere proprio contro quello di
altri. Un candidato anomalo, che ha dovuto il suo successo non di certo all’appoggio della
dirigenza nazionale del PD, in piena tempesta peraltro. Dirigenza che ha saputo
sfidare, perché, pur cattolico, è un uomo sinceramente di sinistra, che si è
distinto per le sue iniziative a favore del testamento biologico ed altri campi
di etica medica, che ha detto di no al governo Letta e tue le sue pericolose
anomalie, che ha puntato all’alleanza con SEL.
Nella campagna elettorale, lui e la sua squadra hanno saputo
operare bene nei vari campi (forse un po’ meno a livello televisivo, ma per sua
fortuna gli sfidanti non sono riusciti a fare di meglio), da quello digitale,
anche dei social network, a quelli più tradizionali (come comizi e manifesti
elettorali, che raramente ho visto attaccati in posti non consoni o al di là
delle regole), ed hanno potuto godere dell’appoggio di personalità popolari
come quella di Nicola Zingaretti. Un viaggiare incessante per la città a farsi
conoscere, a farsi mostrare ciò che non va, a sostenere i candidati a
presidente di municipio; l’umiltà di stare ad ascoltare il cittadino che gli
stava davanti (il che posso confermarlo di persona, visto che ne ho avuto la
possibilità diretta); quel suo parlare sempre chiaro e con tono cortese; il
presentarsi in un modo diverso da quello di tante persone di sinistra, dotate
di quell’aria odiosa da intellettualino so-tutto-io, un esempio è stato quel
“daje”, sbeffeggiato da qualcuno come ridicolo, ma che in sé contiene tutto il
propositivo del voler fare, la pragmaticità, che ha già riscontro prima del suo
stanziamento fisico in Campidoglio, con la riduzione del numero di assessori da
60 a 48.
Infine, Marino non è stato
un candidato imposto dall’alto, è il candidato che le primarie e i loro
elettori hanno voluto, godeva di legittimità da subito, e se non dovesse essere
piaciuto a così tanti astenuti, be’, peggio per loro, perché sono stati così
pigri da non cercare neanche di trovarsi di meglio (lo dico da scrutatore,
rammentando ancora con orrore la sagra del grottesco derivante dal quella
tovaglia azzurra di scheda elettorale da un metro e diciassette, con tutti i
suoi 19 candidati).
Quindi, signor Marino, anche per coloro che non l’hanno sostenuta, per
tutti noi romani, ci riporti in una capitale europea, e daje.
Riccardo Venturi
Nessun commento:
Posta un commento