E’ inutile che ce la prendiamo tanto con le varie interpretazioni,
a nostro avviso fuorvianti, intorno al concetto di democrazia. Lo dicevano già gli
antichi pensatori greci che la “democrazia” quale forma di governo, cammina sul
filo di un rasoio affilatissimo e tagliente. Essa, citando il grande Abbagnano
(tra meno di un mese ricorrerebbe il suo compleanno: grazie ad un grande pensatore
contemporaneo tramite cui ho avuto delle illuminazioni circa diversi filosofi),
rischia di degenerare in tirannia per la progressiva acquisizione di consensi.
In effetti all’interno di un gruppo coeso che si dica democratico e che si
riconosca in una data ideologia (o presunta tale), tutti hanno diritto di
parola e di replica ma inevitabilmente, vi sarà, come microcosmo dell’intera
società, uno o più personaggi carismatici e dall’altra parte personalità meno
forti destinate a seguire il carisma, a volte chiamato semplicemente megafono.
- - A proposito del M5S si ha come ideologia
fondante il disagio dato dalla crisi e la diseguaglianza sociale derivante. Per
comodità chiameremo tale collante “la pagnotta”. All’interno del Movimento
della pagnotta esiste un leader carismatico? Si, poiché esso nasce non su base
solamente e puramente ideologica ma grazie ad un secondo aggregante: Grillo.
Inde per cui non è democratico ma degenera inevitabilmente verso la tirannia. È
un percorso che i filosofi antichi già avevano rilevato: quindi è inutile ci si
scandalizzi. Interessante a tal proposito è l’interpretazione data da Di Pietro
durante “Un giorno da pecora” su Radio2[1]. O meglio
CREDO di aver così capito le parole di Di Pietro perché trovo non poche
difficoltà interpretative nell’idioma scelto da Tonino. A proposito dell’espulsione
della Gambaro, Di Pietro appare conforme con il pensiero del grillino “puro”
dicendo che (parafraso), se sei stato votato dagli elettori per stare da “quella
parte”, devi mantenere la tua promessa elettorale e stare da “quella parte”.
Ora, Di Pietro non me ne voglia, ma il fatto è che il M5S non è una parte
politica perché non ha un’ideologia precisa entro cui riconoscersi. E’ il
Movimento della protesta e ha protestato. Non ha trovato spazio per costruire,
per volontà sua propria o per colpa altrui: le retrospettive storiche
lasciamole ai nostri figli. Quindi la “parte” da interpretare (tolta la pagnotta
e la protesta) rimane Grillo. Se rimane Grillo ecco la minaccia della tirannia
e stiamo in un corto circuito in cui pian piano le varie resistenze elettriche
stanno lanciando segnali di tilt.
- - A proposito del PdL. Il PdL è un partito nato
all’interno del gioco democratico e che prende le redini dell’eredità segnata
dalla destra. In maniera stilizzatissima e stereotipata (non me ne vogliate)
rappresenta alcuni interessi, ha una sua ideologia (condivisibile o meno) e
nella storia ha contribuito a far ricredere la sinistra su certe fondamentali
questioni,soprattutto in campo economico in uno scambio dialettico che prevede
un riflesso nell’economia contemporanea: commistione di privato e pubblico
necessaria per il concetto di lassez-faire, lassez-aller del liberismo economico.
All’interno del partito si è delineato un leader carismatico, tal Belusconi. Ora,
che sia carismatico è noto a tutti: tanto carismatico da stagliarsi quale punto
di riferimento del partito se non il partito stesso. Dopo i recenti sviluppi
giudiziari come si comporteranno i suoi discepoli? Seguiranno la debole
ideologia o il leader? Se dovessero scegliere la prima strada, il Governo Letta
è salvo, e per le prossime elezioni ci sarebbe la speranza che qualcuno rifondi
una destra credibile che aiuti il rapporto dialettico tra destra e sinistra
nell’ottica di una progressione comunitaria. Ma anche lì troppe personalità
pigre hanno circondato il leader, che con la sua fama il suo successo ha creato
l’assoggettamento totale a sé: se non lo segui non hai la speranza di fare
niente nella vita[2]. Se gli
vai contro poi stai fuori completamente. Se i discepoli, in seconda analisi dovessero
seguire il leader, ovvero per dirla in soldoni, se dovessero far saltare il
banco, allora Berlusconi sarebbe ancora salvo per l’ennesima volta, le destra,
morto B. morirebbe con lui ad Arcore e non si riconoscerebbe più in nulla, ma prima
ci si dovrebbe di nuovo interrogare sul problema martellante dei tre poteri
divisi: esecutivo, legislativo e giudiziario che lasciamo alla coscienza di Silvio
e a quanti dicono, con candore da schiaffi, che i magistrati di Tangentopoli
fecero male a disabilitare politicamente alcune personalità corrotte di allora[3].
Infine cito una frase di Corrado Augias il quale ha
giustamente affermato “la storia non ha un andamento uniforme, ma a
fisarmonica: dei periodi più dilatati si intervallano a momenti più densi di
eventi storici forti”.
Miriam Di Carlo
[1] Che
suggerisco caldamente anche per la presenza del gruppo delle Ebernies, autrici
dell’intervista cantata: per riderci su e ironizzare…fa sempre bene invece di
piegarci come il solito Sisifo italico sul peso schiacciante della nostra
presunta cultura italiana.
[2] C’è
anche da dire che la destra, con la sua ideologia basata sull’individuale, si
presta molto all’imposizione di una personalità più forte.
[3] Che poi
per dirla tutta, non disabilitarono proprio per niente un’intera classe
politica che per la maggior parte fu riabilitata dal decreto colpo di spugna
Conso. Fu stigmatizzata la figura di Craxi.
In effetti l'evanescenza del "voto di protesta" è palese e ampiamente dimostrabile con la flessione di consenso registrata tra febbraio (politiche) e maggio (amministrative). La protesta è un'onda la cui cresta è alta quanto alto è il disagio. Ma è anche un qualcosa che va assecondato e capitalizzato nell'immediato, altrimenti si sgonfia come una camera d'aria bucata. Questo proprio perchè la base è mancante di uno scheletro ideologico al quale, volente o nolente, l'elettore rimane più o meno legato anche nei momenti peggiori. La questione però si complica quando alla protesta segue, come in questo caso, una forte rappresentanza parlamentare che in qualche modo dovrà collocarsi, pena il rischio di fare rappresentanza pura ed inutile. E' proprio questo a mio parere il limite di una realtà basata sul distaccarsi da tutto il resto: l'impossibilità (almeno presunta) di rapportarsi ad altri e la dipendenza da un leader carismatico, quasi tiranno, che col suo impatto mediatico, comunicativo e, perchè no, anche economico, ha creato tutto ciò che è successo il 25 febbraio scorso. Ovvio poi che costui si senta intoccabile ed inarrivabile ed al primo dissenso minacci espulsioni ed epurazioni. Checchè se ne dica la creatura è sua, lui la tiene in vita e la tutt'ora buona rappresentanza di seguaci ad ogni costo glielo consente. Però, proprio per la questione dell'ampia rappresentanza istituzionale, vedo come sola via d'uscita e durata del movimento il distacco dal "grillismo" e la focalizzazione delle varie questioni su chi effettivamente rappresenta quel 25% di elettorato in parlamento. Un'ultima cosa, si è detto e ribadito che politiche e amministrative sono due cose diverse e che di fatto il crollo di consenso non c'è stato. Questo è vero ma, come ampiamente specificato nell'articolo di Miriam Di Carlo, è vero se parliamo di ideologia, che sia destra, sinistra o centro ma pur sempre ideologia. Allora si che conta, di più a livello politico\nazionale, di meno a livello locale quando il "conoscere" il candidato può far confluire una percentuale più o meno ampia di consenso non convenzionale. Però sul voto di protesta di fatto questa differenza non dovrebbe esserci, se protesti, protesti e basta, se sono tutti ladri e devono andare a casa, questo vale dal parlamento al comune, passando per la provincia e la regione. Tutti a casa punto e basta... Ecco accomunate politiche e amministrative...
RispondiEliminaCredo che non possano essere paragonate politiche e amministrative però Mauro. Perché nel cittadino italiano c'è un sentimento completamente diverso tra Stato e entità amministrativa territoriale. L'amministrazione circoscritta ad un comune è una entità tangibile, che si può toccare, con cui si può interagire e dialogare quindi gioca molto il fattore "presenza" e "parola in atto": più che a livello nazionale si può constatare se siano state mantenute promesse e se siano attuabili i vari programmi- Per questo non si è data fiducia al M5S perché si è vista subito l'impreparazione e inoltre a livello locale i vari partiti già da tempo sono radicati con sezioni, dibattiti ecc...Vorrei anche essere super partes e concludere il mio articolo con una considerazione che riguarda il Pd: per forza di cose e per impossibilità di dialogo con il M5S (la parte che si basava almeno su una parvenza di ideologia di sinistra) ha dovuto prostituire la sua idologia facendo un governo "di larghe intese" che come la storia insegna, a volte si è rivelato essere tra i più vincenti: infatti all'interno di un governo sì fatto, si delinea più forte l'identità di partito cui ancorarsi e non l'individualismo personale che invece spiccherebbe maggiormente in un governo di un solo colore. Bisogna mantenere fede alla propria identità perché è una responsabilità maggiore. Ma questa è una mia visione che vuole forse, anche bonariamente, giustificare la prostituzione dell'ideale con cui siamo partiti. Un caro saluto e abbraccio Mauro a presto.
RispondiEliminaInfatti amministrative e politiche rimangono due capitoli distinti della politica. E' però la protesta contro tutto e tutti che le accomuna mettendo due situazioni diverse nello stesso calderone del "sono tutti uguali". E' qui che il M5S perde consenso. Un abbraccio anche a te a presto..
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