Si apre di nuovo il sipario su una politica così
frastagliata e ricca di insenature da divenire rovo spinoso difficile da
penetrare. Lessi e analizzai il discorso tenuto alla Camera dei Deputati il 20
luglio 1992, il giorno dopo l’uccisione di Paolo Borsellino. Presidente della
Camera di allora: Giorgio Napolitano. Intervengono a proposito della tragedia
consumatasi poche ore prima i seguenti deputati: BIONDI ALFREDO (gruppo
liberale), DI DONATO GIUUO (gruppo PSI), FINI GIANFRANCO (gruppo MSI-destra
nazionale), FORLANI ARNALDO (gruppo DC), GARAVINI ANDREA SERGIO (gruppo
rifondazione comunista), LA MALFA GIORGIO (gruppo repubblicano), MANCINO
NICOLA, Ministro dell'interno OCCHETTO ACHILLE (gruppo PDS), PALERMO CARLO
(gruppo movimento per la democrazia: la Rete) PANNELLA MARCO (gruppo
federalista europeo) ROCCHETTA FRANCO (gruppo lega nord) RUTELLI FRANCESCO
(gruppo dei verdi) VIZZINI CARLO (gruppo PSDI). Ovviamente il frontespizio che
ho riportato segue non l’ordine di apparizione ma l’ordine alfabetico. Cosa ci
interessa dal punto di vista linguistico? Sapere quale fosse la relazione sottesa
tra Stato e Mafia ma soprattutto se Borsellino, in quell’agenda rossa tenesse
nascosto qualche segreto a tal proposito.
Giorgio Napolitano dice a
proposito della descrizione dell’evento e dei minuti subito successivi alla
strage “ […]per il giudice Borsellino e per gli uomini della scorta non è stato
possibile alcun aiuto, se non quello di ricomporre pietosamente i corpi
straziati e quasi del tutto inceneriti. Sono giunte pure, immediatamente, le squadre investigative di polizia
scientifica ed i magistrati della procura di Palermo che hanno diretto e
coordinato i primi accertamenti.” Discrezione, lucidità oggettività caratterizzano
una freddezza da cronista esterno ai fatti. Nulla da eccepire se non quell’avverbio
“immediatamente” che potrebbe avere due valori: o quello di rimarcare l’efficienza
di uno Stato presente e attento, o quello di togliere un sospetto su un’eventuale
intervento in un frammento di tempo da coprire. Fatto sta che, come molti
avverbi, non era necessario, specialmente in un contesto distaccato come quello
di una semplice cronaca.
Marco Pannella interrompe il Ministro
degli Interni e dice “Chi vi autorizza a parlare in nome del realismo e della
responsabilità, con i risultati che avete avuto?” ma il sapore della sua
incursione ha più il tono di un rimprovero di sciatteria istituzionale
piuttosto che di corruzione e collusione.
La risposta migliore viene da
ANDREA SERGIO GARAVINI di cui riporto quasi integralmente il discorso. Infatti è
forte che in ambito parlamentare (La Camera dei Deputati) vengano fatte tali
accuse esplicite. La lettura è
necessaria considerando che fu fatta mentre si stava vivendo la tragedia
(quindi la contemporaneità di fatti e parole incide sull’analisi) , in un luogo
conversazionalmente diseguale in cui vigono gerarchie linguistiche che
riflettono quelle istituzionali e che è in ballo un pericolo forte (quello
mafioso) per cui le parole dovrebbero essere calibrate a meno che non si è
sicuri delle affermazioni che si profferiscono. “C'è una domanda che tutti noi
ci stiamo certamente ponendo: quali sono le ragioni per cui la mafia possa
colpire così impunemente prima Falcone, poi Borsellino, con stragi che hanno la
stessa caratteristica, quella dell'essere non soltanto orrende e sanguinose, ma
anche spettacolari. E se vi è questa impunità, ci deve essere una ragione
profonda. La ragione è precisa ed è ben presente a tutta la nostra
consapevolezza: sta nella compromissione che si è stabilita tra la mafia e gli
ambienti di Governo; questo è il punto. Ed è un punto che risalta da fatti
oggettivi. La democrazia cristiana ha da più di quarant'anni
riservato ai suoi uomini il Ministero dell'interno e la direzione dei servizi
segreti. Il risultato è di fronte a noi: gli attacchi alla democrazia con i
delitti di strage non sono stati in alcun modo perseguiti, i colpevoli non si
conoscono, si sa soltanto che c'era la mano dei servizi segreti. I
delitti di mafia si susseguono e non vengono né individuati né puniti i
responsabili; non si riesce nemmeno a proteggere i magistrati che guidano la
lotta contro la mafia. Noi abbiamo adesso un ministro della giustizia che si
caratterizza soprattutto per i suoi attacchi alla magistratura, nel momento in
cui la magistratura stessa è impegnata, da un lato, a scoprire le malefatte del
sistema politico e, dall'altro, a combattere una disperata battaglia contro la
mafia. In questi dati vi è un elemento sul quale esiste l'obbligo di
intervenire, perché è ben chiaro che da queste autorità di Governo la mafia non ha
niente da temere. La mafia teme i magistrati e teme i poliziotti,
che sono il livello di intervento dello Stato che cerca di aggredire appunto la
mafia, ma non voi: la mafia non vi teme assolutamente! È questo il dato vero della
situazione. E quando invocate responsabilità, colleghi del Governo, quando chiedete interventi, quando
la vostra maggioranza chiede addirittura all'esercito di intervenire, come
potete farlo senza un minimo segno di critica per quanto riguarda le vostre
responsabilità, di oggi e di ieri? Ma chi c'era a dirigere la polizia, chi era
responsabile dell'ordine pubblico, chi era responsabile della giustizia nei mesi
passati, in questi anni, in questi decenni? Chi, da questo punto di vista, è
responsabile del sangue che viene versato? E come è possibile che adesso ci
troviamo di fronte a un ministro dell'interno, tale solo perché democristiano,
che oltre tutto viene qui a darci un esempio di incompetenza così palmare come
quello rappresentato dalla relazione che qui è stata presentata? Come è
possibile che non ci sia una reazione di fronte a questi fatti? Ma
non lo capite che se volete colpire la mafia vi dovete dimettere?
Dovete liberare le responsabilità dell'interno, dell'ordine pubblico e della
giustizia dall'usbergo della democrazia cristiana e del partito socialista, responsabilità
che avete accumulato nella storia di questa Repubblica. Questo è
l'atto che deve essere compiuto, se vogliamo fare paura alla mafia, e se
vogliamo mettere in moto davvero quelle energie che ci sono nella magistratura
e nelle forze dell'ordine per aggredire la mafia e per colpirla. Ecco l'appello
che noi lanciamo. Se si parla di responsabilità, è chi governa che ha il dovere
di assumersi le proprie, non altrimenti. Non facciamo discorsi di efficienza tecnica,
che non raggiungerete mai nella situazione che si è determinata se non cambiano
le cose al vertice, nelle competenze di Governo, se responsabili dell'ordine
pubblico e della giustizia continueranno ad essere gli esponenti di quei
partiti che hanno la
responsabilità oggettiva della
situazione. […] La mafia si sconfigge se si batte la compromissione tra la mafia
stessa e gli ambienti di Governo.”. Si nota comunque che da una
prima accusa esplicita, una secondareiterata attraverso martellanti
interrogative dirette, il deputato poi posiziona meglio la mira, mitiga i toni:
ha compreso cosa stava dicendo e a chi stava parlando in una sorta di
straniamento improvviso. Poi capisce che già ha detto ciò che di più delicato
potesse dire e quindi rincara la dose con la frase a mio avviso essenziale: “Non
facciamo discorsi di efficienza tecnica” in cui il deputato, usando un “noi”
collettivo si prende la responsabilità di un pensiero condiviso da molte menti
parlamentari ma soprattutto fornisce la chiave di lettura circa la modalità di
analisi delle sue parole e dichiarazioni: non si denuncia il lassismo dello
Stato né una taciuta corresponsabilità quanto una vera e propria unione tra i due
poteri interrelati e uniti tanto da essere fusi. Così risuona ancora più forte
l’ultima frase “La mafia si sconfigge se si batte la compromissione tra la mafia
stessa e gli ambienti di Governo”.
Anche GINAFRANCO FINI adopera una
certa forza illocutoria dell’atto linguistico affrontando i contenuti i quali
sono esplicitati in tutta la loro dirompenza di accusa. Inoltre riporta un’intervista
di Borsellino, la riporta in ambiente istituzionale usando le stesse parole del
giudice per attestare una supposizione che sta diventando certezza palese agli
occhi di tutti i deputati. Ormai c’è una certa verità sottesa. “Vergogna,
signor ministro dell'interno, per l'incapacità che questo sistema politico ha
dimostrato in questi quarant'anni di lotta — a parole — alla mafia che uccide
quando vuole, dove vuole, chi vuole e come vuole! Vergogna per le compiacenze,
per le collusioni, per le contiguità, per le complicità che il sistema politico
italiano ha avuto e ha nei confronti del sistema mafioso! Signor
ministro, voglio leggere anch'io una frase tratta da una intervista del
giudice Borsellino, una frase certamente molto meno gratificante per lei e
per gli uomini come lei di quella che ha letto poc'anzi: «Non c'è mai stata da parte della classe politica la volontà di
reagire alla mafia. La mafia è infiltrata nelle istituzioni, che vengono
corrose dall'interno, ma ciò è possibile in quanto questa tecnica si è incontrata
con il sistema dei partiti che hanno interpretato il rapporto con lo Stato come
rapporto di occupazione, che rende lo Stato, e in particolare gli enti locali,
permeabili a logiche diverse da quelle del pubblico interesse». Paolo
Borsellino pronunciò queste parole a Siracusa il 30 settembre 1990.”
Inoltre come non provare una certa condivisione del pensiero
che circola nel popolo italiano del 2013: dopo Tangentopoli quel decreto colpo
di spugna, quel decreto Conso, riabilitò gran parte della classe politica e non
fece tabula rasa di tutte le collusioni e corruzioni che avevano caratterizzato
la Prima Repubblica. Per quanto responsabile, Craxi fu comunque stigmatizzato,
capro espiatorio per coprire e tacitare le tante voci che risuonavano all’interno
della Camera dei Deputati.
Miriam Di Carlo
P.S . Purtroppo in questo caso mi è venuta in mente questa canzone http://www.youtube.com/watch?v=u5CVsCnxyXg
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