lunedì 13 maggio 2013

Spagna: storie di frutta e di linguistica.


Una costellazione al contrario ho incontrato. Dall’aereo, di mattina il mare conta costellazioni di barche fissate, attaccate e attraccate intente a pescare. Dall’alto sembrano tanto immote, ma immagino che all’interno un gran brulicare di affari, fatti e persone invada lo spazio angusto tipico della nave. Ma io sto in aereo, spazio angusto anche qui, costretti e stretti come uomini in piccola struttura ma dividendo percentuale calibrata di pesi, misure e bagagli di esperienza stipati nel corpo di ciascuno.  La mia gita a Valencia termina qui, questo lunedi di Maggio e tornerà ciclicamente riaffermando e aumentando un piccolo passo. Il valzer di Hegel: tre passi del valzer per Hegel, uno (tesi), due (antitesi: il piede destro va lontano dal sinistro) e sintesi (unione dei piedi nell’abbraccio sovrastante). Un po’ come la nostra politica.

Come promesso riporto un piccolo reportage fotografico di uno dei mercati che ho visitato. Il Mercat Central di Valencia è altra cosa: è permanente, è difficile da penetrare sia per gli odori a volte nauseabondi, sia per i colori troppo abbaglianti sia soprattutto per la copiosità delle persone. Una selva colorata da intagliare con gli occhi. Ho preferito proporvi il mercato di Algemesì: paese di provincia valenciana, che conta 30000 abitanti circa. E’ conosciuto per la coltivazione di arance: circa 45 tipologie che fioriscono, profumano e marciscono in periodi diversi dell’anno. La cooperativa di Algemesì raccoglie e invia in tutta Europa con indirizzi che recano parole tedesche, inglesi, francesi, italiane, e chi più ne ha più ne metta. Se si va per la campagna durante il periodo di aprile si rischia un’ubriacatura da profumo di zagare che può essere paragonata a quella da vodka[1]
La caratteristica dei mercati spagnoli è la frutta: terribilmente enorme e dai colori surreali tanto che credo a volte di vivere in un quadro di Dalì [2]. Sono pressocchè sicura che usino OGM e wikipedia conferma, la cosa mi rattrista perché è come guardare una signora molto bella che piano piano avanzando, mostra labbra rifatte a canotto: un umorismo pirandelliano tutto contemporaneo in cui l’uomo, la cui attenzione bisogna mantenere viva, nient’altro è che il nostro capriccio allevato dalla globalizzazione e dall’apparenza consumistica.

Propongo questa foto di fragole ma si consideri che in questo periodo si vendono anche ciliegie, uva ma soprattutto cocomero dalla forma sferica e dal color esterno nero [3]
, melone giallo (dalla buccia verde scuro), pesche percoche [4]
e frutta invernale che ormai appare come pelle morta del passato. Insomma, il venditore, sebbene la mole non proprio aggraziata, ha grande delicatezza nel curare le sue creature e le vende ben collocate in piccoli canestri dalla forma quadrata. Quando si dice che è un Principe: “Sta mano po’ esse fero e po’ esse piuma: oggi è stata ‘na piuma”[5].






Guardate, comprerei pure quelle pesche che stanno vicino ai porri mefitici, ma soprattutto quelle ciliegie: per chi mi conosce sa quanto io le ami, frutto umile nella dimensione ma denso nel sapore, unico nella sua condizione poiché necessita acuto denocciolatore, che si spera sia il semplice mangiatore. Las cerezas son baratas: 3.20 al chilo, in Italia con il doppio degli euri ci compri un canestrello di noccioli. Così come pure le pesche, con il doppio ( a volte il triplo) ti fai due peschette con il pelo cui togli buccia e nocciolo ricavando solo 1/3 del peso complessivo. Insomma gli OGM hanno i loro perché ma sinceramente, provenendo da paese contadino in cui mio padre ha sempre portato a casa pesche sbilenche e fragole uscite da un film horror ma dal sapore 30 volte più forte, denso e deciso di ciò che ho assaggiato in Spagna, preferisco la salutare bruttura all’apparente esuberanza scialba.  


I carciofi vanno al chilo e non al “fiore”, come le buffe taccole ovvero i meravigliosi fagioli corallo con cui si fa la paella, e i pomodori transgenici che sembrano palloni da rugby: che dire? Bellissimi e abbaglianti.



Rimango sempre colpita, positivamente stavolta, da queste bancarelle dal sapore antico: sacchi di iuta che contengono spezie e sapori un po’ invisi ai giovani: in particolare quei fagioloni grandi che vedete sulla sinistra vengono messi nella paella e sono deliziosi[6].



Altra cosa che mi ha messo sempre molta curiosità sono le uova. A parte il fatto che le famiglie in cui ho alloggiato questi anni usano mangiare una decina di uova a testa a settimana per persona, la particolarità risiede nel colore bianco del guscio. Ho chiesto a mio padre e mi ha detto che il colore può dipendere sia dal mangime che dalla razza della gallina: le galline livornesi fanno le uova dal guscio bianco mentre le padovane color mattone. Ora, sul perché in Spagna e all’estero ci siano più galline livornesi che padovane chiedetelo ai successori di Carlo Cannella. Anche gli asparagi dentro ai vasi di vetro sono bianchi mentre la curiosità linguistica viene dal miele (lo vedete sulla destra e in particolare quello è miele di rosmarino: buonissimo). Il miele, il latte, il sale, se in italiano sono tutti di genere maschile in spagnolo sono tutti di genere femminile: la miel, la sal, la leche[7], segno che questi cibi portano con se’ un significato materno, di protezione e di dolcezza e di sapidità.




Passiamo così ai dolci. Devo essere sincera che non ne ho mangiati di buonissimi. C’è il brazo del gitano (il braccio del gitano) che è un rotolo di pan di spagna ottenuto con 12 uova su cui si spande panna e poi si arrotola creando così un rotolo che infonde un senso di forza e possenza. Poi i dolci sono più presi dalla tradizione inglese e americana (cupcakes, brownies ecc) mentre IN OGNI DOVE è un tripudio di CHUCHES: caramelle gommose dal prezzo super economico. Un pacco da un chilo assortito costa da un minimo di 3 euro (al mercato) a un massino di 4.50 se vai in uno dei negozi che caratterizzano le vie di paesi e città. Solo per questo, 90 punti a Grifondoro! Altrimenti, spesso vi potete imbattere in una di queste bancarelle che mostra come mercanzia dolcetti ben impacchettati e sempre attraenti, solo per palati assai golosi e curiosi.

Questa volta, rispetto a tutti gli altri sabato in cui viene allestito il mercato settimanale ad Algemesì, spiccano due stands differenti che, proprio per la loro peculiarità carpisono l’attenzione di molti passanti. Uno stand, è quello tipico che si incontra nei mercatini delle pulci che cercano di valorizzare il vintage, il riuso e il collezionismo da “sepolti in casa”: vecchie riviste, con date anche non molto remote[8]
. Ma senza porsi troppe domande dal sapore campanilistico e nazionalistico che rivelano solo l’inadeguatezza dell’osservatore, passiamo allo stand immediatamente successivo: una tipica esposizione di paramenti tradizionali da toreador. Chi sia Jorge Exposito non saprei ma sicuro che è bravo. Infine questi reportage sono così sommari, così vuoti che avrei molte molte e più esperienze da raccontarvi, da farvi assaporare di questa Spagna, di questa Roma, con incontri di uomini, ognuno con la propria storia: per la strada non sono persone che camminano ma storie viventi che lasciano scie parlanti. Ti toccano, le senti vibrare e fuggono via, al pari di tante tangenti impazzite come vettori in moto centrifugo.
Miriam Di Carlo




[1]Se vi fidate di una che non si è mai ubriacata veramente, meglio per voi.
[2]Ma guarda caso anche Dalì abitava non molto lontano! Toh, coincidenze.
[3]MI rammarico di non aver fatto foto ma appena l’ho visto me lo son mangiato senza pensare troppo: scusasse.
[4]Algemesì è produttrice di pesche e kaki vanigliati duri che vengono posti dentro grandi vasi con alcool al fine di mantenerli duri e dolci per tutto l’inverno: io non li amo molto anche perché, parafrasandomi, va contro la Marcuzzi e il bifidus, effetto opposto in campo straniero significa uomo morto che cammina nel Miglio verde del bagno. Vabbè sciolgo l’allegoria e dico solo: stitichezza.
[6] Se li fate alla romana, ovvero in umido con rosmarino e olio li dovrete ribattezzare fagiuoli al pellicano e non più all’uccelletto.
[7]Curiosità dentro la curiosità anche la parolaccia “Cazzo” trova il suo corrispettivo in spagnolo nella parolaccia “Cono” che sarebbe la vulva detta al maschile: una perversione che ha due versanti di interpretazione, a mio avviso. La prima è che la parolaccia non sia il membro maschile ma la vulva, segno che la donna è sicuramente più libertina rispetto all’Italia. Infatti noi diciamo “Ca***” perché abbiamo una società linguisticamente basata sul maschile (ne faremo un approfondimento a parte). Gli spagnoli si dirigono verso la femmina (e non donna) ma chiamano ciò che attrae della donna con un genere maschile per indicare che è la visione che hanno gli uomini di quell’oggetto. Quindi in fin dei conti meglio accontentarci del nostro “ca***” zitti e chiotti.
[8]E qui viene l’interrogativo? Perché vendere numeri passati di giornali di pettegolezzi che risalgono ad un anno prima o qualche mese prima? Per vedere che faceva il re di Spagna in inverno, per ricordarsi se Nadal aveva fidanzata o no? Non so. 

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