giovedì 30 maggio 2013

Web o non Web? Rodotà e Settis parlano di internet...e non solo.


I miei giornalai di fiducia sono tutti molto simili: hanno pochi capelli e bianchi ma soprattutto indossano adorabili occhialetti da presbiti calati sul naso. Saluto Vittorio il meccanico e poi Natale il suo aiutante, Tonino il parrucchiere e il barista senza-nome, la cinesina che ha appena partorito una meravigliosa bambina e infine arrivo al giornalaio. Oggi davanti all’edicola c’è un signore che interviene subito dopo la mia richiesta “La Repubblica” e mi dice “La Prima, la Seconda o addirittura la Terza?”.

Eh già perché effettivamente per gli storici futuri questo periodo politico apparirà come un nuovo capitolo della Storia Italiana contemporanea ed una delle molteplici cause se non la preponderante risulta essere a mio avviso l’evoluzione tecnologica. L’umanità ho progredito e non è indifferente che la crisi si faccia sentire in tutti i consumi, persino quelli di prima necessità ma che non riesca ad intaccare la tecnologia e in particolare la nanotecnologia.

Ha affrontato l’interrogativo che pone il web, Stefano Rodotà su un articolo de “La Repubblica” di oggi dal titolo “La democrazia del web è vera democrazia?” che consiglio vivamente di leggere perché apre a nuovi spunti di analisi su un processo sfaccettato e multiforme. L’imbarazzo davanti a questo potere comunicativo e la paura se non la diffidenza nella gestione della rete già venne palesata da Benedetto XIV: mentre in alcuni movimenti della Chiesa si diceva che il web fosse strumento perverso ed alienante se non demoniaco, intanto Benedetto XVI apriva il suo account twitter per comunicare. Come tutte le cose va trovata la giusta modalità di applicazione e la possibilità di trarne frutti.
A livello sociale e comunicativo è indubbio che il web mescoli una buona dose di alienazione data da rapporti virtuali e quindi mai immediati e concreti (dando spesso l’illusione di non essere soli) a grandi scambi e dibattiti su tematiche e concetti che alimentano lo scambio più mentale che fisico. All’interno del web però vige una qualche gerarchia e sebbene vi sia una falsa o illusoria possibilità di interagire direttamente con gli alti vertici, esso diventa veramente scambio e interazione nel momento in cui si crea una situazione intimistica e non di massa come invece può essere un blog molto frequentato o twitter: infatti le mille e mille voci, proprio per la grandissima copiosità, si disperdono e alla fine vigono solo le forti personalità riconosciute tramite la loro indiscussa notorietà. Ma il web porta veramente con sé una grande rivoluzione data proprio dal fatto che non è un mezzo passivo, che viene subìto come una tv o un giornale ma dà maggiore possibilità di scelta, di selezione e di interazione che a volte può risultare efficace, magari grazie a una buona dose di fortuna ma anche di talento.
Comunque sia, Rodotà affronta l’argomento dal punto di vista politico e non strettamente comunicativo dimostrando ancora una volta grande lucidità, adattamento ai tempi e spirito critico.
Così come un’altra grandissima personalità che consiglio a tutti di approfondire perché merita: Salvatore Settis. Questo signore ha un Curriculum da urlo ma sono sicura che, come tutti i grandi colti potrebbe tranquillamente dire “So di non sapere”. Ha stilato ben 15 tesi e oggi presenterà al Teatro Piccolo Eliseo un evento con Civati e Barca. Riporto le sue tesi che danno una descrizione efficace e quanto mai valida sulla situazione che stiamo vivendo:


SETTIS - LA CULTURA SCENDE IN CAMPO. Quindici tesi sull’Italia 
di Salvatore Settis
LEFT, 25 MAGGIO 2013

1. La crisi della democrazia rappresentativa, presente ovunque, è particolarmente grave in Italia, a causa di due peculiarità del suo sistema politico: la legittimazione di un leader (Berlusconi) che non avrebbe titolo ad esser tale sia per i conflitti di interesse che per i reati comuni di cui è accusato, e una legge elettorale (il Porcellum) iniqua e anticostituzionale.

2. Un governo di “larghe intese”, che capovolge il responso delle urne, aggrava ulteriormente questa crisi, inseguendo l’impossibile modello di una democrazia senza popolo.

3. La natura estrema di questa crisi non colloca l’Italia fuori dal contesto mondiale. Al contrario, ne fa un caso-limite (per ciò stesso esemplare) di crisi della democrazia. Quello che accadrà in Italia (la vittoria della casta politica contro l’elettorato, o la riscossa dei cittadini) è perciò di grande rilevanza nel quadro globale. Grande è la nostra responsabilità.

4. Ingranaggio-chiave della crisi della democrazia è la dominanza dei mercati, cioè di persone, gruppi di interesse, lobbies bancarie e finanziarie che determinano il corso dell’economia. Queste oligarchie, in quanto sfuggono ad ogni controllo democratico, sono la vera e sola “antipolitica”. L'Europa si è ridotta ad essere il territorio di caccia di queste oligarchie e tecnocrazie, e le scelte politiche italiane viaggiano con questo «pilota automatico», secondo la frase di Mario Draghi. Su questa tendenza si sono appiattite in Italia tanto la destra quanto la “sinistra”, che ha con ciò rinunciato alla propria missione storica di difensore dei diritti dei cittadini, nascondendosi dietro un passivo “ce lo chiede l’Europa”.

5. La dominanza dei mercati, con la complicità della politica, genera (in Italia come altrove) un’ “austerità” che non crea ricchezza, ma la concentra nelle mani di pochi; pone il lavoro e la dignità della persona al servizio del mercato; mortifica libertà e uguaglianza comprimendo la spesa e i servizi sociali; innesca disoccupazione, disagio sociale, emarginazione, povertà.

6. L’anestesia che ci viene proposta come “pacificazione” o “responsabilità” consiste non solo nell’annientare le differenze fra “destra” e “sinistra”, ma anche nel chiudere gli occhi davanti ai problemi dei cittadini in ossequio alla dittatura dei mercati. Questa è stata la base e del “governo tecnico”, fase di rodaggio delle “larghe intese” oggi all’opera. Ma gli inviti all’amnesia vanno respinti perché sono contro gli interessi dei cittadini e contro la legalità costituzionale.

7. Il progetto di “democrazia senza popolo” sussiste perché l’antica funzione dei partiti come luogo di riflessione e di progettazione è morta. Quel che resta degli apparati di partito si è trasformato in un macchinario del consenso, fondato sulla perpetuazione dei meccanismi e delle caste del potere.

8. Una parte larghissima del Paese esprime una radicale opposizione a questo corso delle cose. Lo fa secondo modalità diverse, anzi divergenti: (a) la sfiducia nello Stato e il rifugio nell’astensionismo; (b) gesti individuali di protesta (fino al suicidio); (c) vasti movimenti che si trasformano in partito, come il M5S; (d) piccole associazioni di scopo, dichiaratamente non-partitiche, per l’ambiente, la salute, la giustizia, la democrazia. Queste ultime sono ormai alcune decine di migliaia, e coinvolgono non meno di 5-8 milion di cittadini. E’ a partire dall’autocoscienza collettiva generata da questo associazionismo diffuso (ma anche nei sindacati) che si può avviare la necessaria opera di restauro della democrazia.

9. Queste forme di opposizione “vedono” quel che sembra sfuggire a chi ci governa: il crescente baratro che si è aperto fra l’orizzonte delle nostre aspirazioni e dei nostri diritti e le pratiche di governo. Tuttavia, le associazioni e i movimenti, pur generando anticorpi spontanei alle pratiche antidemocratiche, stentano a trovare un denominatore comune, un manifesto che possa tradursi in azione politica.

10. Questo manifesto esiste già. E’ la Costituzione della Repubblica. Essa va studiata e rilanciata come la Carta dei diritti della persona e della collettività, che corrisponde in grandissima parte all’orizzonte delle aspirazioni e agli anticorpi spontanei della protesta.

11. Costituzione alla mano, l’universo dei movimenti e delle associazioni si può rivelare a un tempo stesso come il sintomo di un malessere e la cura della democrazia italiana. Sintomo, perché mette allo scoperto il carattere anti-democratico della politica “ufficiale”. Cura, perché i movimenti sono un serbatoio di idee, di elaborazioni, di progetti, di riflessioni, nell’esercizio del diritto di resistenza (che, secondo la Costituzione della Repubblica Partenopea del 1799, è «il baluardo di tutti i diritti»).

12. Questa forma di resistenza civile in nome del bene comune (che la Costituzione definisce “interesse della collettività” o “utilità sociale”) va intesa come adversary democracy : e cioè come l’esercizio pieno della cittadinanza, che non si esaurisce nel voto, ma si estende a una continua vigilanza critica e capacità propositiva. Essa non sostituisce la rappresentanza politica, ma si affianca ad essa, la controlla e la stimola. Non è contro la democrazia: al contrario, intende salvare la democrazia mediante la partecipazione dei cittadini, secondo il disegno della Costituzione.

13. La Costituzione non va intesa come una litania di articoli staccati, ma come una salda architettura di principi, coerente e inscindibile. L’adversary democracy va esercitata partendo simultaneamente dalla consapevolezza dei propri diritti e dalla difesa della legalità costituzionale. In nome della Costituzione vanno rimesse in onore le vittime sacrificali della presente dittatura dei mercati: le regole della politica e i pilastri del progresso sociale (politiche del lavoro, welfare state, diritto alla cultura e alla salute).

14. Nel crepuscolo della democrazia, è possibile, desiderabile, necessario ripartire dai movimenti per riformare i partiti e i sindacati, per ricreare la cultura politica che muove le regole.

15. Salvaguardare la Costituzione negando legittimità a qualsivoglia “Costituente” autonominatasi è precondizione necessaria del ritorno a una piena democrazia costituzionale. E’ urgente, piuttosto, l’alfabetizzazione costituzionale dei cittadini, simile a quella promossa dal Ministero per la Costituente (governi Parri e De Gasperi, 1945-46). Perché «ogni legislatore dev’esser guidato, sorretto, confortato dalla coscienza del suo popolo» (A.C. Jemolo).

P.S. Se il M5S avesse sfruttato anche altri mezzi di comunicazione che non fosse il semplice e solo web, come la tribuna televisiva avrebbe avuto maggiore visibilità la propria intrinseca innovazione  (nonché le proposte avanzate) e non sarebbe stato bollato come il Movimento dello scontrino. 
Miriam Di Carlo. 

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