[Per chi tifate? I due redattori a confronto. I due Pd a
confronto. Face-to-face, la nuova rubrica liquida.]
Bianca stavolta non ha vinto. Si è fermata a quota 15. La
famiglia si stringe intorno alla favorita degli scorsi scrutini, eppure ci
aveva sperato fino all’ultimo. In compenso svettano due nomi forti: Prodi e
Rodotà. Ora che significano questi due nomi per il centrosinistra? PRODOTA’.
90-60-90 dovrebbero essere le misure favorite dalla
donna-Italia e invece ci troviamo di fronte una piattezza caratterizzata da
30-30-30: centrodestra, centrosinistra e M5S sono le misure di una nuova tavola
da surf in cui il punto vita non è l’ago della bilancia e non può determinare
un bel niente. In questo quadro bisogna garantire che tutte e tre le fette di
elettorato vengano rappresentate in quella personalità super partes che è appunto il Presidente della Repubblica Italiana.
Gli italiani del 1946 decisero così: una Repubblica parlamentare e presidenzialista (non presidenziale) in cui il
ruolo che di solito era rivestito da un sangue-blu ora è in mano ad una
personalità politica condivisa dai grandi elettori. MA. C’è sempre un ma:
condizione necessaria e sufficiente secondo il primo postulato della Repubblica
presidenzialista, bisogna che codesta personalità faccia scorrere nelle sue
vene, non sangue reale, ma sangue costituzionale ovvero la linfa vitale di uno
stato contemporaneo. Detto ciò arriviamo a Prodotà.
Prodi. Perché? Fondatore de L’Ulivo, icona
dell’anti-berlusconismo, grande economista. Poco eloquente non rappresenta una
buona fetta del Pd, Sel (che si è dichiarato a favore di Rodotà) e tutti gli
altri schieramenti, tranne qualche timido nome di Scelta Civica che però si è
trovato a convergere su Cancellieri. Una personalità troppo implicata
politicamente, che ha invaso le televisioni nelle tribune politiche nello
scontro pre-elettorale con Berlusconi, una personalità che non rappresenta più
del 60% dell’elettorato italiano. Infatti non accorda su di lui né il M5S né il
PdL e quella buona parte del centrosinistra che ricordavamo. In un popolo di
capricciosi come il nostro, certo qualcuno ne dovrà pur uscire scontento, ma
non così tanti.
Se si vuole tagliare con il passato, se si vuole cambiare, di
certo la risposta ecumenica non è Prodi-per-il-bene-comune ma qualcun altro,
qualcun altro che è stato gridato a gran voce da tanti, forse troppi.
Egli è Stefano Rodotà. Perché? Mesi e mesi di turbamenti, la
voglia di trovare un canale di dialogo con il M5S, appelli come se piovessero,
preghiere e battimenti di petto finché quando si ha possibilità di dialogare,
si chiude la porta e si impuntano i piedi. Perché non Rodotà? Una personalità
indipendente, super partes, che si è
battuta per i diritti civili, che mangia pane e Costituzione, che l’ha data a
bere ad Alf-Alf, che è eloquente e ancora sveglio (con tutto rispetto per
Prodi, che stimo, ma non si può dire altrettanto di lui), che si dichiara
detentore di quella struttura sovra popolare che è la Costituzione citando
Platone e vedendo l’unità e non il particolare.
Perché no? Ve lo dico io
perché. Per paura dei cattolici. Sono cattolica, credente, pratico un cammino
di fede, amo Papa Francesco. Ma non mi sento rappresentata da chi pensa che
Rodotà sia una scelta anti-cattolica solo perché si schierò a favore
dell’eutanasia della Englaro. Disse una cosa sacrosanta: i nuovi mezzi
scientifici rendono le vite più lunghe, fanno sì che corpi rimangano in vita
con l’inevitabile conseguenza che anime rimangano intrappolate in una non-vita,
un limbo, in cui non possono stare né in terra né salire al cielo, dal Padre.
Quanto può essere vera questa realtà? Troppo.
Una scelta come Rodotà, non solo
renderebbe il Pd più consapevole e meno ipocrita, non solo compatterebbe Sel,
non solo farebbe riflettere anche sulla laicità dello Stato, non solo
tutelerebbe la Carta Costituente contro lo sciacallaggio di Berlusconi ma
soprattutto aprirebbe quel ponte, quella comunicazione tanto cercata e tanto
voluta con il M5S, dando un segnale di apertura, condivisione e rispetto che
sono i presupposti per camminare tutti quanti insieme. No. Il Pd non ce la fa
proprio. Rimane sempre fuori, autolesionista, imbrigliato nei suoi stessi lacci
e lacciuoli. Eppure potrebbe essere il grande Gulliver che si sveglia nel paese
dei Lillipuziani , potrebbe togliersi tutti quei fili stupidi che pretendono di
paralizzarlo. No, il Gulliver ha preferito l’altra strada, quella di sentirsi
sempre un eterno piccolo.
E poi Prodi Presidente della Repubblica. Credo che gli serva
un buon ghostwriter ma soprattutto un
insegnate di solfeggio che gli insegni l’Allegro e non l’Adagio. A conti fatti, alla fine di questa giornata vediamo due
grandi realtà rappresentate dalle manifestazioni di piazza: da una parte
l’Italia giovane, idealista, sognatrice caratterizzata dai grandi tifosi che
urlano “Ro-do-tà, Ro-do-tà”. Si sa, noi italiani dobbiamo sempre trovare un
modo per tifare, e più tifiamo, più ci accaniamo e le questioni diventano
principi da difendere con unghie, denti e ogni parte contundente del corpo
umano. Dall’altra un’Italia vecchia, che
sebbene si creda di essere ben ingiacchettata in realtà ha vissuto in una
eterna sagra di paese, con balletti collettivi in pazza, il sottofondo di
musiche improbabili come il tango di Fausto Pacetti e in mezzo una bella
tavolata dove si distribuisce pane e mortadella. Ricordiamo solo che la
Mortadella ce la invidiano in tutta Europa, al pari della mozzarella e del
caciocavallo.
Miriam Di Carlo.
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