venerdì 19 aprile 2013

Caciocavallo che l’erba cresce.


[Per chi tifate? I due redattori a confronto. I due Pd a confronto. Face-to-face, la nuova rubrica liquida.]

Bianca stavolta non ha vinto. Si è fermata a quota 15. La famiglia si stringe intorno alla favorita degli scorsi scrutini, eppure ci aveva sperato fino all’ultimo. In compenso svettano due nomi forti: Prodi e Rodotà. Ora che significano questi due nomi per il centrosinistra? PRODOTA’.

90-60-90 dovrebbero essere le misure favorite dalla donna-Italia e invece ci troviamo di fronte una piattezza caratterizzata da 30-30-30: centrodestra, centrosinistra e M5S sono le misure di una nuova tavola da surf in cui il punto vita non è l’ago della bilancia e non può determinare un bel niente. In questo quadro bisogna garantire che tutte e tre le fette di elettorato vengano rappresentate in quella personalità super partes che è appunto il Presidente della Repubblica Italiana. Gli italiani del 1946 decisero così: una Repubblica parlamentare e presidenzialista (non presidenziale)  in cui il ruolo che di solito era rivestito da un sangue-blu ora è in mano ad una personalità politica condivisa dai grandi elettori. MA. C’è sempre un ma: condizione necessaria e sufficiente secondo il primo postulato della Repubblica presidenzialista, bisogna che codesta personalità faccia scorrere nelle sue vene, non sangue reale, ma sangue costituzionale ovvero la linfa vitale di uno stato contemporaneo. Detto ciò arriviamo a Prodotà.

Prodi. Perché? Fondatore de L’Ulivo, icona dell’anti-berlusconismo, grande economista. Poco eloquente non rappresenta una buona fetta del Pd, Sel (che si è dichiarato a favore di Rodotà) e tutti gli altri schieramenti, tranne qualche timido nome di Scelta Civica che però si è trovato a convergere su Cancellieri. Una personalità troppo implicata politicamente, che ha invaso le televisioni nelle tribune politiche nello scontro pre-elettorale con Berlusconi, una personalità che non rappresenta più del 60% dell’elettorato italiano. Infatti non accorda su di lui né il M5S né il PdL e quella buona parte del centrosinistra che ricordavamo. In un popolo di capricciosi come il nostro, certo qualcuno ne dovrà pur uscire scontento, ma non così tanti. 

Se si vuole tagliare con il passato, se si vuole cambiare, di certo la risposta ecumenica non è Prodi-per-il-bene-comune ma qualcun altro, qualcun altro che è stato gridato a gran voce da tanti, forse troppi.
Egli è Stefano Rodotà. Perché? Mesi e mesi di turbamenti, la voglia di trovare un canale di dialogo con il M5S, appelli come se piovessero, preghiere e battimenti di petto finché quando si ha possibilità di dialogare, si chiude la porta e si impuntano i piedi. Perché non Rodotà? Una personalità indipendente, super partes, che si è battuta per i diritti civili, che mangia pane e Costituzione, che l’ha data a bere ad Alf-Alf, che è eloquente e ancora sveglio (con tutto rispetto per Prodi, che stimo, ma non si può dire altrettanto di lui), che si dichiara detentore di quella struttura sovra popolare che è la Costituzione citando Platone e vedendo l’unità e non il particolare

Perché no? Ve lo dico io perché. Per paura dei cattolici. Sono cattolica, credente, pratico un cammino di fede, amo Papa Francesco. Ma non mi sento rappresentata da chi pensa che Rodotà sia una scelta anti-cattolica solo perché si schierò a favore dell’eutanasia della Englaro. Disse una cosa sacrosanta: i nuovi mezzi scientifici rendono le vite più lunghe, fanno sì che corpi rimangano in vita con l’inevitabile conseguenza che anime rimangano intrappolate in una non-vita, un limbo, in cui non possono stare né in terra né salire al cielo, dal Padre. Quanto può essere vera questa realtà? Troppo. 

Una scelta come Rodotà, non solo renderebbe il Pd più consapevole e meno ipocrita, non solo compatterebbe Sel, non solo farebbe riflettere anche sulla laicità dello Stato, non solo tutelerebbe la Carta Costituente contro lo sciacallaggio di Berlusconi ma soprattutto aprirebbe quel ponte, quella comunicazione tanto cercata e tanto voluta con il M5S, dando un segnale di apertura, condivisione e rispetto che sono i presupposti per camminare tutti quanti insieme. No. Il Pd non ce la fa proprio. Rimane sempre fuori, autolesionista, imbrigliato nei suoi stessi lacci e lacciuoli. Eppure potrebbe essere il grande Gulliver che si sveglia nel paese dei Lillipuziani , potrebbe togliersi tutti quei fili stupidi che pretendono di paralizzarlo. No, il Gulliver ha preferito l’altra strada, quella di sentirsi sempre un eterno piccolo.

E poi Prodi Presidente della Repubblica. Credo che gli serva un buon ghostwriter ma soprattutto un insegnate di solfeggio che gli insegni l’Allegro e non l’Adagio. A conti fatti, alla fine di questa giornata vediamo due grandi realtà rappresentate dalle manifestazioni di piazza: da una parte l’Italia giovane, idealista, sognatrice caratterizzata dai grandi tifosi che urlano “Ro-do-tà, Ro-do-tà”. Si sa, noi italiani dobbiamo sempre trovare un modo per tifare, e più tifiamo, più ci accaniamo e le questioni diventano principi da difendere con unghie, denti e ogni parte contundente del corpo umano. Dall’altra un’Italia vecchia, che sebbene si creda di essere ben ingiacchettata in realtà ha vissuto in una eterna sagra di paese, con balletti collettivi in pazza, il sottofondo di musiche improbabili come il tango di Fausto Pacetti e in mezzo una bella tavolata dove si distribuisce pane e mortadella. Ricordiamo solo che la Mortadella ce la invidiano in tutta Europa, al pari della mozzarella e del caciocavallo.

Miriam Di Carlo.

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