lunedì 15 aprile 2013

Il Quirinale: tra parole nuove e strategie comunicative di elezione.

Quirinarie, totoquirinale. La proliferazione di nuove parole in questo preciso momento storico non ha eguali nella storia dell’italiano: il motivo è dato proprio dal web. Parole che poi inevitabilmente periranno e si andranno a perdere nel grande catalogo del dimenticatoio. Negli anni passati ha contribuito alla creazione di neologismi il giornalismo cartaceo: Giovanni Adamo e Valeria Della Valle stilano un dizionario di 2006 parole nuove prese dai giornali. Cito solamente dylanologo che dubito possa essere considerata una vera e propria entrata quanto un occasionalismo che indica “l’esperto di Bob Dylan”. 

Ora in questi giorni siamo stati bombardati da due neologismi interessanti e sicuramente audaci che hanno solleticato l’interesse del pubblico italiano davanti allo spettacolo politico (secondo atto circa). Meno originale totoquirinale che ricorda il recente totopapa (il quale aveva dato per certa l’elezione del cardinale Scola). Da ricordare la serie formata da toto-: toto-assessore, toto-commissione, totonome, toto-poltrone, toto-pontefice, toto-sentenza, toto-ticket. Non è quindi una grande novità dal punto di vista linguistico né dal punto di vista sociale: noi italiani siamo abituati a fare scommesse sul futuro, attraverso voli di uccelli, analisi di fegati e rossi di sera. 

Ma l’innovazione più sorprendente arriva insieme a Quirinarie. Che sono? La fine della parola (il suffisso appunto) non ricorda tanto le coronarie quanto le primarie tanto amate dal Pd. Se le primarie decidono piccoli vertici che poi dovrebbero svilupparsi politicamente, le Quirinarie servono per dare IL CANDIDATO PRINCIPE che una buona fetta parlamentare dovrebbe proporre. 

Innovazione linguistica ma anche concettuale: perché? Perché dover mettere voce sull'elezione della più alta carica dello Stato? Non ci si fida abbastanza degli eletti del MoVimento o si vuole ancora dare la parvenza che la democrazia diretta liquida funzioni? Il più grande pericolo è che al pari dei tanti occasionalismi, anche questa innovazione informatica sia destinata a perdersi come granello di sabbia in un deserto sterminato dei post, troll e mitologici espedienti futuristi. 

Che poi fra tutti i nomi figuri quello di Grillo, rende il tutto un macabro gioco che avvalora le più sagaci interpretazioni storicistiche del fenomeno a 5 stelle: gli elettori hanno votato fondamentalmente una persona e non una conoscenza competente. E quella persona è la stessa che ha messo il suo nome sul logo, sul simbolo da barrare durante le elezioni al pari di Berlusconi. Il quale però sotto Fratelli d’Italia di retorica memoria, pone solo il suo cognome, mentre sul logo del Movimento abbiamo BeppeGrillo.it: non solo nome e cognome ma anche pubblicità del suo blog. Vai e vedi. Vieni e vedimi. Te la do io la medicina contro ogni male. Ed ecco il ruolo messianico del candidato numero uno contro uno (riprendendo una risposta tweet di Vittorio Zucconi a una mia provocazione “A quanto lo danno i bookmaker? Uno contro uno?”) che si propone come un grande salvatore dell’umanità: ha fatto carriera al pari del mago Otelma, al pari di Giucas Casella. 

Infatti il nostro paese è il più grande follower non tanto dell’informazione culturale quanto dei maghi in tv, grandi risolutori di infiniti turbamenti interiori, grandi profeti che non hanno bisogno di fegati o voli di uccelli ma di un mazzo di carte e un numero telefonico a pagamento. L’analogia è inquietante ma lasciamola ai grandi interpreti della società. Basta solo considerare la linguistica di Grillo: “Spargete il verbo”. Classica eco biblica in cui a differenza della Bibbia ci si richiama direttamente ad un voi, che proprio per il segno di appartenenza a quella cerchia deve adempiere ad un compito di tutela e sopravvivenza del Movimento: come? Soddisfare l’ordine dall’alto. 

Mentre nel Vangelo il monito viene posto sempre come una terza persona singolare o plurale “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”, “Beati i … perché di essi è”, qui la strategia consiste nel rivolgersi direttamente al proprio mittente non lasciandogli via di scampo. “Collegati ora” e poi Grillo allega il link: oltre al comando diretto c’è anche la facilitazione per compiere l’azione, ovvero il link a portata di mano. Paolo Bonolis ebbe tanto successo in televisione perché fu uno dei pochi che si rivolse direttamente alla macchina da presa. Il pubblico aveva l’impressione di essere chiamato direttamente a casa dal presentatore e pensava fosse parte integrante dello show. 

Grillo fa esattamente ciò: dà l’illusione che l’altro possa essere parte integrante del grande meccanismo che si cela dietro il suo show. La trasparenza non è mai stata tanto opaca: infatti la trasparenza si attua attraverso rapporti umani diretti, sotto la luce del sole, davanti a giornali, mezzi televisivi che non pongano diaframmi. Abbiamo una buona idea di chi sia Papa Francesco proprio perché lo vediamo trasparente senza fogli, scartoffie di riferimento e in continua vetrina: è la luce del sole. Ma Grillo no. Si cela, come tutta la nuova società dietro al classico schermo, che a differenza della televisione è ancora più oscuro e manipolabile. Basta solo un buon hacker o informatico che sia.

Miriam Di Carlo.

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