Riporto l'esperienza della messa tenuta da papa Francesco a San Paolo fuori le mura. Scritta subito dopo.
Un peccato non averlo saputo prima: papa Francesco verrà a
celebrare la messa proprio alla basilica di San Paolo fuori le mura, basilica
nella quale tante volte mi sono recata per pregare durante i buchi tra le
lezioni universitarie. Un dispiacere non averlo saputo prima: serviva il
biglietto. Vado comunque e sono abbagliata dal bianco del marmo della basilica
questa volta macchiato da tante figurine nere che si affaccendano operose
intorno al perimetro della chiesa: è il formicaio brulicante che gravita intorno
a Francesco. Ma Papa Bergoglio non si respira da queste novità formali: no,
Francesco si vede in quei bellissimi alberi di Giuda che sono fioriti proprio
davanti a San Paolo, segno di una primavera di misericordia che si rinnova ogni
anno e che in questo 2013 ha un profumo particolare. Si respira in quegli
alberi di Giuda perché Francesco parlò di misericordia divina: qualcosa di
enorme che significa dimenticanza totale del male subito dagli altri e da noi
stessi, troppo incapaci,al pari di Giuda di perdonarci o di perdonare le nostre
storie. Ma papa Bergoglio si basa sulla speranza, sulla gioia, sul futuro e
guarda in alto: oggi il cielo è terso e fa un caldo quasi estivo. Mi accodo ad
un gruppo di suore passioniste: anche loro come me non hanno il pass ma tentiamo tutte insieme di entrare
dalla porta principale dove solo chi ha il biglietto è ammesso. La fila è
enorme, una sorella si lascia scappare una battuta “Questo papa riesce a muovere
anche le montagne”. Effettivamente la gente è inaspettatamente numerosa e tale
numerosità reca qualche problema agli addetti alla sicurezza: sono le 17 e
ancora la fila non si sblocca. Noi senza pass,
finché cominciamo a chiedere e… otteniamo. Chi da un gruppo romeno, chi da un
gruppo argentino e infine tutte quante abbiamo il nostro biglietto viola per
entrare. La fila magicamente si sblocca e ci troviamo dentro quella basilica
che tante volte mi è sembrata maestosamente imponente e che ora invece, per la
copiosità della folla appare più a misura d’uomo. Abbandono le mie care
compagne di avventura e mi perdo tra altri fedeli: voglio andare avanti,
provare ad arrivare vicino e vederlo. Così riesco nell’intento, sto nella
navata destra proprio davanti alle transenne appoggiata alla protezione di
legno che separa i fedeli dalle autorità. Sono felice: ci sono tanti giovani,
tanti ragazzi che come me credono in Dio e lo seguono. Tanti studenti anche di
Roma Tre: molti leggono le letture e le preghiere dei fedeli. Sono felice anche
perché quell’oro del mosaico dell’abside brilla di povertà beata, sono felice perché
papa Bergoglio arriva e va a pregare sulla tomba di San Paolo. In quel luogo
dove anche io mi sono inginocchiata tante volte per meditare davanti alle
catene del Santo. Poi le parole di Francesco: nuove, un altro passo del vescovo
con il suo popolo. Questa volta parla di altre tre concetti cardine: essi sono
annunciare, testimoniare, adorare. Annunciare e testimoniare Dio. Come? Il
vescovo di Roma ci dà la risposta, attraverso la meditazione del vero idolo
della propria vita. Ogni storia è costellata da falsi idoli che si impossessano
del nostro tempo e del protenderci verso l’amore di Dio: sono il carrierismo,
l’affermazione personale, il potere e tanti altri idoli che nascondiamo agli
altri e a noi stessi e che ci impediscono di vedere la luce di Dio. Ma l’idolo
più importante siamo noi stessi e l’incapacità di retrocedere davanti ai fatti
della vita, incapacità di vedere che noi non siamo padroni della nostra esistenza,
né artefici, né progettisti ma semplici fautori dell’amore di Dio. L’annuncio
avviene attraverso l’atto quotidiano, le opere che testimoniamo ogni giorno
nella famiglia, nell’ambiente di lavoro, tra gli amici e conoscenti: una sorta
di classe media della testimonianza. Poi papa Francesco distacca gli occhi dal
foglio e si lancia in una meditazione estemporanea: prende proprio come esempio
la predicazione di Francesco d’Assisi che diceva “Testimoniate anche se c’è
bisogno, con le parole”. E tutti si illuminano di sorrisi, in una ironia straniante per chi vive
in una società spesso fondata sul valore della parola-apparenza e che tutto sa trasformare
e imbellettare. Poi finisce con una grande serenità della voce e tanti
ringraziamenti. Per me, ragazza, ha dato una luce nuova, un passo da compiere
insieme per arrivare all’ umiltà e poter vivere in Cristo. Poi i riti, la
comunione, il forte odore d’incenso e infine la benedizione mentre tutti urlano
“Francesco!!”. La sicurezza preoccupata è allerta per prevedere qualche gesto
improvviso e di slancio del nuovo papa. Infine esco parlando con due signore,
condividendo emozioni, visioni del presente ma con la ferma convinzione che non
bisogna giudicare i nostri cari, i nostri vicini, la nostra storia ma
soprattutto il nostro tempo. Per i giovani è la rivoluzione della primavera che
ha come monito il colore dello spirito: come Francesco d’Assisi, la Chiesa ha
acquisito il grande giullare di Dio che lo Spirito ha posto come pastore delle
tante luci di speranza spesso offuscate da questo secolo buio.
Miriam Di Carlo
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