venerdì 10 maggio 2013

Gli alberi di Papa Francesco sono i giovani: fiorisce la speranza in questa primavera.


Riporto l'esperienza della messa tenuta da papa Francesco a San Paolo fuori le mura. Scritta subito dopo. 

Un peccato non averlo saputo prima: papa Francesco verrà a celebrare la messa proprio alla basilica di San Paolo fuori le mura, basilica nella quale tante volte mi sono recata per pregare durante i buchi tra le lezioni universitarie. Un dispiacere non averlo saputo prima: serviva il biglietto. Vado comunque e sono abbagliata dal bianco del marmo della basilica questa volta macchiato da tante figurine nere che si affaccendano operose intorno al perimetro della chiesa: è il formicaio brulicante che gravita intorno a Francesco. Ma Papa Bergoglio non si respira da queste novità formali: no, Francesco si vede in quei bellissimi alberi di Giuda che sono fioriti proprio davanti a San Paolo, segno di una primavera di misericordia che si rinnova ogni anno e che in questo 2013 ha un profumo particolare. Si respira in quegli alberi di Giuda perché Francesco parlò di misericordia divina: qualcosa di enorme che significa dimenticanza totale del male subito dagli altri e da noi stessi, troppo incapaci,al pari di Giuda di perdonarci o di perdonare le nostre storie. Ma papa Bergoglio si basa sulla speranza, sulla gioia, sul futuro e guarda in alto: oggi il cielo è terso e fa un caldo quasi estivo. Mi accodo ad un gruppo di suore passioniste: anche loro come me non hanno il pass ma tentiamo tutte insieme di entrare dalla porta principale dove solo chi ha il biglietto è ammesso. La fila è enorme, una sorella si lascia scappare una battuta “Questo papa riesce a muovere anche le montagne”. Effettivamente la gente è inaspettatamente numerosa e tale numerosità reca qualche problema agli addetti alla sicurezza: sono le 17 e ancora la fila non si sblocca. Noi senza pass, finché cominciamo a chiedere e… otteniamo. Chi da un gruppo romeno, chi da un gruppo argentino e infine tutte quante abbiamo il nostro biglietto viola per entrare. La fila magicamente si sblocca e ci troviamo dentro quella basilica che tante volte mi è sembrata maestosamente imponente e che ora invece, per la copiosità della folla appare più a misura d’uomo. Abbandono le mie care compagne di avventura e mi perdo tra altri fedeli: voglio andare avanti, provare ad arrivare vicino e vederlo. Così riesco nell’intento, sto nella navata destra proprio davanti alle transenne appoggiata alla protezione di legno che separa i fedeli dalle autorità. Sono felice: ci sono tanti giovani, tanti ragazzi che come me credono in Dio e lo seguono. Tanti studenti anche di Roma Tre: molti leggono le letture e le preghiere dei fedeli. Sono felice anche perché quell’oro del mosaico dell’abside brilla di povertà beata, sono felice perché papa Bergoglio arriva e va a pregare sulla tomba di San Paolo. In quel luogo dove anche io mi sono inginocchiata tante volte per meditare davanti alle catene del Santo. Poi le parole di Francesco: nuove, un altro passo del vescovo con il suo popolo. Questa volta parla di altre tre concetti cardine: essi sono annunciare, testimoniare, adorare. Annunciare e testimoniare Dio. Come? Il vescovo di Roma ci dà la risposta, attraverso la meditazione del vero idolo della propria vita. Ogni storia è costellata da falsi idoli che si impossessano del nostro tempo e del protenderci verso l’amore di Dio: sono il carrierismo, l’affermazione personale, il potere e tanti altri idoli che nascondiamo agli altri e a noi stessi e che ci impediscono di vedere la luce di Dio. Ma l’idolo più importante siamo noi stessi e l’incapacità di retrocedere davanti ai fatti della vita, incapacità di vedere che noi non siamo padroni della nostra esistenza, né artefici, né progettisti ma semplici fautori dell’amore di Dio. L’annuncio avviene attraverso l’atto quotidiano, le opere che testimoniamo ogni giorno nella famiglia, nell’ambiente di lavoro, tra gli amici e conoscenti: una sorta di classe media della testimonianza. Poi papa Francesco distacca gli occhi dal foglio e si lancia in una meditazione estemporanea: prende proprio come esempio la predicazione di Francesco d’Assisi che diceva “Testimoniate anche se c’è bisogno, con le parole”. E tutti si illuminano di  sorrisi, in una ironia straniante per chi vive in una società spesso fondata sul valore della parola-apparenza e che tutto sa trasformare e imbellettare. Poi finisce con una grande serenità della voce e tanti ringraziamenti. Per me, ragazza, ha dato una luce nuova, un passo da compiere insieme per arrivare all’ umiltà e poter vivere in Cristo. Poi i riti, la comunione, il forte odore d’incenso e infine la benedizione mentre tutti urlano “Francesco!!”. La sicurezza preoccupata è allerta per prevedere qualche gesto improvviso e di slancio del nuovo papa. Infine esco parlando con due signore, condividendo emozioni, visioni del presente ma con la ferma convinzione che non bisogna giudicare i nostri cari, i nostri vicini, la nostra storia ma soprattutto il nostro tempo. Per i giovani è la rivoluzione della primavera che ha come monito il colore dello spirito: come Francesco d’Assisi, la Chiesa ha acquisito il grande giullare di Dio che lo Spirito ha posto come pastore delle tante luci di speranza spesso offuscate da questo secolo buio.
Miriam Di Carlo




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