Il divo Giulio.
Su Giulio Andreotti sono state dette troppe cose e ora la sua morte segna una Repubblica ormai sfumata in cui il patto con il demonio era considerato il segno per mantenere il potere. Belzebù lo chiamava la Repubblica il 28 Marzo 1993: sopra una vignetta dal sapore satanico di Forattini campeggiava il titolone “Ora tocca a Belzebù: Andreotti indagato per associazione mafiosa”. Un uomo calibrato, ironico, distaccato, freddo calcolatore poco affabulatore. Entra a Montecitorio nel 1948 e diventa per ben 7 volte Presidente del Consiglio non rivestendo mai il ruolo di segretario della DC. Ma significa qualcosa? La corrente andreottiana della DC era la più forte se non la DC stessa: affascinato da De Gasperi usava andare a messa e confessarsi ma i suoi peccati muoiono con lui in questo giorno. Seppe mantenere uno stato forte ma a che compromessi? Montanelli cercò di svelarli ma invano: sempre indenne uscì fuori da tutti i terremoti che attraversarono la sua carriera politica da lui stesso vista come malattia incurabile: lo scandalo della P2 (1981), il rapimento Moro, Tangentopoli e gli affari di mafia. A proposito di questi ultimi, la sua figura era talmente tanto correlata all’immaginario mafioso che non riuscì a diventare Presidente della Repubblica. Si preferì Oscar Luigi Scalfaro. Chissà se è vera la supposizione di Sorrentino ne “il Divo” quando mette nei sogni di Giulio quel rimorso per non essere sceso a compromessi con le Brigate Rosse al fine di liberare Moro. Non lo sapremo mai: una figura torbida, mai svelata, mai impattata con il popolo italiano come invece fu Craxi con quella maledetta pioggia di monetine. Lui fu come l’idea nell’Iperuranio: irraggiungibile, intangibile, imperscrutabile, tant’è che la notizia della sua morte fatica a essere creduta fino in fondo. Andreotti non muore mai.
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