“Non abbiamo avuto un impero coloniale come l'Inghilterra,
come la Francia, come l'Olanda o la Spagna. Non abbiamo alle spalle un
olocausto enorme come la Germania: per questo non dobbiamo scontare nulla e non
sentiamo il desiderio di confessare i nostri peccati tramite l'integrazione.
Ammirazione da una parte (perché non abbiamo grandi peccati) ma anche tanta
disapprovazione per non aver mai tentato di guardare all'altro non come diverso
ma come complementare. Un'Italia retrograda data dalla poca forza che ha sempre
avuto. ”
Commentando su Facebook questa prefazione ad un articolo di Generazioni Perduta (“Tra neri,
donne e web: tre questioni sociali. CI approfondisiZZiamo”, di sabato del 4
maggio 2013), mi è stata offerta la possibilità di scriverne uno per motivare
la mia posizione. Be’, ecco la possibilità:
Noi, il popolo italiano, la Brava gente, pur non essendo
riusciti (però ci abbiamo provato, e, scusate il momento odorante d’incenso,
una delle cose che si imparanoa a catechismo è che la colpa si commette anche
in pensiero) a conseguire un impero coloniale imponente come quelli francese e
britannico nel corso del XIX e del XX secolo, siamo riusciti a fare comunque la
nostra bella dose di morti, violenze e stupri, che sono immancabili compagni di
un’avventura lievemente liberticida come il colonialismo.
Eritrea, Somalia, Libia, Etiopia, Dodecaneso.
Fare una carrellata completa dei fattacci richiederebbe molti caratteri di battitura, nonché una conoscenza
specialistica che mi manca, però posso ricordare che le repressioni in Libia,
la Scatola di sabbia, avvenute nelle epoche della conquista liberale
(1911-1912) e in quella delle operazioni di riaffermazione del dominio italico
nel periodo fascista, fecero migliaia di vittime fra esecuzioni, rappresaglie,
feti strappati dai ventri materni, e vi
fu uso di armi proibite dalle convenzioni internazionali come i gas. Nelle
campagne per il Corno d’Africa stessa storia e stesse violazioni, forse con
l’aggravante di aver attaccato una nazione libera ed indipendente, membra della
Società delle Nazioni (peraltro entratavi proprio con l’appoggio italiano); e
di aver fatto delle canzonette di qualità piuttosto dubbia per celebrare
l’impresa, tipo “Povero Negus” e “Faccetta Nera” (nah, mento, “Faccetta Nera”
almeno è orecchiabile, sentiti i canoni della musica popolare italiana di fine
anni ‘30). Nel Dodecaneso, conquistato
sempre in epoca liberale per aprire un secondo fronte contro l’Impero ottomano,
che controllava la Libia, durante l’epoca fascista si cercò di estirpare la
cultura delle popolazioni greche autoctone imponendo la nostra lingua, e
facendo rimangiare le parole dette in ellenico con condimento di olio di
ricino. Non è genocidio, però parrebbe un filino irrispettoso della dignità di
un popolo.
Si potrebbero aggiungere il protettorato sull’Albania,
l’invasione fascista di Yugoslavia e Grecia, che portarono ancora morte,
devastazione e violenza su civili inermi, per stroncare le reni alla insensata
resistenza di chi ci sparava per difendere la sua terra. Nel caso particolare
della Yugoslavia poi, con l’invertirsi delle sorti di quella spassosaavventura
degli anni ’40, ahinoi, ci venne restituito, con la stessa goliardia, il
favore. Foibe.
Se i nostri crimini sembrano minori rispetto a quelli
commessi dalle altre potenze coloniali (che almeno avevano l’intelligenza di
conquistare territori fruttuosi economicamente,
e non solo per dare sfogo all’industria pesante, alla propaganda, o far
mostra delle dimensioni al resto d’Europa) è stato per mancanza dell’opportunità
di commetterli su scala ancora maggiore, semplicemente perché si avevano meno
terre e meno anime su cui tiranneggiare. E comunque, fosse stata commessa anche
una, una sola angheria nei confronti di uno solo da parte delle nostre
istituzioni coloniali, avremmo mantenuto questa nostra colpa.
Ah, a pensarci bene, anche senza versare una goccia di sangue avremmo
già commesso colpa grave, visto che non mi risulta di essere stati invitati
dagli autoctoni di quei paesi ad invaderli.
I nostri gloriosi militi fanno perdere la testa in Abissinia |
I nostri goliardici militi fanno fare penitenza ad un greco compagno di giochi |
Quindi, la colpa, il peccato (neanche poi così piccolo come
ci piace pensare, quantificabile in cumuli di corpi straziati e lasciati
marcire sotto il sole o sepolti in fosse comuni), c’è. La redenzione,
l’espiazione, pure. Si chiama integrazione.
Non si vuole dire che l’Italia, una volta diventato un paese
in grado di integrare appieno debba divenire il punto di ritrovo per tutti i
disperati del Mondo, però, quando il numero di immigrati dovesse risultare
eccessivo, e ci si dovesse trovare a respingere i clandestini, lo si faccia con
umanità, in memoria del fatto che anche noi siamo stati migranti, e del fatto
che abbiamo commesso crimini orribili contro paesi nelle stesse condizioni di
quelli da cui provengono, se poi non sono proprio quegli stessi paesi.
Riccardo Venturi
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