La Grande Bellezza.
“Bouvard e Pecuchet” è l’ultimo romanzo incompiuto di
Flaubert. Durante la temperie romantica e poi naturalista, si era insinuata, in
Francia una corrente estetizzante che Flaubert aveva colto in maniera del tutto
trasversale capendo che la vita si ferma a una grado di separazione dalla
verità: decise così di inserire due amici all’interno di un giardino
squisitamente curato, contornato da oggetti dal gusto raffinato e ricercato in
cui la loro passeggiata palinodicamente paripatetica serviva semplicemente per
parlare del mondo “di triti fatti” e della loro volontà di dare un nome alle
cose secondo un approccio estetizzante. Questo frammento è il succo della loro
ricerca spasmodica verso le varie branche del sapere: anche loro dimostrano l’estrema
vacuità su cui si basava l’allora borghesie benpensante. Parla di una frenesia
eccitata verso il sapere visto nelle sue mille accezioni e poi il fallimento
necessario che ne consegue.
D’altra parte Céline è un autore francese conosciuto per la sua
verbigerazione schizoide alla Gadda, anche se precede di qualche anno Gadda.
Celati tradusse questo splendido autore controcorrente francese cercando di
immergersi all’interno del flusso della logorrea tipico dei manicomi.
Queste sono due delle molte citazioni che si colgono all’interno
de “La Grande Bellezza” di Sorrentino, film che i posteri, ne sono certa, giudicheranno
come l’espressione di una genialità un po’ incompresa dai contemporanei. Questo
film è un film sul dramma dell’alienazione, un’alienazione che si sviluppa in
ossimori sia a livello visivo che a livello musicale. Ma è anche il film del
barocco antico e contemporaneo, del trompe d’oeil Ma è anche il film del grottesco e del
perturbante alla Freud. E’ semplicemente la storia di chi è alla ricerca: l’uomo.
E per questo già si propone come storia universale, sebbene abbia un hinc
(Roma) et nunc (i nostri giorni).
Alienazione è il modo in cui si vive costantemente: ci
alieniamo con il lavoro, con la gratificazione per cui ci affanniamo e che
assume i connotati di una lusinga che tocca la nostra intelligenza, la nostra
morale e integrità (come nel caso dell’amica sbugiardata davanti a tutti sulla
terrazza di Jep), la nostra bellezza fisica e di carisma. Nel momento della
lusinga, si accende una scintilla di amore in noi che per sempre saremo
destinati a rincorrere senza trovarne mai appieno soddisfazione e quindi supplendo
con mille e mille altri palliativi che riempiono apparentemente ma svuotano
completamente. E quell’alienazione dell’uomo si coglie nella vasca in cui nuota
affannosamente un marito, nei festini orgiastici come nella domanda “Che fai
stasera?” avvenuta dopo una rimiscenza proustiana, o come la ricetta di un
coniglio davanti alla richiesta di una verità, o ancora come la struttura
morale e moralistica che la società propone nelle norme comportamentali: il funerale
del figlio di Viola è la vita come si vive con l’alienazione. E quel pianto di
Gep appare quindi lo scatto verso la verità che racchiude tutto l’urlo dell’umanità
disperata.
Ma questo film è tanto. E’ parallelismo continuo, è un
doppio svenimento davanti a due bellezze diverse, è la ricerca di una povertà
che Roma ha sepolto dentro di sè in maniera vorace e assai affabulatoria. E’ la
voglia dell’uomo visionario, e consapevole di spogliarsi della struttura, di
riuscire a togliere l’alienazione che Roma produce non solo a livello visivo
(in questo caso anche assuefazione) ma anche a livello interiore, che invalida
la capacità di toccare se stessi e le proprie emozioni con viva mano, magari
soffrendone la bruttezza che si pensa vi sia (solo perché tal canone dettato da
altra struttura).
Alla fine si esce pensando a niente ma consapevoli che
Sorrentino ha visto qualcosa che ha prodotto in lui una grande tristezza: una
vita non-vita fatta di solitudini incapaci di uscire dal proprio cerchio di
morte e di toccare la vita nella vera essenza. Questo privilegio è dato ai veri
visionari, che sanno ma tacciono. Insomma una grande Danza Macabra del nostro
millennio che urla a gran voce: Vanitas Vanitatum. Vanitas di bellezza
estatica, di denaro, di intelligenza, di carisma, di lusso e sesso, di
struttura della società e di modalità di comportamento canonizzata, di
tendenza, di trovata sempre del particolare per cercare di svegliare dall’intorpidimento
dell’alienazione. Invano.
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