lunedì 29 ottobre 2012

LA SFIDA DELL'ANTIPOLITICA.

Il Caimano è tornato. Proprio come nella scena finale del film di Nanni Moretti. E’ stato appena condannato, ma promette di trascinare con sé il paese nel caos. Silvio Berlusconi torna a parlare in conferenza stampa. Gli argomenti da lui scelti sono gli unici che possano portargli voti, che possano dargli un minimo di seguito politico. Il Berlusconi moderato, seguace del premier, non arriverebbe neanche ad un 10% di consensi. Attacchi a Merkel, a Monti, e ad una nostra politica economica recessiva dettata dalla potenza egemone della Germania. Troppe tasse deprimono le famiglie italiane. Il nostro è uno Stato di polizia tributaria. Queste parole Berlusconi spende in difesa dei valori italiani, del Paese che amo. E poi invettive contro i giudici che rendono la nostra una Repubblica magistratocratica ed usurpano la sovranità popolare.

Il discorso di Berlusconi è ovviamente populista, da piazzista. Non ha senso proprio perché la causa della profonda recessione, oltre alla crisi del 2008, è stata la mancanza di una politica economica coerente da parte sua. Berlusconi è rimasto in carica 7 anni su dieci, nello scorso decennio, un periodo in cui il PIL italiano è rimasto pressoché a crescita zero. Nel 2009, in seguito alla crisi mondiale, il debito pubblico italiano è raddoppiato di dieci punti, un aumento vertiginoso, dovuto all’irresponsabilità della sua politica economica. Il problema non è quindi Monti, che ha cercato di risanare l’economia. Berlusconi, ovviamente, è un uomo solo, non inveisce sperando di esorcizzare la sua solitudine.

Ilvo Diamanti su Repubblica:
La solitudine. Sta qui l’origine degli interventi di Silvio Berlusconi, negli ultimi giorni. Estremisti, nei toni. L’uomo-solo-al-comando, all’improvviso, si sente solamente solo. E ha paura del silenzio intorno a sé. Reagisce con estrema violenza - verbale.

Ovvio che Berlusconi cerca di riemergere, dopo la condanna in primo grado nel processo Mediaset, e lo fa nell’unico modo possibile. I contenuti dei suoi interventi sono simili a quelli di Beppe Grillo. Ma il comico ha una marcia in più. Ha un blog che ottiene grande successo in rete. Ha saputo utilizzare i nuovi media, ed internet in primis. Berlusconi rappresenta il vecchio, il potere dei vecchi media, la tv. Grillo il nuovo, il potere di internet. Ma entrambi fanno leva sui sentimenti anti-europei latenti nel nostro Paese e sull’esasperazione della working class.

L’ex-premier, tuttavia, cavalca l’onda dell’anti-europeismo con grande ipocrisia: ha paura di uscire di scena, vuole rivestire nella prossima legislatura un ruolo politico di rilievo per non soccombere nei suoi procedimenti giudiziari. Sa che la politica può influenzare la magistratura. Le sue leggi ad personam ne sono state la prova. Dei suoi 23 procedimenti giudiziari a carico, solo tre sono finiti con assoluzione, di cui una per una depenalizzazione del faso in bilancio da lui approvata (processo All Iberian 2). Altri sono finiti per prescrizione, altri due (Mediaset e Ruby ancora in corso).

Berlusconi è ancora in politica, e per se stesso. Ed era ovvio che non poteva rassegnarsi dopo l’ampia sfiducia accordatagli dai mercati nel novembre del 2011. La sua nuova discesa in campo ha creato scompiglio in un Pdl diviso tra montiani e berlusconiani, falchi e colombe. Difficile fare previsioni. Non così probabile sarebbe la scissioni tra il Cavaliere e il suo vecchio partito, che però verrebbe a perdere la sua unica identità, quella di partito personale dell’ex-premier. Alfano, che punta all’alleanza con l’Udc e con i moderati, non ha la forza politica per compiere scelte in autonomia.

Berlusconi, con la sua nuova politica estremistica, parla, secondo i suoi sostenitori più accaniti, alla pancia del Paese. E’ vero. I delusi sono tanti, la disoccupazione giovanile italiana è tra le più alte d’Europa, il precariato è a livelli spaventosi. La nostra economia non è ancora in ripresa. Ed ora questo Berlusconi, che promette castelli di fumo, torna a piacere alla Lega, ritorna ad avere consenso tra gli ex-Pdl passati al Movimento 5 Stelle.

L’antipolitica è sicuramente il primo partito d’Italia. Difficile che gli italiani possano premiare il Cavaliere come alfiere di una nuova stagione politica, proprio lui che è il più vecchio dei politici della Seconda Repubblica. Ma questa nuova strategia di Arcore è pericolosa. Perché si allinea sui temi al grillismo, che riscuote tanto successo. Grillo ha maggiore credibilità, ma non ha ancora quel potere mediatico di Berlusconi, da sempre in conflitto di interessi per il possesso di network e giornali. La nuova lotta politica è una sfida tra vecchi e nuovi media, piuttosto che una sfida sui programmi elettorali.

Il Pd, che è partito di maggioranza relativa, ha il dovere di fare fronte comune con i moderati (Udc e Fli), al di là delle differenze, se vuole aprire una migliore stagione politica. Deve mostrare che l’utopia dei populismi non può avere spazio. In un mondo globale, l’unico obiettivo rimane l’Europa unita. Seppure con riserve, Monti ha operato con responsabilità. Solo ultimamente, al centro della bufera, c’è stato il decreto anti-corruzione, troppo blando. Urgono misure più foti contro la corruzione, per riportare investitori stranieri in Italia. Ma comunque i dibattiti aperti dall’attuale governo sono più ragionevoli rispetto a quelli aperti dalle leggi di depenalizzazione di falsi in bilanci dell’era berlusconiana.

Alle prossime elezioni il mio appello è per il buonsenso. E’ importante che tutti i partiti isolino i populismi utopici di Berlusconi, Grillo e Lega Nord. Fare fronte comune contro chi inveisce solo e promette ciò che non potrà fare. Basta con i populismi che parlano di meno tasse e più posti di lavoro. I populismi di chi non spiega come, quando e perché metterà in atto i propri progetti, qualora dovesse governare. E’ importante che il dibattito politico cambi.

Oggigiorno i politici sono abituati all’attacco frontale e a denigrare l’avversario. La seconda Repubblica è stata caratterizzata da invettive, e nient’altro. Berlusconi, dopo la sua discesa in campo del 1994, è stato il nmaggiore responsabile della corruzione del dibattito politico. I partiti tornino a spiegare i loro obiettivi, ad argomentare a favore delle loro tesi, a spiegare ai cittadini perché la loro identità è diversa da quella di altri. La politica si è davvero imbarbarita da quando si è abbassato notevolmente il livello culturale dei politici, che non dovrebbero essere come o peggio di noi, ma dotati di competenze e capacità che non sono di tutti. Il governo Monti ha dimostrato di andare controcorrente. Ha argomentato le sue scelte, che, seppure fossero sbagliate, sono state fatte con onestà intellettuale.

Se i cosiddetti moderati (Pd, Fli, Udc) saranno in grado di riportare un dibattito civile, ispirato dai soli provvedimenti fatti in materia politica, l'antipolitica sarà neutralizzata e sconfitta. Su queste basi si spera che nascerà la Terza Repubblica. Se così non sarà, se prevarranno Grillo e Berlusconi, si salvi chi può.

Marco Di Caprio.

venerdì 12 ottobre 2012

LO SCEMPIO DELLA PARTITOCRAZIA APOLITICA.

Roberto Formigoni azzera la giunta. Un po' come aveva tentato di fare la Polverini. O meglio lei voleva dimettersi sin dall'inizio dello scandalo. Silvio Berlusconi aveva provato a frenarla. "Se il Lazio crolla, crolliamo anche noi" aveva affermato l'ex-premier. In effetti è andata male, Polverini poi ha lasciato giustamente. Già erano apparsi manifesti ovunque per la città di Roma: resto e faccio pulizia, aveva annunciato Polverini. Ora Formigoni resiste, continua a mantenere la poltrona grazie alla Lega. Berlusconi, per la prima volta, toglie l'appoggio ad un esponente del suo partito e lo invita a presentare le dimissioni.


Il presidente del Pdl ha capito che è finita un'epoca, ma questo certamente non lo aiuterà a rafforzare la sua posizione e il suo partito sgretolato, ormai inesistente. La politica del centro-destra, travolta dagli scandali di Polverini e Formigoni, rappresenta i residui della disonestà diffusa tra i politici e rafforzata dagli anni del governo Berlusconi: ancora oggi il Pdl impone vergognosamente veti alla legge anti-corruzione. Il Cavaliere sa che non potrà mai vincere le elezioni e cerca di riunire i moderati favorevoli ad un secondo mandato dell'attuale premier. D'altro lato, i critici di Monti come Lega e Idv, hanno avuto altri scandali di pari entità - vedi le vicende di Belsito e Maruccio, ex-tesoriere del partito di Di Pietro, oggi indagato per riciclaggio. La Lega appoggia Formigoni, lo stesso partito che all'alba di Tangentopoli portava cappi in Parlamento per i politici disonesti. 


Il Pd, in testa nei sondaggi, è comunque debole, in preda ad una faida interna al partito. Oggi quindi prevale giustamente l'antipolitica. Si ricordi però che questa situazione negativa è stata ereditata dal governo Berlusconi, responsabile dell'incremento esponenziale del debito pubblico e di norme che hanno depenalizzato corruzioni e falsi in bilancio, che hanno aiutato il ladrocinio di politici ed imprenditori. La politica è pessima, perché si è conformata al peggiore dei suoi esponenti, il Cavaliere. Neanche Grillo e Vendola possono offrire una valida alternativa al sistema attuale: sognatori, utopisti e populisti,  non spiegano con quali proposte affrontare la crisi dei partiti. 


L'unico che esce rafforzato dalla crisi della politica è Mario Monti, estraneo ai partiti. Il premier, nel bene o nel male, ha fatto riforme strutturali ed ha approvato una finanziaria che potrebbe garantire il pareggio di bilancio nel 2014. Dopo le elezioni di primavera, lo scenario più probabile delinea un suo ritorno. Ma i partiti dovranno approvare una legge elettorale, su cui ancora tutti i parlamentari dibattono. 


Facile criticare il Porcellum voluto da Berlusconi, ma nessuno dei parlamentari vuole cambiare il sistema delle liste bloccate. L'astensione potrebbe toccare il 50 %. In America, per le elezioni presidenziali, vota meno del 40%; ma lì la democrazia e il sistema politico sono consolidati. Da noi un'elevata astensione potrebbe aprire scenari di crisi ben peggiori. I partiti si rinchiuderebbero nel Palazzo, portando disagi e tensioni sociali che l'Italia, già vessata dalla crisi, non potrebbe sopportare nei prossimi anni. La legge elettorale è la priorità assoluta per la crescita del paese.


Marco Di Caprio.

giovedì 11 ottobre 2012

CAOS DEMOCRATICO.

Pierluigi Bersani e Matteo Renzi saranno sfidanti alle primarie. Il segretario del Pd ha anche fatto modificare l'articolo 18 dello statuto che prevede la candidatura del segretario come futuro premier. C'è però un problema di natura logica: che senso hanno le primarie, se non è ancora noto con quale legge elettorale si voterà? 

Le primarie sono uno strumento utilissimo di democrazia interna e ricalcano quelle che i due maggiori partiti americani svolgono per il candidato alla presidenza. Ma siamo sicuri che possano essere applicate anche nel sistema politico italiano? Direi che non è proprio così per diversi motivi. Innanzitutto, con l'elezione del candidato premier tramite primarie, non ha senso la figura del segretario del partito, che è sempre stato il leader di riferimento della propria parte politica in qualunque tipo di elezione. I segretari dei partiti della Dc sono sempre stati indicati come Presidenti del Consiglio dal dopoguerra in poi. Quando non lo sono stati sempre, a partire dal 1981, i segretari di altri partiti, uomini più influenti come Spadolini o Craxi, sono stati indicati come capi del governo.

In America non esiste la figura del segretario, ma solo quella di presidente di partito, che gestisce il dibattito interno alla parte politica, ma non è mai candidato. Anche il Pd ha come presidente Bindi, che si occupa dell'amministrazione. I Democratici e i Repubblicani non hanno però il segretario, le cui funzioni sono rivestite temporaneamente, e solo in vista delle elezioni presidenziali, da chi vince le primarie. Se non dovesse vincere le primarie Bersani, il Pd avrebbe un altro segretario, de facto, che svolgerebbe la sua stessa mansione di capo politico di riferimento nel partito. 

Teniamo ben presente che, se dovesse cambiare la legge elettorale, cosa di cui si augurano molti italiani, il vincitore delle primarie potrebbe non più essere candidato come nome di riferimento per la presidenza del Consiglio. In teoria, quindi, dopo le elezioni potrebbe anche essere investito qualcun altro del Partito democratico per formare una coalizione di governo. 

Le primarie del Pd in realtà sono uno strumento per stabilire in un partito poco coeso chi è il più forte. Ma chiunque dovesse vincere non avrà potere di compattare il partito. I Democratici sono in testa ai sondaggi non per loro demerito, ma per demerito degli avversari politci, e questo rischia di portare una stagione di nuovo caos nella politica italiana anche dopo il 2013.

Marco Di Caprio.

mercoledì 22 agosto 2012

LA GENERAZIONE PERDUTA D'ITALIA.

Mario Monti in settimana ha parlato davanti alla platea di Comunione e Liberazione, associazione cattolica ormai da anni non velatamente di stampo politico. L'uscita della crisi è vicina per il premier, e l'assemblea applaude. Ho notato che oggi su Famiglia Cristiana è stata aspramente criticata Cl per il suo plauso passivo a qualunque leader passi sui suoi palchi. Ciò non è proprio corretto. Quando Prodi parlò al loro convegno fu accolto con freddezza. Berlusconi ed altri leader di centro-destra sono sempre stati osannati. Ricordo che due anni fa l'ex-premier era definito un salvatore della Patria dai giovani del meeting. Andreotti, poi, è sempre stato salutato nella sua sede come un onesto servitore della Nazione. Oggi invece tutti sarebbero pronti a feroci invettive contro entrambi per i loro trascorsi politici. Ma ovviamente è sempre bene fare i distinguo tra il demagogo populista che è il Cavaliere e lo statista dal passato poco chiaro che è Andreotti. Comunque è innegabile che c'è sempre stato un corteggiamento da parte di Cl di leader democristiani e della destra moderata, indipendentemente dalla valutazione di loro meriti. Un plauso fazioso da parte di molti cattolici italiani verso chi non merita.


Stavolta invece personalmente mi sento d'accordo però con il plauso di Cl verso Monti. Oggi Moody's e S&P hanno elogiato l'operato di Mario Monti, hanno sottolineato che l'uscita dalla crisi potrebbe vedersi nel 2013 per l'Italia. Ciò sarà dovuto alla riforme strutturali fatte dal premier e dal suo esecutivo. Le agenzie di rating, specialiste nel diffondere panico e malumore sui mercati internazionali con le loro dichiarazioni, hanno fatto questa volta un'acuta osservazione. Hanno notato la discontinuità del governo Monti con i vecchi esecutivi del nostro Paese. Le riforme strutturali, nel bene o nel male, sono state fatte. Difficile pensare a diverse proposte in un'Italia ormai in crisi economica da due anni. La crisi, che è ovviamente di natura globale, ci ha colpito di più, perché il precedente esecutivo presieduto da Silvio Berlusconi ha solo levato annunci e non ha mai fatto le riforme strutturali necessarie. L'attuale Presidente del Consiglio ed i suoi ministri hanno dato una svolta di concretezza all'azione di governo.


Ora può sembrare ingiusto, ed io sono il primo a dirlo, che l'imposizione di tasse pesi soprattutto sempre sui ceti medi e medio-bassi. Le nuove imposte, come l'IMU, sono state necessarie per porre il freno alla gestione dissestata della finanza pubblica effettuata dal governo Berlusconi IV. E' da non dimenticare che, malgrado il governo Prodi II sia stato così impopolare, ha avuto il merito di diminuire il debito pubblico dal 106% del 2006 al 103% del 2007. Il biennio in cui è stato registrato il più alto innalzamento del debito è quello 2008-2009, che coincide con l'insediamento di Berlusconi IV. Il debito pubblico è cresciuto dal 106,3% del 2008 al 116,1%. La responsabilità dell'ex-premier, quindi, non può per niente essere esclusa in questo frangente. E con il 120% l'Italia ha bruciato totalemente il disavanzo di cui ha beneficiato in seguito all'entrata nell'Euro.


Mario Monti sta portando una soluzione, che seppure tardiva potrebbe mettere in salvo la nostra economia. Il premier è vicino all'area democristiana, nonostante non sia schierato politicamente. Potrebbe quindi mettere d'accordo i cattolici e i democratici per un secondo esecutivo da lui presieduto. Il premier ha poi ragione a parlare di Generazione Perduta, quando si rivolge ai giovani. I giovani di oggi purtroppo sono svantaggiati da una situazione politica ed economica ereditata fatta di gravi negligenze. La gestione della finanza pubblica italiana tra gli anni Ottanta e Duemila, con la breve parentesi positiva del Governo Prodi I, è stata disastrosa. Romano Prodi e il suo ministro dell'economia (il presidente emerito Ciampi) hanno per fortuna permesso al nostro Paese di entrare nell'Euro.


E' giusto puntare quindi sull'Europa per una crescita comune che possa dare le soluzioni alle sfide dei colossi americano, cinese e russo. L'unico invito che alla Generazione Perduta dei giovani ci si sente di dare è di lavorare più di quanto hanno fatto i loro genitori, ma soprattutto di aspirare ad una maggiore mobilità. Nel nostro contesto è opportuno aspirare a spostarsi, anche frequentemente, per motivi di lavoro negli altri Paesi dell'Eurozona. Ciò permetterebbe anche, io credo, una maggiore integrazione tra i giovani del nostro continente rivolta alla nascita di uno Stato federale europeo.   


L'unica pecca vistosa dei provvedimenti del Governo Monti riguardano la scuola e l'università: l'esecutivo ha varato tagli all'istruzione. E' inutile insistere ancora sul pessimo stato dei ricercatori in Italia. Ma io penso che innanzitutto lo sviluppo parta dall'istruzione scolastica. Spesso diplomati e laureati non hanno le conoscenze e le competenze previste dal conseguimento del loro titolo di studio. In Italia si è cercato di aumentare il numero dei laureati per portarli al livello degli standard europei. La crescita del numero è di tipo meramente quantitativo e non qualitativo. Il futuro riparte dalla scuola.


Un'ultima analisi sarebbe necessaria per quanto riguarda il mondo cattolico. Sin dall'alba dell'umanità la religione è stata strumentalizzata a fini politici. E mi fa sorridere amaramente leggere che i candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Obama e Romney, sbandierano la loro fede a fini elettorali. Per il presidente Obama il predecessore Bush è deprecabile da un punto di vista politico, ma un uomo di fede, un ottimo marito e un buon padre di famiglia. Inutile aggiungere che un uomo di fede non dovrebbe gioire spudoratamente la notte dell'esecuzione di Saddam Hussein, seppure questi sia stato un feroce criminale. Un uomo di fede non inventa prove false per attaccare l'Iraq, là dove sono morti tanti civili a cause dei bombardamenti dell'USAF. Se il criminale Saddam ha giustiziato tanti per motivi politici o etnici, Bush non doveva fornire prove false come casus belli per far eliminare il dittatore. Con lui, infatti, sono morti migliaia di civili iracheni innocenti. 


Per quanto riguarda il discorso sui cattolici in Italia, evito di passare in rassegna la storia millenaria dello Stato della Chiesa.  Mi limito solo agli ultimi ottanta anni. I cattolici e il Vaticano hanno appoggiato un criminale come Mussolini per motivi di convenzienza politica. Hanno poi appoggiato la Democrazia Cristiana incondizionamente per motivi logistici. Hanno poi preferito Forza Italia e il centrodestra, nonostante spesso abbiano fatto il disinteresse della classe media e dei più deboli, che dovrebbero invece essere difesi dai cosiddetti uomini di fede. Quindi, se guardiamo ai fatti, il potere politico in Italia è stato realmente detenuto da chi ha ottenuto il loro appoggio.
La Chiesa ancora ha un enorme potere ed influenza sullo Stato ed è a volte anche in contrasto con esso. Ancora oggi la Banca Vaticana non si attiene alle norme della trasparenza bancaria internazionale. Facilmente ipotizzabile che possa riciclare soldi sporchi della criminalità organizzata e del narcotraffico.


Un ultimo episodio che vorrei richiamare all'attenzione è quello di Lucera. Questa cittadina pugliese, in base al decreto sulla spending review, sarà privata del suo tribunale, poiché esso ha un bacino d'utenza di soli 170mila abitanti. Lucera è una zona ad alto rischio di criminalità, territorio in balia delle cosche della Sacra Corona Unita e della Camorra. Il sacerdote della cittadina si è quindi fatto portavoce del malcontento dei suoi concittadini, contrari alla soppressione del tribunale. Ma anziché farsi promotore di una petizione ha promosso ed assistito alla consegna delle tessere elettorali dei cittadini. Una donna, scrive Repubblica di ieri  21 agosto, ha gettato nel cestino della parrocchia la sua tessera.


La consegna della tessera implica un irrispettoso atteggiamento nei confronti dello Stato da parte dei cittadini. L'autonegazione del dovere civico di voto (art. 48, Cost.) è grave. E' ovvio che l'attuale legge elettorale non permette di scegliere il candidato, è chiaro che il sistema politico è marcio. Ma la rinuncia al voto significa negarsi l'unico modo che si ha, seppur irrisorio, di partecipare alla vita pubblica. Inoltre indica un'estraneità, soprattutto nei piccoli centri, da parte delle masse nei confronti del sentimento di Unità nazionale. Nei piccoli Comuni, infatti, la Chiesa è ancora forte come lo era anche nelle grandi città cinquanta, sessanta o cento anni fa. Roma, ad esempio, definita capitale della cristianità, è oggi multietnica e fatta di una popolazione poco vicina alla religione cristiana. E il numero di fedeli è bassissimo tra i giovani.


Nei piccoli centri invece i devoti sono ancora tanti. Niente da obiettare, ma non è accettabile che sacerdoti come quello di Lucera si facciano promotori di manifestazioni che indichino disprezzo nei confronti dello Stato. Il problema qui non è la soppressione del tribunale di Lucera, esso non rappresenta l'arretramento delle forze dell'ordine, la resa dello Stato nei confronti della criminalità organizzata. La scelta dell'eliminazione della sezione penale di Lucera è da ricondurre ad un tentativo di miglior impiego delle risorse all'interno dell'ambito giudiziario. Con la riduzione del numero di tribunali si spera una miglior razionalizzazione delle risorse. Su questo ho i miei dubbi. Comunque è il modo che offende con cui i cittadini di Lucera, spinti dal loro sacerdote, hanno esposto il loro disappunto nei confronti dello Stato. Spero non sia un'utopia quindi che in Italia possa venir progressivamente meno il peso del Vaticano. Ciò sarebbe utile per un dibattito pubblico più sereno e più adeguato alle nuove esigenze politiche.


Marco Di Caprio.

domenica 5 agosto 2012

QUER PASTICCIACCIO BRUTTO DI BERSANI.


Bersani apre all’alleanza a Vendola per un nuovo centrosinistra. Un’alleanza con i progressisti sarebbe un ottimo modo per ottenere i voti di chi vuole un cambiamento radicale nel Paese. Ma quale è il ruolo di Casini? Come spera il Pd attirare a sé con un’alleanza con Sel il leader dell’Udc?

Il Partito Democratico è un partito spaccato, in cui ancora si nota la netta differenza tra ex-comunisti ed ex-democristiani. Bersani, che è vicino agli ex-comunisti, ha ascoltato chi alla base del partito ha chiesto a gran voce l'alleanza con Sel. Ma lo schieramente degli ex-democristiani chiede a gran voce l’alleanza con l’Udc. L’alleanza con Sel sarebbe stata un'ottima scelta se a prevalere nel suo Partito fossero stati gli ex-comunisti. I democratici invece sono ancora divisi in due fazioni che sostanzialmente si equivalgono. Bersani vorrebbe accontentare anche i democristiani e tentare l’alleanza con Casini. Ma siamo sicuri che questa sia la scelta giusta?

Ora due scenari si aprono: quella della grande coalizione da progressisti a moderati, buona alternativa migliore per un paese che ha bisogno di una stagione di riforme condivise. L’altro scenario è quello di un’altra stagione di litigi, coalizioni traballanti per governi deboli. Si pensi in merito al Governo Prodi II. Quest'ultimo scenario sembra il più probabile: l'Italia, in serie difficoltà economiche, dovrebbe assolutamente evitarlo.

Bersani vuole accontentare le due anime del suo partito. Anziché sanare i contrasti, li porta al di fuori, tentando un’alleanza tra due partiti completamente opposti. Il segretario del Pd dovrebbe lavorare per creare nel suo schieramento una nuova classe dirigente, che vada oltre i vecchi dissidi. Vendola, tergiversando sull’ipotesi di alleanza con Casini, ha affermato che non può allearsi con con chi appoggia ancora il liberismo. Casini, convertiti, è stato il suo appello. Il leader di Sel, facendo questa affermazione, non sembra poi così convinto di un'alleanza con i moderati. La perplessità di Vendola è la stessa dei suoi elettori, che su twitter hanno esposto i motivi del loro dissenso. Gli elettori dell’Udc esprimono dall'altro lato un netto rifiuto all’alleanza con chi è a favore di matrimoni gay e di eutanasia. Ma Casini si prende tempo, non è ancora convinto sul da  farsi. 

La verità è che l’artefice di quer pasticciaccio brutto è solo Bersani: decida il leader del Pd la sua linea politica, faccia chiarezza all’interno del suo partito. Anche io sarei favorevole ad una grossa coalizione. Gli svantaggi, tuttavia, di un mancato successo dell'unione sarebbero troppo duri da accettare in una situazione economica così difficile. Negli anni 60, quando Moro e Nenni siglarono un patto di governo, i democristiani si allearono con i socialisti, non i comunisti di Togliatti. Il partito di Vendola affonda le sue radici, invece, nell'estremismo. Il leader di Sel ha infatti un passato in Rifondazione comunista, e il suo partito è di ex di rifondazione. La sinistra estrema, nelle due precendti esperienze di governo con Prodi, ha fatto cadere il governo la prima volta, lo ha fatto traballare per l'intera legislatura la seconda volta. E in questi casi si tentava un'esperienza interamente di centrosinistra. Non oso immaginare gli eventuali dissidi in un governo di grossa coalizione tra sinistra e centro.

Il paese è in una situazione economica difficile e la radicalizzazione della politica può essere troppo destabilizzante. Se i progressisti di Vendola andassero al governo, non potrebbero convivere con Casini. Difficile che Vendola accetti compromessi con i moderati, visto che il suo partito è radicale. Difficile che Casini accetti la radicalizzazione visto che il suo partito è moderato. L'artefice di questo pasticciaccio è Bersani. Faccia lui chiarezza nel suo Partito: virata a sinistra o al centro? Non si può virare contemporaneamente in due direzioni. La spaccatura del Pd tra moderati e progressisti non porti ulteriori danni al Paese in crisi.

Marco Di Caprio.



mercoledì 18 luglio 2012

L'Italia è viva per miracolo.

Berlusconi è finito. Il Cavaliere annuncia la sua nuova discesa in campo ma ormai nessuno gli crede più. Le sue televisioni non hanno più grande potere: veline, giovani lobotomizzate, tronisti e oche da salotto non sono più credibili per la maggior parte degli italiani. Inoltre il Caimano ha perso la sua base elettorale. Chi lo supporterà? Gli imprenditori e i finanzieri hanno troppa paura del suo ritorno, di cui troppo diffidano i grandi mercati internazionali. 
Se Berlusconi diventasse premier una nuova bolla di speculazione internazionale si abbatterebbe sul nostro Paese rischiando di far saltare il sistema Italia. I cattolici neanche possono più supportarlo: non credo il suo moralismo da Family Day sia ancora opportuno dopo gli scandali personali. I lavoratori dipendenti non possono supportarlo, perché lui non ha fatto nulla per difendere il welfare e il loro potere di acquisto. Basti pensare che fu il governo Berlusconi II a non porre freni davanti all'aumento dei prezzi durante il cambio di moneta nel 2002. 
Ora il Cavaliere è ancora quindi meno credibile quando tuona contro l'euro e dà consigli per risolvere la crisi economica. Il Pdl nella bufera dà segni di profonda insofferenza nei confronti del leader padrone che attende le luci della ribalta. Inoltre le televisioni di Berlusconi hanno sempre meno potere perché la televisione ha poco potere in confronto a quello di internet. Lui non può controllare la rete. E non ha neanche più argomenti a cui appellarsi per tornare alla ribalta. Non ha la Persuasione e la Rettorica, per citare un'opera del letterato Carlo Michelstaedter. 

Berlusconi è finito. Non può più inveire contro il comunismo e i giudici di sinistra. Non può più confidare negli imprenditori e nei cattolici. Dovrebbe solo far leva sulla paura del ceto medio. Dovrebbe estremizzare le sue posizioni di destra per sperare di contare qualcosa. Una campagna pubblicitaria sulla xenofobia, l'antieuropeismo e l'aumento delle tasse potrebbe aiutarlo a guadagnare consensi, ma scardinerebbe la sua intesa con Monti. Il Cavaliere ha bisogno di Monti. Sa che non vincerà le elezioni. Punta a raggiungere solo un numero consistente di consensi per far pesare il suo numero al tavolo delle trattative, per tutelare le sue aziende. Il Cavaliere si troverà chiuso nel mutismo in campagna elettorale in uno scenario di disfatta totale. 

Beppe Grillo invece è un populista. Ha sfruttato il web e il malcontento dei giovani disoccupati per una nuova politica, più pulita. La sua lotta è legittima. Io sono stato il primo a provare simpatia nei suoi confronti quando ha cominciato il suo percorso di protesta nel 2008. Oggi ha uno schieramento politico dopo anni di invettive e di urla; la sua antipolitica si scontra con la politica. Grillo inveisce contro l'euro, i banchieri, la finanzia internazionale, consiglia di non pagare gli interessi sul debito. Io ricordo a Grillo che l'euro ha salvato l'Italia, che l'Italia non è niente senza l'Europa, che oggi nel mondo globalizzato è impensabile chiudersi all'interno dei confini nazionali. L'Europa, se vuole davvero contare nel mondo, deve unirsi: i nostri piccoli Stati nazionali niente possono contro il colosso americano e quelli asiatici. Grillo però ha il merito di aver portato alla luce il problema della disoccupazione giovanile e di aver dato voce a chi vuole una politica meno corrotta, nuova e democratica. La politica in Italia non è più di massa: oggi grigi burocrati reggono il Palazzo lontano dalle masse, l'Italia è uno dei paesi meno democratici d'Europa. Grillo prova a dare voce ai delusi.

L'Italia dei Valori rischia una grande flessione per non aver dato sostegno al governo di emergenza nazionale, per i tanti candidati in attesa di giudizio o condannati, che poco rispecchiano i valori fondanti del movimento politico di Di Pietro. La Lega Nord è un carrozzone vecchio, rimasto isolato e senza alleati. Il Partito Democratico è ora invece in balia delle onde. E' il partito più grande come numero di consensi, ma è anche quello più diviso, lacerato da faide interne. Bersani vuole indire le primarie ad ottobre, ma ha una folta lista di avversari, che ha idee completamente diverse dalle sue. Matteo Renzi è uno dei più critici: è un politico ambiguo, molto più vicino al Pdl e ad idee conservatrici, a volte reazionarie. Si era addirittura vociferato di un suo passaggio al partito del predellino. Poi Enrico Letta è uno dei più moderati, ma comunque riluttante ad una candidatura di Bersani. Ignazio Marino è per un partito europeo e cosmopolita: ha vissuto per tanti anni negli Stati Uniti, e non è favorevole a compromessi, vuole un partito giovane e progressista. Giovani di spessore sono Debora Serracchiani e Stefano Fassina. L'ultimo litigio nel Partito Democratico si è verificato sulle unioni omosessuali: scontri per chi è a favore del solo riconoscimento delle coppie di fatto e per chi vuole i matrimoni gay. Ovvio che la controversia rispecchia il dibattito acceso tra gli ex comunisti e gli ex democristiani in un partito in cui difficile il rinnovamento. 

I centristi con l'Udc e Fli sono i referenti del cattolicesimo e delle istanze moderate. I primi sono inclini ad una possibile alleanza con il Pd per Monti presidente, il che sembra la soluzione più ragionevole in un momento di così forte crisi. Infatti altre maggioranze sarebbero di difficile creazione e rischierebbero di gettare il Paese in una parentesi di ingovernabilità con gravi ripercussioni internazionali. L'Udc rimane però troppo arretrata sul tema della morale e dei diritti civili: unica referente della Chiesa Cattolica, è rimasta ancorata ad un'idea della società troppo anacronistica. Di Futuro e Libertà mi interessa l'idea di porre il tricolore bene in evidenza. Lo spirito patriottico è oggi poco presente in Italia: si parla solo di interessi economici, ma non di idee. Non migliora l'economia se non c'è l'idea dello Stato Unitario, della coesione sociale. Il patriottismo però non deve sfociare in nocivi nazionalismi antieuropei come nel caso LePen in Francia. Detto questo, Futuro e Libertà nasce da un'esperienza decennale di transfughi repubblichini e di nostalgici del Fascio. Ma oggi il movimento di Fini è totalmente democratico, sono stati espunti tutti i richiami al Duce. Per questo motivo i neofascisti della Destra (Storace) e di Forza Nuova covano un immenso rancore nei loro confronti. SeL, guidato da Nichi Vendola, è ciò che rimane dei nostalgici comunisti. Le loro idee progressiste sono affascinanti, ma utopiche, prive di spessore. 
In definitiva l'esperienza politica italiana è debole, carente. I politici non attirano più nessuno in piazza per diversi motivi. Liste bloccate, mancata espressione di preferenze, frammentazione politica in piccoli soggetti, estrema litigiosità tra gli schieramenti su argomenti futili, mancato senso di autocritica della classe politica.

In più l'Italia è stata in balia per oltre quarant'anni di una classe politica non solo corrotta ma inetta ed autolesionista, priva di valori e del senso dello Stato. Il coronamento di questa fase è stato sancito dall'ascesa di Berlusconi, il più grande referente mafioso del secolo. 
L'Italia è viva per miracolo.

Marco Di Caprio.

giovedì 8 marzo 2012

Il destino di un'Italia migliore.

Silvio Berlusconi ha annunciato che non andrà da Bruno Vespa. Non vuole mostrarsi come leader del Pdl, dal momento che tra un paio di settimane dovrebbe essere ospite Bersani nel salotto di Porta a Porta. Il Cavaliere ha detto più volte che non si ricandiderà, e che appoggerà solo Alfano come futuro candidato premier, che non solo è il suo delfino, ma la sua controfigura. Berlusconi è forse affetto dalla "sindrome di Putin": fa candidare un suo giovane seguace per gestire saldamente il potere dietro le quinte. Ma Alfano non sembra avere neanche un minimo di personalità, a differenza di Medvedev.

Berlusconi ha deciso di non andare da Vespa dopo che Alfano si è rifiutato di incontrare Monti, Bersani e Casini: il Pdl non è disposto ad aprire il dialogo su televisione e giustizia. Questi sono i nodi irrisolti, gli unici obiettivi che stanno a cuore al Cavaliere. In base alla normativa sulla radiotelevisione, i migliori fornitori di contenuti ottengono le frequenze senza partecipare ad un'asta con le altre imprese del settore. Ma le frequenze sono un bene di stato: Mediaset e la Rai devono mettersi in gioco per ottenerle. Il problema è che un'asta per Mediaset, il cui bilancio è in rosso, sarebbe un duro colpo per il suo patron.

Mediaset è una rete che non si è rinnovata: i suoi programmi sono rimasti pressoché identici a quelli degli anni Ottanta, con pochi cambiamenti. E' una piattaforma che offre poco a livello contenutistico; anche la Rai è rimasta povera da un punto di vista dei contenuti, perché è controllata dalla politica e spesso accoglie conduttori che sono raccomandati, non i più bravi. Basti pensare che la Rai ha licenziato Santoro e Annozero, il programma più seguito in assoluto.

La giustizia è un altro punto cruciale, o meglio l'ingiustizia: il Cavaliere vorrebbe congelare i processi rimasti a suo carico. Per questo non vuole il dialogo con Monti: le sue sono pretese, non prove di dialogo. Il presidente del Consiglio adesso non deve cadere nell'errore di cedere per evitare crisi politiche: deve resistere e fare ciò che va fatto, anche a scapito del Cavaliere che lo appoggia. Adesso Berlusconi è un uomo quasi finito, ma solo la freddezza e la risolutezza del nuovo Governo possono metterlo alla porta. Il destino di un'Italia migliore riparte dalla battaglia coi fantasmi del passato.

Marco Di Caprio.