giovedì 11 aprile 2013

ANTI-POLITICA E ANTI-DEMOCRAZIA DI UN NON-PARTITO.


Da questa brodaglia i telegiornali e i talk show colgono fior da fiore, con lerci e studiati copia e incolla per spiegare che Grillo è un eversivo, che il Movimento 5 stelle è spaccato. Prima vomitano commenti sul blog e poi li rivomitano nelle televisioni” afferma Grillo pochi giorni fa. Quindi partiamo proprio dalle parole di Grillo, analizziamole e arriviamo a fatti concreti senza dover sfruttare elementi paralleli. Ne tratterò solo 2 dei 5 che ho analizzato:

          1) Durante la campagna elettorale davanti a Montecitorio: 
    “Questa non è una rivoluzione ordinata. Le rivoluzioni ordinate portano a sovvertire poteri con altri poteri. La nostra è una pseudo rivoluzione disordinata, ognuno viene con la propria mentalità, ognuno con le proprie idee ma coadiuvate da un’energia della rete su dei progetti: il progetto è riprenderci il paese”.
    Con “disordinata” si intende qualcosa che esce da un ordine preesistente.  Questo ordine è la coesione intorno a qualcosa di ben definito, un’ideologia, uno scopo che renda vitale la rivoluzione. Il M5S non si riconosce in nessuna ideologia, ne’ di destra ne’ di sinistra ne’ di centro, per questo appare disordinato. Ma almeno un collante ci deve pur essere affinché ci sia coesione in una rivoluzione.

Grillo stesso parla e dice quale è il collante: “idee coadiuvate da dei progetti”. Ma poi parte uno scatto improvviso che fa saltare la collettività, gli interessi particolari e le esigenze che uno si aspetterebbe siano il vero collante: il progetto (uno solo, e non plurale) è riprenderci il paese. Quindi una Rivoluzione a tutti gli effetti, che nasce con un’ideologia ben precisa: sostituire un vecchio potere con un nuovo potere per arrivare al 100% del Parlamento. Sta proprio in quel cambiamento repentino da singolare a plurale la motivazione che spinge Grillo ad essere il garante di un Movimento che rispecchia un obiettivo.

Umberto Bossi si presentò alle elezioni del 1992 esattamente come colui che, essendo fuori dai giochi politici si faceva garante del concetto di cittadino qualunque motivato, che partecipasse alla cosa pubblica senza usare il politichese, oscuro e inviso a molti. Si installò nel Parlamento, e guarda caso, ironia della sorte, ha finito per essere parte integrante di quel sistema che tanto combatteva, buttato nella mischia dei partiti citati da Grillo come casta: quindi che ci possiamo aspettare?
    Semplicemente la sostituzione di un vecchio potere con uno nuovo, con la differenza che quello nuovo è talmente impreparato a gestire il vero potere che potrebbe abusarne o potrebbe scivolargli dalle mani come un liquido, al pari della democrazia che tanto si vagheggia.

    2) Il progetto di democrazia diretta, liquida è un altro punto di forza e punto debole del M5S. Essa è democrazia, ma fino ad un certo punto. A livello strutturale e comunicativo anzitutto internet non è uno strumento democratico: se esiste un politichese, un linguaggio specialistico della politica esiste un lessico specialistico di internet  a cui non  tutti possono accedere
     
        Prendiamo ad esempio questo brano rilasciato pochi giorni fa: 
    Da mesi orde di trolls, di fake, di multinick scrivono con regolarità dai due ai tremila commenti al giorno sul blog. Qualcuno evidentemente li paga per spammare dalla mattina alla sera.
     Penso che la media, le persone che viaggiano normalmente in internet trovino difficoltà a capire subito di cosa Grillo stia parlando al pari di un fiscal drag, di un condono fiscale, di un lodo: parole oscure a caldo, che proprio per questo rendono tutt’altro che trasparente il nuovo linguaggio di Grillo. 
     
    Ma il problema centrale della democrazia diretta è che essa è apparsa efficace a livello locale: il modello-Sicilia ha abbagliato gli occhi e fantasticato una struttura che a livello più globale è infattibile. Se a livello locale, poniamo caso 32 persone presentassero uno stesso disagio, la voce si farebbe forte e poderosa perché in percentuale considerevole su un territorio in cui solo i diretti interessati fanno sentire la loro necessità. 
     
    In Italia (territorio nazionale) proliferano post, commenti, idee perché siamo 20 Sicilie, ovvero 20 particolarismi da preservare e tutelare e che nella loro specificità possono collaborare e coadiuvarsi. Ma come? Di certo non facendo sentire, “disordinatamente” e scompostamente voci momentanee e difficilmente reperibili attraverso il web: una voce che appare un tuono a livello locale, diventa una gocciolina all’interno di un mare magnum in cui tutti possono dire tutto e il contrario di tutto. Per questo esiste una struttura politica che secoli e secoli hanno collaudato: la democrazia rappresentativa e non liquida.  

    E se si ammettesse che tramite internet fosse possibile una qualche rappresentanza, servirebbe un’epurazione di ciò che viene ritenuto utile dalla sporcizia che fa perdere solo tempo. 
   Ma questo discernimento da chi è fatto? Da un’elezione fatta dal popolo come per la democrazia rappresentativa? No, da una mente pensante che legge i commenti sul suo blog e decide: questo sì e questo no. 

Miriam Di Carlo.

mercoledì 20 febbraio 2013

L'ASCESA DEL GRILLO RAMPANTE.

Grillo ha riempito piazza Duomo a Milano. E venerdì riempirà sicuramente anche piazza San Giovanni a Roma. Il Movimento 5 Stelle è una grande novità nel panorama politico italiano,  come lo era stato Forza Italia nel 1994. Il Cavaliere ha vinto le elezioni in tempi in cui la tv era il mezzo di informazione predominante. E la stessa televisione decreterà la sua fine. Oggi conta davvero poco. La rete è il medium più utilizzato, non solo dai giovani. Nella società contemporanea, proprio vero, il medium è il messaggio. 

Grillo sa utilizzare benissimo i nuovi strumenti. Per questo riempirà le piazze, ma lui, come il Caimano, rappresenta ancora una volta un'Italia sognatrice, incapace di guardare in faccia ai reali problemi del paese. O meglio i problemi da risolvere sono tutti accennati nel programma elettorale, ma non sono diversi da quelli presentati dal Pd o dalla Lista Civica di Monti. Μolti di questi poi sono stati anche dibattuti dall'attuale premier. Abolizione delle province, abolizione della pensione per i parlamentari che hanno due anni e e mezzo di mandato, referendum sia abrogativi che propositivi senza quorum. Grillo propone un'importante novità però: rendere note le leggi tre mesi prima della loro proposta in Parlamento. Per il settore dell'energia, il Movimento promuove risorse rinnovabili e risparmio energetico. Altro deja vu. 

Per quanto riguarda l'informazione, già si è dibattuto ampiamente, ed è nei programmi elettorali degli altri schieramenti, la legge sul conflitto d'interessi: nessun privato può ottenere più del 10 % delle emittenti televisive e di giornali; Grillo propone poi anche copertura wi-fi a livello nazionale, proprio per meglio promuovere il web a scapito dei vecchi medium. Non ha spiegato da dove prenderà i fondi.  Nella sezione 1 del suo programma si legge: approvazione di ogni legge subordinata alla effettiva copertura finanziaria. Questo punto è  già ampiamente contemplato nella Costituzione (art. 81). Grillo, inoltre, dimentica che Telecom e Wind possiedono ancora il monopolio a livello di reti internet. Importante puntare sulle leggi antitrust.  Infatti un altro punto del programma dei grillini è: scardinare  monopoli di fatto, in particolare Telecom Italia, Autostrade, ENI, ENEL, Mediaset, Ferrovie dello Stato. E' possibile farlo, non lo metto in dubbio. 

Il Movimento 5 Stelle non è però il primo che vuole leggi antitrust, e su questo argomento la competenza del candidato Pd sembra già acclarata. Pierluigi Bersani, già nel governo Prodi II, ha dato un forte impulso alle liberalizzazioni. Non ha potuto fare di più, perché la legislatura in questione è durata poco, e la maggioranza in Senato era fin troppo risicata per il centro-sinistra. Non è poi per niente semplice prendere provvedimenti decisi in questa direzione in Italia: il nostro Paese da sempre è governato da lobby e caste. Le riforme in questo ambito sono possibili, ma in maniera graduale. Non commento le sezioni che mirano allo sviluppo di sanità e trasporti, di cui si dibatte da perlomeno quarant'anni. 

Grillo è un entertainer e uno showman, ed è un comico, per questo ricorda quello che lui chiama lo psiconano. A differenza sua, è una persona onesta, ha costruito un movimento dal basso, non ha mai ottenuto favori e privilegi dalla classe politica. Il Caimano invece, prima di entrare in politica, già era ampiamente colluso con mafia e con una classe politica totalmente corrotta. Il Caimano controllava le televisioni in regime di monopolio. 

Grillo ha costruito un sito promuovendolo autonomamente, con le idee e con il suo sarcasmo. Il Movimento 5 Stelle ha poi molti sostenitori di un'utopia totalmente rivoluzionaria. Molti delusi, che nel 1994 votarono l'ex-premier. Ma anche delusi dalle precedenti coalizioni di centro-sinistra. Gli ultimi sondaggi davano Grillo attorno al 15 %. Io penso che potrà anche raggiungere il 20 % in questi giorni. Grillo può essere una risorsa e sottrarre voti alla base elettorale del Pdl, il più debole dei vecchi partiti. Può sensibilizzare l'attuale classe politica ed anche i probabili vincitori delle elezioni (il trio Bersani-Monti-Vendola) su temi importanti. Ma in quanto ad effetti pratici, il Movimento non potrà mettere in atto neanche il 50 % del proprio programma. In 2 anni Grillo dice che cambierà il paese, ma io penso che nel 2015 avrà già dissipato, salvo imprevisti, il suo consenso. Ma in questi giorni la voce di Grillo è un lamento che non può rimanere inascoltato: il prossimo governo non accentui la frattura tra Paese e Palazzo. 

Marco Di Caprio

giovedì 7 febbraio 2013

DERIVA ANTISOCIALISTA. ANALISI A TRE SETTIMANE DAL VOTO.

Monti invita Bersani a fare "scelte nel suo polo". Il leader di Scelta civica sembra non approvare il programma della coalizione di centrosinistra, che per molti versi è identico al suo. I centristi criticano la Cgil e Nichi Vendola in una versione meno rozza della retorica anticomunista che favorì l'irresistibile ascesa di Berlusconi. Questo scrive Barbara Spinelli sulla Repubblica di ieri 6 febbraio. Monti è stato protagonista di una salita in campo per rinnovare il suo impegno con gli italiani. Ha imposto rigore in ambito di finanza pubblica. Ha approvato un decreto sulle liberalizzazioni. Il decreto sul pareggio di bilancio. Il governo Monti è stato anche protagonista di una politica europeista convinta ed ha proposto l'approvazione di una Tobin Tax per quanto concerne il mercato finanziario europeo. 

Ora il senso di responsabilità del premier deve andare oltre. L'alleanza con il Pd è un patto imprescindibile per la crescita di questo Paese. Monti stima De Gasperi e per questo deve prendere il suo esempio, fare ciò che è più giusto per il Paese al momento. I centristi devono accettare un'alleanza con il centrosinistra a tutti i costi, e soprattutto una politica di maggiore giustizia sociale e di una più equa distribuzione delle risorse. Tutto questo perché probabilmente dovranno assicurare la maggioranza ad un centrosinistra che non potrà governare da solo. Il prossimo governo nato da questo strano connubio dovrà fare di tutto per rilanciare il potere d'acquisto del ceto medio. 

 Monti non può mettere però fuori dalla trattativa Nichi Vendola. Sel infatti viaggia verso il 6% di consensi: è una risorsa importante per la vittoria di Bersani, sia da un punto di vista numerico, sia da un punto di vista prettamente politico. Sinistra e Libertà è uno schieramento molto attivo verso il sociale ed una risorsa per il Paese. Monti fa un grave errore quando afferma di volere un'epurazione dell'ala più estrema, che poi tanto estrema non è. Alcune affermazioni dell'attuale premier sono state di maggiore estremismo. Monti è colui che ha parlato in estate di un governo che deve guidare per mano il Parlamento. E' colui che ha parlato di un mancato investimento da parte degli stranieri in Italia, proprio per l'esistenza dell'articolo 18. Io suggerirei al Presidente del Consiglio che, invece, la finanza internazionale ha poca fiducia di noi perché non abbiamo norme adeguate contro la corruzione. Bisogna fare una legge ad hoc per questo problema. Monti aveva anche tentato di vararla, ma è stato frenato da Berlusconi. E forse avrebbe fatto meglio ad approvarla, rischiando di cadere su quella piuttosto che rischiare la sfiducia questo dicembre. 

Mario Monti ha anche vergognosamente parlato di un Pd fondato nel 1921, anno della fondazione in realtà dell'ex-Pci. Sicuramente il Pd discende dal Partito Comunista, ma non è di certo paragonabile, in negativo, a quello di cui Togliatti era segretario; e nemmeno, in positivo, a quello di Berlinguer, che ancora era in contatto con i Sovietici, nonostante il suo segretario fosse un illuminato, progressista e allo stesso tempo moderato, uomo di puri valori. Monti ha parlato, in questo caso, davvero come un "Berlusconi con il loden", e lo dico citando Bersani. Ora veniamo al punto. Qual è il senso dello scambio di accuse tra Monti e Bersani? Cui prodest? Forse è un gioco delle parti, una commedia per rubare la scena politica al nemico comune. Ma visto che i due per governare quasi sicuramente dovranno allearsi, come tutti gli italiani sanno, forse non è meglio spostare il dibattito sul programma elettorale, svelandone le comuni affinità ed i punti di forza? 

Adesso purtroppo torno a parlare dell'ex-premier, quello lì di cui preferisco non pronunciare il nome. Ormai lui è finito. Ma i suoi avversari non possono concedersi il lusso di dargli altro spazio. Basta poco per metterlo definitivamente fuori gioco. I sondaggi più ottimisti per loro sono del 5 febbraio, e li fornisce Datamonitor. Alla Camera dei deputati, la coalizione di Bersani è al 33,6 % mentre la coalizione di centrodestra è al 28,4 %. Cinque cinque punti in meno. Ciò è da confrontare con il sondaggio di IPR Marketing, che porta lo schieramento dell'ex-premier al 28,6% mentre la coalizione di Bersani al 34,7%. Sei punti di differenza, cioè un abisso. 

L'ex-premier potrebbe contare qualcosa vincendo al Senato, dove il premio di maggioranza è su scala regionale. E lì per vincere dovrà conquistare la Lombardia in primis, ma anche la Campania e la Sicilia. Attualmente non ne vedo la possibilità. In Lombardia è ancora possibile una vittoria del centro-destra. Secondo il sondaggio di ieri 6 febbraio condotto da IPR Marketing, Bersani è al 34 % mentre l'ex-premier è al 33%, quindi solo un punto li divide. In Campania il centrodestra è indietro di tre punti. In Sicilia è avanti di un punto, al 34 % contro il 33% del centrosinistra. Nella migliore delle ipotesi, se l'ex-premier espugnasse le tre regioni in bilico, Pd e Sel non potrebbero mai ottenere una maggioranza al Senato, neanche alleandosi con il Centro montiano. Ma il Cavaliere non potrebbe governare comunque, non avendo la maggioranza alla Camera, e sarebbe costretto ad un governo di grande coalizione, di cui non potrebbe mai essere presidente del Consiglio. 

L'ex-premier ha poi, secondo me, sbagliato la campagna elettorale. In realtà le sue promesse utopiche sono sempre le stesse, e non da queste dipende il risultato della sua coalizione alle urne. Il problema è il medium. E in questo caso il medium non è il messaggio. Il Cavaliere cinque anni fa ha vinto le elezioni non solo perché non aveva un crisi economica da fronteggiare, ma soprattutto perché aveva ancora un'Italia dedita alla fruizione di contenuti televisivi. Oggi pochissimi guardano la tv generalista. E meno ancora i giovani. Tutti invece utilizzano Facebook, Twitter e YouTube. E' vero che l'ex-premier non potrebbe controllare queste compagnie americane, così come ha potuto fare per la tv finora. Ma perché non puntare sulla pubblicità tramite internet? Ho visto finora pochissime suoi spot in rete. Il Cavaliere è uno dei più ricchi d'Italia, ma ha scelto nuovamente di promuovere il suo movimento politico in tv. Al contrario il Pd e Monti comunicano con i loro elettori quasi esclusivamente tramite il web. Ed anche per questo, da un punto di vista mediatico, sono molto più credibili.

La morte del medium tv è la tomba stessa del Caimano. Ma il Pd e Monti hanno una grande responsabilità entrambi, di non resuscitare un morto. E l'unico modo per farlo è fare insieme, dopo le elezioni, una politica sociale che sconfigga la demagogia. I centristi devono ben tenerlo in mente. Altrimenti questa deriva antisocialista sarà la deriva dell'Italia. 

 Marco Di Caprio.

lunedì 29 ottobre 2012

LA SFIDA DELL'ANTIPOLITICA.

Il Caimano è tornato. Proprio come nella scena finale del film di Nanni Moretti. E’ stato appena condannato, ma promette di trascinare con sé il paese nel caos. Silvio Berlusconi torna a parlare in conferenza stampa. Gli argomenti da lui scelti sono gli unici che possano portargli voti, che possano dargli un minimo di seguito politico. Il Berlusconi moderato, seguace del premier, non arriverebbe neanche ad un 10% di consensi. Attacchi a Merkel, a Monti, e ad una nostra politica economica recessiva dettata dalla potenza egemone della Germania. Troppe tasse deprimono le famiglie italiane. Il nostro è uno Stato di polizia tributaria. Queste parole Berlusconi spende in difesa dei valori italiani, del Paese che amo. E poi invettive contro i giudici che rendono la nostra una Repubblica magistratocratica ed usurpano la sovranità popolare.

Il discorso di Berlusconi è ovviamente populista, da piazzista. Non ha senso proprio perché la causa della profonda recessione, oltre alla crisi del 2008, è stata la mancanza di una politica economica coerente da parte sua. Berlusconi è rimasto in carica 7 anni su dieci, nello scorso decennio, un periodo in cui il PIL italiano è rimasto pressoché a crescita zero. Nel 2009, in seguito alla crisi mondiale, il debito pubblico italiano è raddoppiato di dieci punti, un aumento vertiginoso, dovuto all’irresponsabilità della sua politica economica. Il problema non è quindi Monti, che ha cercato di risanare l’economia. Berlusconi, ovviamente, è un uomo solo, non inveisce sperando di esorcizzare la sua solitudine.

Ilvo Diamanti su Repubblica:
La solitudine. Sta qui l’origine degli interventi di Silvio Berlusconi, negli ultimi giorni. Estremisti, nei toni. L’uomo-solo-al-comando, all’improvviso, si sente solamente solo. E ha paura del silenzio intorno a sé. Reagisce con estrema violenza - verbale.

Ovvio che Berlusconi cerca di riemergere, dopo la condanna in primo grado nel processo Mediaset, e lo fa nell’unico modo possibile. I contenuti dei suoi interventi sono simili a quelli di Beppe Grillo. Ma il comico ha una marcia in più. Ha un blog che ottiene grande successo in rete. Ha saputo utilizzare i nuovi media, ed internet in primis. Berlusconi rappresenta il vecchio, il potere dei vecchi media, la tv. Grillo il nuovo, il potere di internet. Ma entrambi fanno leva sui sentimenti anti-europei latenti nel nostro Paese e sull’esasperazione della working class.

L’ex-premier, tuttavia, cavalca l’onda dell’anti-europeismo con grande ipocrisia: ha paura di uscire di scena, vuole rivestire nella prossima legislatura un ruolo politico di rilievo per non soccombere nei suoi procedimenti giudiziari. Sa che la politica può influenzare la magistratura. Le sue leggi ad personam ne sono state la prova. Dei suoi 23 procedimenti giudiziari a carico, solo tre sono finiti con assoluzione, di cui una per una depenalizzazione del faso in bilancio da lui approvata (processo All Iberian 2). Altri sono finiti per prescrizione, altri due (Mediaset e Ruby ancora in corso).

Berlusconi è ancora in politica, e per se stesso. Ed era ovvio che non poteva rassegnarsi dopo l’ampia sfiducia accordatagli dai mercati nel novembre del 2011. La sua nuova discesa in campo ha creato scompiglio in un Pdl diviso tra montiani e berlusconiani, falchi e colombe. Difficile fare previsioni. Non così probabile sarebbe la scissioni tra il Cavaliere e il suo vecchio partito, che però verrebbe a perdere la sua unica identità, quella di partito personale dell’ex-premier. Alfano, che punta all’alleanza con l’Udc e con i moderati, non ha la forza politica per compiere scelte in autonomia.

Berlusconi, con la sua nuova politica estremistica, parla, secondo i suoi sostenitori più accaniti, alla pancia del Paese. E’ vero. I delusi sono tanti, la disoccupazione giovanile italiana è tra le più alte d’Europa, il precariato è a livelli spaventosi. La nostra economia non è ancora in ripresa. Ed ora questo Berlusconi, che promette castelli di fumo, torna a piacere alla Lega, ritorna ad avere consenso tra gli ex-Pdl passati al Movimento 5 Stelle.

L’antipolitica è sicuramente il primo partito d’Italia. Difficile che gli italiani possano premiare il Cavaliere come alfiere di una nuova stagione politica, proprio lui che è il più vecchio dei politici della Seconda Repubblica. Ma questa nuova strategia di Arcore è pericolosa. Perché si allinea sui temi al grillismo, che riscuote tanto successo. Grillo ha maggiore credibilità, ma non ha ancora quel potere mediatico di Berlusconi, da sempre in conflitto di interessi per il possesso di network e giornali. La nuova lotta politica è una sfida tra vecchi e nuovi media, piuttosto che una sfida sui programmi elettorali.

Il Pd, che è partito di maggioranza relativa, ha il dovere di fare fronte comune con i moderati (Udc e Fli), al di là delle differenze, se vuole aprire una migliore stagione politica. Deve mostrare che l’utopia dei populismi non può avere spazio. In un mondo globale, l’unico obiettivo rimane l’Europa unita. Seppure con riserve, Monti ha operato con responsabilità. Solo ultimamente, al centro della bufera, c’è stato il decreto anti-corruzione, troppo blando. Urgono misure più foti contro la corruzione, per riportare investitori stranieri in Italia. Ma comunque i dibattiti aperti dall’attuale governo sono più ragionevoli rispetto a quelli aperti dalle leggi di depenalizzazione di falsi in bilanci dell’era berlusconiana.

Alle prossime elezioni il mio appello è per il buonsenso. E’ importante che tutti i partiti isolino i populismi utopici di Berlusconi, Grillo e Lega Nord. Fare fronte comune contro chi inveisce solo e promette ciò che non potrà fare. Basta con i populismi che parlano di meno tasse e più posti di lavoro. I populismi di chi non spiega come, quando e perché metterà in atto i propri progetti, qualora dovesse governare. E’ importante che il dibattito politico cambi.

Oggigiorno i politici sono abituati all’attacco frontale e a denigrare l’avversario. La seconda Repubblica è stata caratterizzata da invettive, e nient’altro. Berlusconi, dopo la sua discesa in campo del 1994, è stato il nmaggiore responsabile della corruzione del dibattito politico. I partiti tornino a spiegare i loro obiettivi, ad argomentare a favore delle loro tesi, a spiegare ai cittadini perché la loro identità è diversa da quella di altri. La politica si è davvero imbarbarita da quando si è abbassato notevolmente il livello culturale dei politici, che non dovrebbero essere come o peggio di noi, ma dotati di competenze e capacità che non sono di tutti. Il governo Monti ha dimostrato di andare controcorrente. Ha argomentato le sue scelte, che, seppure fossero sbagliate, sono state fatte con onestà intellettuale.

Se i cosiddetti moderati (Pd, Fli, Udc) saranno in grado di riportare un dibattito civile, ispirato dai soli provvedimenti fatti in materia politica, l'antipolitica sarà neutralizzata e sconfitta. Su queste basi si spera che nascerà la Terza Repubblica. Se così non sarà, se prevarranno Grillo e Berlusconi, si salvi chi può.

Marco Di Caprio.

venerdì 12 ottobre 2012

LO SCEMPIO DELLA PARTITOCRAZIA APOLITICA.

Roberto Formigoni azzera la giunta. Un po' come aveva tentato di fare la Polverini. O meglio lei voleva dimettersi sin dall'inizio dello scandalo. Silvio Berlusconi aveva provato a frenarla. "Se il Lazio crolla, crolliamo anche noi" aveva affermato l'ex-premier. In effetti è andata male, Polverini poi ha lasciato giustamente. Già erano apparsi manifesti ovunque per la città di Roma: resto e faccio pulizia, aveva annunciato Polverini. Ora Formigoni resiste, continua a mantenere la poltrona grazie alla Lega. Berlusconi, per la prima volta, toglie l'appoggio ad un esponente del suo partito e lo invita a presentare le dimissioni.


Il presidente del Pdl ha capito che è finita un'epoca, ma questo certamente non lo aiuterà a rafforzare la sua posizione e il suo partito sgretolato, ormai inesistente. La politica del centro-destra, travolta dagli scandali di Polverini e Formigoni, rappresenta i residui della disonestà diffusa tra i politici e rafforzata dagli anni del governo Berlusconi: ancora oggi il Pdl impone vergognosamente veti alla legge anti-corruzione. Il Cavaliere sa che non potrà mai vincere le elezioni e cerca di riunire i moderati favorevoli ad un secondo mandato dell'attuale premier. D'altro lato, i critici di Monti come Lega e Idv, hanno avuto altri scandali di pari entità - vedi le vicende di Belsito e Maruccio, ex-tesoriere del partito di Di Pietro, oggi indagato per riciclaggio. La Lega appoggia Formigoni, lo stesso partito che all'alba di Tangentopoli portava cappi in Parlamento per i politici disonesti. 


Il Pd, in testa nei sondaggi, è comunque debole, in preda ad una faida interna al partito. Oggi quindi prevale giustamente l'antipolitica. Si ricordi però che questa situazione negativa è stata ereditata dal governo Berlusconi, responsabile dell'incremento esponenziale del debito pubblico e di norme che hanno depenalizzato corruzioni e falsi in bilancio, che hanno aiutato il ladrocinio di politici ed imprenditori. La politica è pessima, perché si è conformata al peggiore dei suoi esponenti, il Cavaliere. Neanche Grillo e Vendola possono offrire una valida alternativa al sistema attuale: sognatori, utopisti e populisti,  non spiegano con quali proposte affrontare la crisi dei partiti. 


L'unico che esce rafforzato dalla crisi della politica è Mario Monti, estraneo ai partiti. Il premier, nel bene o nel male, ha fatto riforme strutturali ed ha approvato una finanziaria che potrebbe garantire il pareggio di bilancio nel 2014. Dopo le elezioni di primavera, lo scenario più probabile delinea un suo ritorno. Ma i partiti dovranno approvare una legge elettorale, su cui ancora tutti i parlamentari dibattono. 


Facile criticare il Porcellum voluto da Berlusconi, ma nessuno dei parlamentari vuole cambiare il sistema delle liste bloccate. L'astensione potrebbe toccare il 50 %. In America, per le elezioni presidenziali, vota meno del 40%; ma lì la democrazia e il sistema politico sono consolidati. Da noi un'elevata astensione potrebbe aprire scenari di crisi ben peggiori. I partiti si rinchiuderebbero nel Palazzo, portando disagi e tensioni sociali che l'Italia, già vessata dalla crisi, non potrebbe sopportare nei prossimi anni. La legge elettorale è la priorità assoluta per la crescita del paese.


Marco Di Caprio.

giovedì 11 ottobre 2012

CAOS DEMOCRATICO.

Pierluigi Bersani e Matteo Renzi saranno sfidanti alle primarie. Il segretario del Pd ha anche fatto modificare l'articolo 18 dello statuto che prevede la candidatura del segretario come futuro premier. C'è però un problema di natura logica: che senso hanno le primarie, se non è ancora noto con quale legge elettorale si voterà? 

Le primarie sono uno strumento utilissimo di democrazia interna e ricalcano quelle che i due maggiori partiti americani svolgono per il candidato alla presidenza. Ma siamo sicuri che possano essere applicate anche nel sistema politico italiano? Direi che non è proprio così per diversi motivi. Innanzitutto, con l'elezione del candidato premier tramite primarie, non ha senso la figura del segretario del partito, che è sempre stato il leader di riferimento della propria parte politica in qualunque tipo di elezione. I segretari dei partiti della Dc sono sempre stati indicati come Presidenti del Consiglio dal dopoguerra in poi. Quando non lo sono stati sempre, a partire dal 1981, i segretari di altri partiti, uomini più influenti come Spadolini o Craxi, sono stati indicati come capi del governo.

In America non esiste la figura del segretario, ma solo quella di presidente di partito, che gestisce il dibattito interno alla parte politica, ma non è mai candidato. Anche il Pd ha come presidente Bindi, che si occupa dell'amministrazione. I Democratici e i Repubblicani non hanno però il segretario, le cui funzioni sono rivestite temporaneamente, e solo in vista delle elezioni presidenziali, da chi vince le primarie. Se non dovesse vincere le primarie Bersani, il Pd avrebbe un altro segretario, de facto, che svolgerebbe la sua stessa mansione di capo politico di riferimento nel partito. 

Teniamo ben presente che, se dovesse cambiare la legge elettorale, cosa di cui si augurano molti italiani, il vincitore delle primarie potrebbe non più essere candidato come nome di riferimento per la presidenza del Consiglio. In teoria, quindi, dopo le elezioni potrebbe anche essere investito qualcun altro del Partito democratico per formare una coalizione di governo. 

Le primarie del Pd in realtà sono uno strumento per stabilire in un partito poco coeso chi è il più forte. Ma chiunque dovesse vincere non avrà potere di compattare il partito. I Democratici sono in testa ai sondaggi non per loro demerito, ma per demerito degli avversari politci, e questo rischia di portare una stagione di nuovo caos nella politica italiana anche dopo il 2013.

Marco Di Caprio.

mercoledì 22 agosto 2012

LA GENERAZIONE PERDUTA D'ITALIA.

Mario Monti in settimana ha parlato davanti alla platea di Comunione e Liberazione, associazione cattolica ormai da anni non velatamente di stampo politico. L'uscita della crisi è vicina per il premier, e l'assemblea applaude. Ho notato che oggi su Famiglia Cristiana è stata aspramente criticata Cl per il suo plauso passivo a qualunque leader passi sui suoi palchi. Ciò non è proprio corretto. Quando Prodi parlò al loro convegno fu accolto con freddezza. Berlusconi ed altri leader di centro-destra sono sempre stati osannati. Ricordo che due anni fa l'ex-premier era definito un salvatore della Patria dai giovani del meeting. Andreotti, poi, è sempre stato salutato nella sua sede come un onesto servitore della Nazione. Oggi invece tutti sarebbero pronti a feroci invettive contro entrambi per i loro trascorsi politici. Ma ovviamente è sempre bene fare i distinguo tra il demagogo populista che è il Cavaliere e lo statista dal passato poco chiaro che è Andreotti. Comunque è innegabile che c'è sempre stato un corteggiamento da parte di Cl di leader democristiani e della destra moderata, indipendentemente dalla valutazione di loro meriti. Un plauso fazioso da parte di molti cattolici italiani verso chi non merita.


Stavolta invece personalmente mi sento d'accordo però con il plauso di Cl verso Monti. Oggi Moody's e S&P hanno elogiato l'operato di Mario Monti, hanno sottolineato che l'uscita dalla crisi potrebbe vedersi nel 2013 per l'Italia. Ciò sarà dovuto alla riforme strutturali fatte dal premier e dal suo esecutivo. Le agenzie di rating, specialiste nel diffondere panico e malumore sui mercati internazionali con le loro dichiarazioni, hanno fatto questa volta un'acuta osservazione. Hanno notato la discontinuità del governo Monti con i vecchi esecutivi del nostro Paese. Le riforme strutturali, nel bene o nel male, sono state fatte. Difficile pensare a diverse proposte in un'Italia ormai in crisi economica da due anni. La crisi, che è ovviamente di natura globale, ci ha colpito di più, perché il precedente esecutivo presieduto da Silvio Berlusconi ha solo levato annunci e non ha mai fatto le riforme strutturali necessarie. L'attuale Presidente del Consiglio ed i suoi ministri hanno dato una svolta di concretezza all'azione di governo.


Ora può sembrare ingiusto, ed io sono il primo a dirlo, che l'imposizione di tasse pesi soprattutto sempre sui ceti medi e medio-bassi. Le nuove imposte, come l'IMU, sono state necessarie per porre il freno alla gestione dissestata della finanza pubblica effettuata dal governo Berlusconi IV. E' da non dimenticare che, malgrado il governo Prodi II sia stato così impopolare, ha avuto il merito di diminuire il debito pubblico dal 106% del 2006 al 103% del 2007. Il biennio in cui è stato registrato il più alto innalzamento del debito è quello 2008-2009, che coincide con l'insediamento di Berlusconi IV. Il debito pubblico è cresciuto dal 106,3% del 2008 al 116,1%. La responsabilità dell'ex-premier, quindi, non può per niente essere esclusa in questo frangente. E con il 120% l'Italia ha bruciato totalemente il disavanzo di cui ha beneficiato in seguito all'entrata nell'Euro.


Mario Monti sta portando una soluzione, che seppure tardiva potrebbe mettere in salvo la nostra economia. Il premier è vicino all'area democristiana, nonostante non sia schierato politicamente. Potrebbe quindi mettere d'accordo i cattolici e i democratici per un secondo esecutivo da lui presieduto. Il premier ha poi ragione a parlare di Generazione Perduta, quando si rivolge ai giovani. I giovani di oggi purtroppo sono svantaggiati da una situazione politica ed economica ereditata fatta di gravi negligenze. La gestione della finanza pubblica italiana tra gli anni Ottanta e Duemila, con la breve parentesi positiva del Governo Prodi I, è stata disastrosa. Romano Prodi e il suo ministro dell'economia (il presidente emerito Ciampi) hanno per fortuna permesso al nostro Paese di entrare nell'Euro.


E' giusto puntare quindi sull'Europa per una crescita comune che possa dare le soluzioni alle sfide dei colossi americano, cinese e russo. L'unico invito che alla Generazione Perduta dei giovani ci si sente di dare è di lavorare più di quanto hanno fatto i loro genitori, ma soprattutto di aspirare ad una maggiore mobilità. Nel nostro contesto è opportuno aspirare a spostarsi, anche frequentemente, per motivi di lavoro negli altri Paesi dell'Eurozona. Ciò permetterebbe anche, io credo, una maggiore integrazione tra i giovani del nostro continente rivolta alla nascita di uno Stato federale europeo.   


L'unica pecca vistosa dei provvedimenti del Governo Monti riguardano la scuola e l'università: l'esecutivo ha varato tagli all'istruzione. E' inutile insistere ancora sul pessimo stato dei ricercatori in Italia. Ma io penso che innanzitutto lo sviluppo parta dall'istruzione scolastica. Spesso diplomati e laureati non hanno le conoscenze e le competenze previste dal conseguimento del loro titolo di studio. In Italia si è cercato di aumentare il numero dei laureati per portarli al livello degli standard europei. La crescita del numero è di tipo meramente quantitativo e non qualitativo. Il futuro riparte dalla scuola.


Un'ultima analisi sarebbe necessaria per quanto riguarda il mondo cattolico. Sin dall'alba dell'umanità la religione è stata strumentalizzata a fini politici. E mi fa sorridere amaramente leggere che i candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Obama e Romney, sbandierano la loro fede a fini elettorali. Per il presidente Obama il predecessore Bush è deprecabile da un punto di vista politico, ma un uomo di fede, un ottimo marito e un buon padre di famiglia. Inutile aggiungere che un uomo di fede non dovrebbe gioire spudoratamente la notte dell'esecuzione di Saddam Hussein, seppure questi sia stato un feroce criminale. Un uomo di fede non inventa prove false per attaccare l'Iraq, là dove sono morti tanti civili a cause dei bombardamenti dell'USAF. Se il criminale Saddam ha giustiziato tanti per motivi politici o etnici, Bush non doveva fornire prove false come casus belli per far eliminare il dittatore. Con lui, infatti, sono morti migliaia di civili iracheni innocenti. 


Per quanto riguarda il discorso sui cattolici in Italia, evito di passare in rassegna la storia millenaria dello Stato della Chiesa.  Mi limito solo agli ultimi ottanta anni. I cattolici e il Vaticano hanno appoggiato un criminale come Mussolini per motivi di convenzienza politica. Hanno poi appoggiato la Democrazia Cristiana incondizionamente per motivi logistici. Hanno poi preferito Forza Italia e il centrodestra, nonostante spesso abbiano fatto il disinteresse della classe media e dei più deboli, che dovrebbero invece essere difesi dai cosiddetti uomini di fede. Quindi, se guardiamo ai fatti, il potere politico in Italia è stato realmente detenuto da chi ha ottenuto il loro appoggio.
La Chiesa ancora ha un enorme potere ed influenza sullo Stato ed è a volte anche in contrasto con esso. Ancora oggi la Banca Vaticana non si attiene alle norme della trasparenza bancaria internazionale. Facilmente ipotizzabile che possa riciclare soldi sporchi della criminalità organizzata e del narcotraffico.


Un ultimo episodio che vorrei richiamare all'attenzione è quello di Lucera. Questa cittadina pugliese, in base al decreto sulla spending review, sarà privata del suo tribunale, poiché esso ha un bacino d'utenza di soli 170mila abitanti. Lucera è una zona ad alto rischio di criminalità, territorio in balia delle cosche della Sacra Corona Unita e della Camorra. Il sacerdote della cittadina si è quindi fatto portavoce del malcontento dei suoi concittadini, contrari alla soppressione del tribunale. Ma anziché farsi promotore di una petizione ha promosso ed assistito alla consegna delle tessere elettorali dei cittadini. Una donna, scrive Repubblica di ieri  21 agosto, ha gettato nel cestino della parrocchia la sua tessera.


La consegna della tessera implica un irrispettoso atteggiamento nei confronti dello Stato da parte dei cittadini. L'autonegazione del dovere civico di voto (art. 48, Cost.) è grave. E' ovvio che l'attuale legge elettorale non permette di scegliere il candidato, è chiaro che il sistema politico è marcio. Ma la rinuncia al voto significa negarsi l'unico modo che si ha, seppur irrisorio, di partecipare alla vita pubblica. Inoltre indica un'estraneità, soprattutto nei piccoli centri, da parte delle masse nei confronti del sentimento di Unità nazionale. Nei piccoli Comuni, infatti, la Chiesa è ancora forte come lo era anche nelle grandi città cinquanta, sessanta o cento anni fa. Roma, ad esempio, definita capitale della cristianità, è oggi multietnica e fatta di una popolazione poco vicina alla religione cristiana. E il numero di fedeli è bassissimo tra i giovani.


Nei piccoli centri invece i devoti sono ancora tanti. Niente da obiettare, ma non è accettabile che sacerdoti come quello di Lucera si facciano promotori di manifestazioni che indichino disprezzo nei confronti dello Stato. Il problema qui non è la soppressione del tribunale di Lucera, esso non rappresenta l'arretramento delle forze dell'ordine, la resa dello Stato nei confronti della criminalità organizzata. La scelta dell'eliminazione della sezione penale di Lucera è da ricondurre ad un tentativo di miglior impiego delle risorse all'interno dell'ambito giudiziario. Con la riduzione del numero di tribunali si spera una miglior razionalizzazione delle risorse. Su questo ho i miei dubbi. Comunque è il modo che offende con cui i cittadini di Lucera, spinti dal loro sacerdote, hanno esposto il loro disappunto nei confronti dello Stato. Spero non sia un'utopia quindi che in Italia possa venir progressivamente meno il peso del Vaticano. Ciò sarebbe utile per un dibattito pubblico più sereno e più adeguato alle nuove esigenze politiche.


Marco Di Caprio.